Partiamo innanzitutto dalla denominazione ed evochiamo
subito l’obbligante adagio latino nomina sunt consequentia rerum. Se è
vero che la scuola in questione, un supposto Liceo del made in Italy,
deve riguardare le potenzialità della nostra patria, è assolutamente necessario
che non sia designato con una locuzione inglese. Il principio di non
contraddizione e il senso di ciò che è opportuno ci comandano di rivedere
questa formula. Liceo dell’Eccellenza Italiana, con il bell’acronimo LEI
sarebbe una valida alternativa (che useremo nel presente articolo)… però in
questo campo si potrebbe dare libero sfogo alla fantasia e alla creatività, di
cui peraltro vantiamo, e non a torto, un possesso a livello di carattere
nazionale.
Entrando invece nel merito, ho dato un’occhiata al progetto
depositato in senato agli inizi del 2023 nel DDL 497. Rispetto ai licei tradizionali,
manca ogni riferimento alla classicità, si aggiunge Diritto ed economia
politica (primo biennio), Economia e gestione delle imprese del made in
Italy, Modelli di business, Made in Italy e mercati
internazionali (secondo biennio e quinto anno) e Informatica (tutti i cinque
anni). Nel primo biennio Storia e Geografia rimangono accorpate, nel secondo
rimane una spruzzatina di Filosofia e scompaiono Geografia e Scienze naturali.
Invariata è la presenza di Italiano e Matematica, forse potenziata risulta
Storia dell’arte.
Bene, che cosa dunque caratterizza questo corso di studi?
Quattro materie economiche e una tecnica (Informatica). Quindi la
valorizzazione dell’identità italiana dovrebbe essere esclusivamente una
questione economica. Cioè in poche parole: istruzioni per fare i soldi con il
marchio “Italia”.
Può funzionare una simile impostazione? Direi di no,
anzitutto sotto il profilo che vorrebbe potenziare, quella appunto economico.
Perché la ricchezza italiana è un patrimonio storico, artistico, etico, morale
e culturale. Da qui viene tutto il resto. Ma un simile serbatoio di risorse va coltivato,
non può essere solo sfruttato. Non è un semplicemente un capitale ma è
il frutto delle passioni e degli sforzi degli uomini, del loro lavoro, inteso
nel senso più nobile, non del “business”. Quindi una scuola che vuole dare
valore all’eccellenza, deve anzitutto suscitare passione per quello che
l’Italia “è”. Coltivare un patrimonio significa preservarlo, ma anche farlo
crescere e ciò non si dà senza un’autentica passione per l’Italia.
E come studiare che cosa è l’Italia senza l’articolazione
storica degli insegnamenti? Nel progetto in questione manca la storia e la
civiltà classica, manca una storia dell’industria, dell’artigianato, dello
stile e della moda. Manca una storia dell’enogastronomia. Queste materie devono
completare la Storia e Storia dell’arte e devono costituire insieme a Lingua e
letteratura italiana, l’ossatura del liceo. Altrove già ho sottolineato che la
storia svolge un compito critico fondamentale, che si aggiunge alla sua
funzione monumentale ed esemplare (per dirla con Nietzsche). Distrugge i dogmi,
appunto storicizzandoli, ma costruisce anche le identità portandone alla luce i
pilastri fondamentali, sepolti dalle scorie del tempo. La storia è un’arte che
restituisce la forma dell’uomo e della civiltà. Un liceo economico è un
liceo informe, un liceo storico capace di dare forma, identità, struttura agli
individui e alla comunità…e anche alle attività economiche che da quella storia
vorrebbero trare un legittimo profitto a vantaggio e per il bene di tutti.
Diritto ed economia non vanno pertanto sottovalutati, ma
devono trovare un giusto spazio, entro il quale far rientrare non i “modelli di
business”, ma la “progettazione e pianificazione economica e aziendale”
(forza, dai che ce la facciamo a parlare italiano!). In un liceo critico e
storico anche la tecnica economica trova una collocazione e un senso, ma all’interno
di un contesto equilibrato, in cui il sapere costruisce una visione complessiva
della realtà, per lasciare ulteriori approfondimenti al ciclo di studi di livello
universitario e specialistico (un liceale non deve sapere tutto!). Del resto,
un siffatto contesto ricondurrebbe la disciplina ad una più autentica
norma-della-casa, in cui si impara ad abitare eticamente la terra che ci
ospita. Non più crematistica dello sfruttamento indiscriminato, ma economia
della presa in carico, della cura responsabile, della gestione appassionata non
di un astratto “creato”, non di un astratto “pianeta”, reso un inferno proprio
dalle sue sentinelle globali, ma del posto in cui vivi, del tuo
ambiente, del tuo mondo.
