mercoledì 28 novembre 2018
Praga una notte, parlando sempre assieme
Praga è essere prigionieri del tempo. Il tempo che ci domina dall’alto delle sue lapidi e dei fiori secchi e lievi sul volto petroso di Jan Palach. Il tempo che ci cattura con la meccanica precisa e colorata del suo grande orologio (dalla torre fa girare lancette e santi benedicenti, macchina ingenua, ogni ora, ogni giorno per noi col naso all’insù e un po’ di computazionale commiserazione). Il tempo passato degli odii santi, con le barbare schiere hussite che lottano assetate del sangue di Cristo. Tutto ci parla di tempo e di vita, ragazzi, e tutto è così vicino ed estraneo. E noi una notte a parlarci e a non capirci come perfetti vicini e perfetti estranei, solo perché il tempo mi ha messo in una cattedra e voi sui banchi. Semplicemente perché siamo un po’ sfasati e ci troviamo l’un l’altro a desiderare di essere quello che non siamo: quelli di prima, matti, belli e semplici come siete voi; quelli di dopo un po’ più liberi e grandi, come sarei io. Che vi devo dire? Praga mi ispira discorsi e nostalgie il cui senso è difficile da spiegare. Sono in vena di consigli: vi vorrei tutti poeti e rivoluzionari, perché troviate quello che veramente siete e che io cercherei di essere, mentre tramonta quest’Occidente pieno di stanchezze. E vorrei che sul tramonto cui io e voi siamo destinati Qualcuno portasse sempre un pizzico di luce giovane e di futuro. Praga ci tiene prigionieri a parlare assieme, non sapendo che poco più in là la Moldava scorre e non è più la stessa … e il suo silenzio è interrotto dalle risa dei ragazzi che bevono birra, corrono e amano, separati solo dal tempo dai loro coetanei che sorridono pieni di struggente benevolenza, con le loro barbe mezze bianche, fumando il sigaro che gli avete offerto per sembrare più vecchi.
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