Una conferenza di Tarmo Kunnas, venerdì 13 ottobre 2017, Spazio Ritter, Milano
(appunti non rivisti dall’Autore e note di Massimo
Maraviglia)
Perché la scelta di questo tema?
Da ventiquattro anni, cioè da quando ho iniziato gli studi sul fascismo,
ricerco un tema interessante e non studiato. L’idea generale e la vulgata giornalistica di ventiquattro
anni fa era che nessun uomo intelligente avesse sostenuto il fascismo, esclusi
Knut Hamsun(1859-1952)[1],
Ezra Pound (1885-1972)[2] e
Louis-Ferdinand Céline (1864-1961)[3].
Il primo era, secondo la medesima vulgata,
un vecchio demente, il secondo era completamente pazzo, il terzo era antipatico
e corrotto. La scelta del mio tema per la tesi da cui era venuto il testo La tentazione fascista era nata da
un’opposizione discreta tale mentalità. Allora nella mia famiglia si era tutti
patrioti e anticomunisti, ma nella scelta del tema e nel suo sviluppo la
curiosità intellettuale ha prevalso sulle opinioni, sui pregiudizi e le storie
personali.
Il fascino del fascismo (tr. it. di Delfina Sessa, Settimo Sigillo, Roma 2017) continua tale filone di studi e costituisce
una sintesi che cerca di affrontare le affinità e le complicità tra ottanta
intellettuali che avevano aderito al fascismo, volendo rispettare, tuttavia, le
specificità individuali. In esso voglio prendere in considerazione il contesto
culturale, intellettuale, politico che, per esempio, è molto diverso in Italia,
rispetto alla Germania e agli altri paesi dove il fascismo si è presentato o ha
vinto. Quindi tra questi intellettuali, da una parte, c’è affinità, dall’altra,
diversità. Per esempio sul piano religioso vi sono cristiani luterani,
cattolici, ortodossi, pagani eccetera. D’altro canto, di là da tali differenze,
nessuno è tuttavia radicalmente ateo e ciò costituisce un’affinità profonda.
C’è questa affinità spiritualista di fondo nella diversità di ciascuno. Negli
intellettuali, insomma, c’è diversità di orientamento, c’è una certa ambiguità,
ma anche un retroterra comune. L’impegno politico era, però, per tutti
paragonabile a un’infatuazione o a un innamoramento. In alcuni si trattava di
un amore a distanza per i capi (Hitler, Mussolini e gli altri), che viveva
un’estasi quasi religiosa senza tuttavia ambire ad alcuna ufficialità. Per
altri è stato un trasporto calcolato come una sorta di matrimonio di
convenienza. A volte le convenzioni e la paura impedirono agli intellettuali di
troncare il rapporto, altre volte essi rimasero fedeli all’amico, al camerata,
a colui che era stato compagno di strada, oppure a loro stessi. Vi furono
fascisti e nazisti veri e propri che speravano nell’espansione armata e nella
vittoria definitiva del fascismo, altri più tiepidi e critici nei confronti delle
sue manifestazioni estreme. Alcuni all’inizio non pensavano che il fascismo e
il nazismo fossero merce di esportazione. Così furono alcuni intellettuali
finlandesi. Molti intellettuali avevano
delle simpatie ma non osavano aderire (si pensi all’italiano Prezzolini[4]).
Altri ancora ammiravano il fascismo e nazismo come se fosse stato un’opera
d’arte (Brasillach[5],
D’Annunzio[6],
Marinetti[7] e
altri), molti ritenevano che sia il fascismo sia il nazismo fossero
indispensabili per la sopravvivenza della civiltà europea (Eliade[8],
Pound, Campbell[9],
Lewis[10],
Benn[11] e
altri intellettuali nordici). Il sostegno attivo degli intellettuali europei
rivela un aspetto dell’esistenza storica e concreta del fascismo. Gli intellettuali,
infatti, cristallizzarono nella loro opera il sentimento della maggioranza
delle persone. Le teorie degli intellettuali non erano dunque calate dall’alto,
ma si innestavano su un milieu culturale
preciso. Complessivamente un carattere fondamentale di tale milieu era costituito dalla percezione della
decadenza europea cui si associava la paura per la fine di quello che potremmo
chiamare un incanto del mondo, una magia della vita. Tutto ciò convergeva
nel tipico orientamento della “lotta contro l’oro” e il materialismo del
denaro. Era altresì una reazione contro l’individualismo e la ricerca di un
nuovo sentimento della vita, fondato sul tragico
contro la happiness liberale: “L’uomo
non cerca la felicità, l’inglese cerca la felicità” (Friedrich Nietzsche[12]).