Per completare il sistema dei contenuti offerti dal nostro Liceo
dell’eccellenza risulterebbe particolarmente indicato lo studio della
retorica e delle tecniche del discorso pubblicitario. Si tratta di una materia
di raccordo tra passato e futuro, tra ambito umanistico/teorico e ambito
pratico/economico, dalle enormi potenzialità in una società della comunicazione
e al tempo stesso in grado di veicolare stili antichi e modelli di civiltà
fondamentali per la nostra crescita.
Il quadro così completato non necessita affatto dello studio
dell’informatica come materia a sé, che non ha qui alcun senso, visto che le
tecniche di informatizzazione della didattica e dell’apprendimento si spalmano
ora su tutte le materie e ricevono un’enfasi anche eccessiva dai nuovi (e per
certi versi disastrosi) indirizzi pedagogici. Inoltre il livello di automazione
che l’intelligenza artificiale permette di conseguire renderà verosimilmente
obsoleti e riservati a una piccolissima schiera di tecnici specializzati tutti
i compiti puramente meccanici, come
quello di scrivere programmi, mentre diventerà sempre più importante, come è
stato autorevolmente sostenuto, l’intelligenza non artificiale, umanistica,
finalistica, estetica, in grado di associare agli aspetti logico-deduttivi
quelli storico-creativo-intuitivi, quella insomma che ci consentirà di rivedere
felicemente il passaggio da Comte a Bergson, dal meccanico all’organico, dal
sistema alla persona.
Altrettanto fuori tema appare Filosofia (lo dico da
insegnante di questa materia), ai cui contenuti si può accedere per vie diverse
negli altri insegnamenti senza appesantirne l’insieme. Bisogna infatti
preservare lo studio della filosofia dall’eccessiva semplificazione che espone
la materia al rischio di trasformarsi in prezzemolo per ogni indirizzo di studi
e riserva di discorsi per tutte le stagioni, soprattutto per quelle dove
fiorisce l’erba maligna dell’ideologia e dell’argumentum ex (o pro)
potestate.
Viceversa, non appare accettabile nel primo biennio il
confinamento della geografia in una materia-ircocervo come geo-storia e la sua
eliminazione completa nel triennio successivo. Questa disattenzione alla
dimensione territoriale della vita e del sapere è espressione non solo di
ignoranza antropologica, ma di uno strisciante progetto culturale di
sradicamento. Vi si veicola una visione dell’uomo per la quale egli non
appartiene più ai suoi spazi e alla sua terra, ma a mostri artificiali quali
l’umanità, il mercato e la società globale. Il Liceo dell’eccellenza italiana
dovrebbe invece essere il liceo delle radici territoriali, che dà piena
soddisfazione a quell’aspetto dell’esistenza umana per cui la terra, la casa,
la natura non sono un fondo da gestire a proprio piacimento come se
fosse il bancomat delle risorse date, ma l’essenza più profonda del proprio
essere-al-mondo, circostanziato, localizzato, colorato, vivente e concreto.
L’Italia per gli italiani è questo, non un marchio, e diventa un marchio di
successo solo nella misura in cui dietro vi è una simile vissuto di
appartenenza.
Infine, con un pizzico di coraggio nel nuovo Liceo sarebbe
utile pensare in modo diverso anche l’ora di Religione Cattolica, pur non
toccando i limiti concordatari, anzi soddisfacendoli in modo super erogatorio. Sarebbe
da ripensare la religione, in modo fortemente anticonformista e inattuale, come
qualcosa che connota profondamente l’identità del nostro popolo, le sue
abitudini, le sue attitudini e il suo modo di concepire la vita. Se è così, essa
non può essere concepita come facoltativa e presentata insieme a una qualsiasi
materia alternativa, perché non è più una questione di fede, come peraltro non
dovrebbe essere a scuola e nel contesto di un insegnamento, ma di cultura. È
quel non poter non dirsi cristiani di crociana memoria che trasforma il
paesaggio italiano, rendendolo unico e culturalmente irripetibile. È una forza spirituale che lo compenetra e
che va resa vivente e palpitante mediante la riconduzione dei temi fondamentali
della storia della salvezza ai luoghi, ai tempi e alle opere della devozione
cristiana in Italia, così da ripercorrere il senso di quell’identità romana del
Cristo sottolineata da Dante e ribadita dal magistero di papa san Giovanni
Paolo II. Regis Debray aveva detto che non si può crescere nell’ignoranza religiosa.
Per un italiano tale ignoranza è ancora più grave perché, a prescindere da
qualsiasi esplicito atto di fede, essa diviene ignoranza di sé. L’ora di
Religione Cattolica non può essere un’ora-cenerentola, ma deve essere
considerata parte integrante e indispensabile del curriculum scolastico:
né di catechismo, né proselitismo, ma cultura, civiltà e conoscenza.
Da questi brevi cenni si possono già evincere le
potenzialità di un Liceo dell’eccellenza italiana, ossia la possibilità
di rappresentare non una semplice aggiunta nella cosiddetta “offerta
formativa”, ma nuovo modo di intendere la scuola. Le radici concrete contro gli
universalismi astratti; la storia e la vita contro il dogma; la cultura dei
contenuti, delle conoscenze e di una reale esperienza del mondo contro la
tirannia del metodo, la povertà della cassetta per gli attrezzi, la pesante
ridondanza delle tattiche di problem solving senza profondità e senza
orizzonti: questi potrebbero diventare solo alcuni dei punti di svolta.
Ma forse già possediamo un modello simile, che dobbiamo
solamente rivitalizzare e riproporre come la vera eccellenza scolastica
italiana, il Liceo classico. È vero: la nostra comunità nasce, rinasce e risorge
nei classici e grazie ai classici. La loro tradizione, il loro sangue che
scorre nelle nostre vene è linfa vitale che il Liceo classico non smette di
proporre come fondamento dell’istruzione del popolo e delle sue classi
dirigenti dalla riforma Gentile in poi…
A che cosa serve allora un Liceo dell’eccellenza italiana?
Beh, una marina che si rispetti ha una nave ammiraglia, ma anche tutto l’altro
naviglio deve essere all’avanguardia per dominare i mari.
Il nostro Liceo è una classe di imbarcazioni che corrobora,
fuor di metafora, tutta la scuola. Infatti, nel Classico si punta a una cultura
che diremmo fondata sulle cosiddette scienze teoretiche, dove balugina
la pienezza di senso universale di un bìos theoretikòs autosufficiente e
felice; dove un orientamento, esclusivo ma non escludente, al sapere e alla
vita dello spirito, si viene delineando e offrendo in una vasta e nobile
tradizione culturale italiana.
Nel Liceo dell’eccellenza italiana il genius loci
è collocato in primo piano e declinato nelle sue potenzialità poietiche,
cioè produttive nel senso più vasto del termine: l’arte, l’artigianato,
l’industria, orientate al bello e all’utile. La justissima tellus,
racchiusa nei confini d’Italia, dei suoi monti, delle sue pianure, delle sue
acque e dei suoi prati, delle sue città e delle sue cattedrali è posta in primo
piano perché, fecondata dal lavoro dei suoi abitanti, restituisca il centuplo
di ogni goccia di sudore e di ogni lacrima di fatica.
Ogni progetto deve sorgere da un bisogno. Nella
presentazione ufficiale del Liceo del made in Italy si ritiene che esso
contribuisca a determinare la “capacità dell'economia italiana di mantenere e
conquistare un posizionamento significativo nello scenario globale del terzo
millennio. Questo avviene soprattutto per le piccole e medie imprese, che
costituiscono la maggioranza delle imprese del Made in Italy che, per
intraprendere un percorso di internazionalizzazione, devono affrontare molti
problemi; per questi motivi risulta indispensabile avere una classe
dirigenziale capace di analizzare i nuovi mercati, le opportunità di business
e i processi digitali a supporto dell'export in mercati strategici
per il Made in Italy”.
Questo discorso, assai compiaciuto, è in realtà molto
povero. Riecheggia stili confindustriali e modelli anglosassoni e adombra un
bisogno di efficienza globalistica in perfetta contraddizione con il
radicamento territoriale e culturale che invece sta alla base del successo nel
mondo dei prodotti italiani. Il bisogno reale non è quello di una
trasformazione tecnocratica dell’apparato produttivo italiano ma della conservazione
della sua originalità e creatività. L’intuizione corretta è che l’aggettivo
italiano nasconda potenzialità ancora da esplorare.
Allora cominciamo a lavorare su questo, senza provincialismi
esterofili, senza linguaggi parodisticamente bocconiani e senza dilettantismi
da ultimi arrivati nei salotti buoni, ma con la consapevolezza di essere nani
sulle spalle di giganti (e quanti giganti abbiamo avuto fra noi!) umilmente
intenti a guardare sempre un po’ più in là.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
Bravo condivido tutto. Mi sembra tra l'altro una replica del Led, il liceo economico sociale o del Liceo delle Scienze Sociali, laddove pure esiste al primo biennio economia e diritto, c'è persino il latino e le scienze umane. Il diritto è l'economia poi al primo biennio, quando i ragazzi usciti dalla scuola medio non sanno nemmeno il significato di quei due termini, è una boiata autentica. L'ho sperimentato dirigendo per 6 anni un Les e un LSS.
RispondiEliminaConcordo appieno. Sono più ottimista su Diritto ed economia, ma è assolutamente certo che così come è stato ufficialmente concepito il Liceo del made in Italy è una copia sbiadita di indirizzi già presenti.
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