La forza attrattiva del fascismo non sempre resse: a volte l’intellettuale si
ritrasse con clamore, altre volte si ritirò nel silenzio, ciò avvenne
particolarmente con il nazismo. In ogni caso, se si getta uno sguardo ai suoi
rappresentanti culturali, il fascismo non fu qualcosa di rozzo, ma si alimentò
di una forza morale e di uomini di alto livello. Per questo motivo porre
l’attenzione sugli intellettuali significa andare oltre le ideologie ufficiali
e programmi dei partiti. Hamsun e Céline, per esempio, erano del tutto avversi
allo statalismo fascista, ma cercavano un’etica, un sentimento della vita, un’estetica
più profondi. Per la cultura fascista, rilevante è prendere posizione nei
riguardi dell’eredità dell’illuminismo del XVIII secolo, anche se tale eredità
è ambigua: vi si ritengono collegati sia i comunisti sovietici, sia i radicali
francesi, sia i liberali inglesi. Gli intellettuali di destra per questo hanno
preso le distanze dall’illuminismo, pur non mancando in essi elementi di tale
eredità, si veda per esempio Montherlant[13] e
Drieu La Rochelle[14].
Ma vi era una battaglia filosofica in corso: in essa si era o pro o contro
l’illuminismo, e i fascisti si schierarono contro.
Il fascismo aveva un’idea ampia
della cultura politica. Era una visione completa della vita. La sua definizione
della politica non è univoca. La politica si estende nei campi dell’arte, della
scienza, della medicina, di tutte le discipline. Insomma la visione della
politica si estende e si restringe come una fisarmonica. Se alla massima estensione
è una visione totale del mondo delle cose, alla minima diventa un programma
politico concreto con determinate istanze di carattere anche amministrativo. In
ogni caso la sua affermazione e vittoria è dovuta al fatto che esso ha trovato
un vuoto di fronte a sé: il vuoto di un orientamento ideologico in fase di
decadenza come era il liberalismo, che nei primi del Novecento aveva perduto la
sua attrattiva. Ogni cultura politica, infatti, ha una fase di iniziale
entusiasmo e una fase di senescenza critica. Generalmente quest’ultima fase è
caratterizzata dal fatto che la cultura politica muore nell’economia. Il
fascismo e il comunismo propongono una grande idea, alternativa al liberalismo,
che si trovava in una impasse in cui
le idee avevano perso il loro fuoco sacro. Anche gli antifascisti intendevano
infatti la politica in senso ampio ed entusiasta, arrivando a trattare e
approfondire ciò che le altre tradizioni avevano tralasciato.
Esempio di tale onnicomprensività
del fascismo è il futurismo che, contro la democrazia parlamentare, voleva
rinnovare la politica ponendola in alternativa alle vecchie idee e ai miti
defunti del liberalismo. Così il futurismo rivendica l’artista entusiasta e
affida all’uomo di cultura il compito di rinnovare la politica dall’interno
attraverso la sua estetizzazione, cosa che aveva esempi di tradizione
antichissima: potere e bellezza sono sempre andati assieme. Si trattava, come
si vede, di una concezione del politico come di una esperienza totalizzante:
arte, bellezza, eroismo, atmosfera sacrale, devozione, mistica, ardore: tutto
ciò doveva rinnovare profondamente la vita umana prima ancora che la politica.
Già il primo fascismo si diceva
contrario alle politiche di partito, al suo piccolo cabotaggio fatto di
interessi, negoziazioni quotidiane e sottopotere, volendo per sé l’arte e i
grandi ideali. Se il marxismo punta alla scienza; il fascismo punta all’arte:
il lirismo nel marxismo è sempre coltivato a fini utilitaristici. Scopo finale
del fascismo era la rinascita della patria e il rinvigorimento delle sue
energie vitali. Per Ungaretti il fascismo era un movimento che voleva
introdurre in Italia i valori e ripristinare le gerarchie: “L’Italia cerca
l’elevazione dell’anima” diceva il poeta considerando il fascismo la risposta
più adeguata a questo tipo di ricerca. Allo stesso modo Gentile[15]
vedeva nel fascismo una politica che avrebbe portato ad una rigenerazione
morale dell’Italia.
L’omologo tedesco di Giovanni Gentile, Martin
Heidegger[16],
riteneva che la politica fosse uno strumento di rinascita della coscienza umana
che doveva riaversi dall’oblio dell’essere quale forza mistica che determina
l’esistenza dell’uomo. Heidegger riteneva che l’uomo dovesse vivere in una
sorta di armonia panteistica con l’essere. Riprendersi dall’oblio dell’essere
significava interagire a fondo con le forze primigenie del mondo, trovando in
questa armonia il senso della vita, ed entrando in relazione con il suo mistero
e il suo enigma. Questa capacità di sentire il mistero era, secondo Heidegger,
stata persa dall’uomo moderno. Il tedesco, per mezzo della politica, doveva
riappropriarsene facendo un passo in avanti verso una nuova esperienza di
autenticità dell’esistenza. Il rifiuto heideggeriano della politica moderna
implicava la riflessione sul modello della pòlis
greca la quale costituiva, con la sua cultura, un esempio fondamentale per
rifondare il senso dell’esistenza umana nel mondo. Nella pòlis e nel mondo greco l’uomo aveva la percezione di abitare
nella dimora dell’essere. La città è
il luogo della storia, cioè il luogo in cui e per cui l’Esserci, cioè l’uomo,
storicamente sussiste. A tale luogo appartengono i templi, i preti, le feste, i
giochi, gli eserciti, le navi, le case. Tutto questo è politica ed è situato
nella storia dove ciascuno veramente è.
Josè Antonio[17],
dal canto suo, ritiene che il capo e
l’eroe siano al centro della politica. La politica non è un modo di pensare ma
un modo di essere. Il fascismo ripristina la verità che è al centro del sistema
politico. Una verità che ruota attorno al concetto cattolico di amore. Per José Antonio l’amore si
oppone a qualsiasi calcolo, è poesia oltre il calcolo e l’utilità. Così amore e
lirismo sono parte imprescindibile di ogni cultura politica: “Non c’è
trascinatore che non sia al tempo stesso poeta, così è Mussolini che parla al
suo popolo; così Hitler e suo romanticismo tedesco così è il poeta dei romeni,
Codreanu[18]”.
Il filosofo Carl Schmitt[19]
giustappone ne Il concetto di politico,
amico e nemico. La politica è una lotta contro il nemico. In questo senso non
si definiscono i confini della politica e della società. Significato politico
dell’ente è legato alla società che le ha prodotte. L’estensione dei concetti
della politica e il loro significato sono l’esito di una tradizione di
interpretazione. Se ne può dedurre che il nazionalismo, per esempio, può essere
ammesso da ideologie conservatrici o liberali, oppure rivoluzionarie. Chi
identifica il nazionalismo con un’unica ideologia è vittima di un
condizionamento pavloviano. Anche l’eugenetica e la sterilizzazione forzata non
erano monopolio nazista, ma elementi presenti in stati governati
democraticamente come gli Stati Uniti, la Norvegia, Svezia e Finlandia, prima
del nazismo. Così i termini politici come fascista,
comunista, reazionario e altri sono ambigui dobbiamo evitare ogni determinismo
ideologico (il marxismo e il liberalismo sono campioni di questo modo di
pensare deterministico).
Il dibattito sul fascismo e le
cosiddette “ideologie pericolose” è stato troppo segnato dal determinismo
ideologico. I concetti sono invece di molteplici significati, i tempi sono
molto diversi, malgrado i numerosi tentativi di sintesi. Il cuore del fascismo
è pagano, ma molti fascisti sono buoni cattolici, oppure luterani, oppure
ortodossi. Tale ambiguità è dovuta al fatto che gli ideali trasmessi dalle
parole sono suscettibili di numerose interpretazioni. Essi si possono intendere
in maniera costruttiva e umana, oppure in modo rigido. Quello che conta sono,
infatti, coloro che li interpretano. Ciò che conta sono anche le circostanze
storiche. In politica le idee vengono continuamente riciclate perché le parole
possono suscitare interpretazioni diverse. Decine di intellettuali si
avvicinarono alle idee fasciste mossi da motivazioni personali anche se più a
fondo c’è una unità di carattere ideale: la reazione alla decadenza europea,
pensata nondimeno in modo diverso a seconda dei contesti (decadenti sono gli
ebrei per Hitler, i bolscevichi per i finlandesi, per gli italiani decadente
era il germanismo austriacante). I rappresentanti delle élites intellettuali, che
avevano identificato la loro visione del mondo col fascismo, avevano eliminato
dal fascismo stesso ciò che non era loro gradito. Per loro era la rivolta
contro la malattia del secolo che aveva contaminato col suo materialismo la
civiltà e in tale malattia era compreso il marxismo e il liberalismo. Ad
impedire i processi di decadenza sarebbero state le virtù superumane indicate
da Nietzsche, l’eroismo, l’anti- individualismo, il misticismo, l’adesione ad
un’etica aristocratica che non escludeva, tuttavia, l’amore per il popolo. La
modernità, che considera l’uomo come un essere egoista, è spregevole perché lo
allontana dalla generosità morale e dal sentimento tragico della vita. Questo
era il loro pensiero, queste erano le loro aspirazioni, anche se, al posto
dell’idolo della modernità, hanno finito per installare un altro vitello d’oro.
Ma essi ritennero di dover correre questo rischio perché i pregi del fascismo
ai loro occhi rimanevano migliori e rendevano sopportabili i suoi errori e i
suoi difetti come il razzismo, il militarismo, le persecuzioni.
[1]
Scrittore norvegese, premio Nobel per la letteratura nel 1920, dopo la seconda
guerra mondiale fu internato in un manicomio a causa delle sue simpatie
fasciste. I suoi romanzi - pervasi da un
sentimento di comunione spirituale con le forze del cosmo e della natura (Pan), e non senza sensibilità per le
questioni sociali e la sperequazione che dilania le metropoli capitaliste (Fame) - contribuiscono a generare
un’immagine del mondo che va al di là del materialismo novecentesco,
contribuendo in modo decisivo alla formazione di quel clima culturale avverso
alla “decadenza moderna” che è tipico dei movimenti fascisti.
[2]
Forse il più grande poeta americano del Novecento, di cultura sterminata,
amante dell’Italia e impressionato dai successi di Mussolini, si stabilì nel
Bel Paese, sostenendo fino all’ultimo le sue ragioni del suo “Duce”. Esperto di
economia, vide nel fascismo un sistema di pensiero capace di restituire dignità
al lavoro umano contro le tendenze usuraie e materialiste del liberalismo.
[3]
Medico e scrittore francese, precursore della letteratura esistenzialista,
nelle sue opere egli compie una ricerca stilistica e formale di grandissima efficacia
estetica e comunicativa. In esse domina un pessimismo radicale sulla condizione
umana, che gli fa disprezzare i miti ottimistici del progresso, della pace e
della prosperità borghese, orientandolo decisamente verso il fascismo, inteso
come protesta estrema e violenta contro le idee e gli stili di vita del suo
tempo.
[4]
Giuseppe Prezzolini (1882-1982), giornalista e scrittore di orientamento nazionalista
e poi conservatore, fonda nel 1908 il settimanale “La Voce” per mezzo del
quale, assieme al suo amico Giovanni Papini e ad altri prestigiosi
collaboratori imprime una svolta alla cultura italiana. Pur essendo ammiratore
di Mussolini, non accetterà il fascismo come partito e ideologia.
[5]
Robert Brasillach (1909-1945), poeta, drammaturgo e romanziere francese. Genio
precoce della letteratura, collabora sin da giovane con alcune prestigiose
riviste letterarie, divenendo responsabile delle pagine culturali della rivista
dell’ Action française. Senza aver
commesso alcun reato, e solo per la usa collaborazione con il maggior periodico
politico-culturale della Francia di Vichy, viene arrestato e condannato a morte
da De Gaulle nel 1945.
[6]
Gabriele d’Annunzio (1863-1938), noto poeta e uomo politico italiano. Nella
città di Fiume dà origine all’esperimento politico della Reggenza italiana del
Carnaro, nel quale, ribellandosi contro la pochezza del governo italiano,
incapace di difendere i diritti dei connazionali fiumani, fonda una repubblica dei combattenti e dei poeti,
patriottica, libertaria, innovativamente socialista e profondamente permeata
dai suoi ideali estetici. Pur sempre nel contesto di una rivalità personale con
la Benito Mussolini, mai farà mancare il suo sostegno al regime, dal quale
otterrà a sua volta riconoscimenti e onori.
[7]
Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), poeta, letterato e uomo politico,
fondatore del movimento futurista, sin dall’inizio gli sono congeniali gli
ideali di grandezza nazionale, di modernizzazione, di potenza, e quel peculiare
socialismo di cui si fa portatore il movimento fascista, dando voce a quella
democrazia delle trincee che il poeta aveva vissuto nell’esperienza della prima
guerra mondiale. Convintamente fascista, celebra nell’ultima sua opera il corpo
militare della X MAS, ricostituitosi nella Repubblica Sociale Italiana, canto
del cigno del fascismo mussoliniano.
[8]
Mircea Eliade, forse il più grande storico delle religioni del Novecento, noto
per il suo Trattato di storia delle
religioni, simpatizza per la Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu
negli anni Trenta – movimento filo-fascista e cristiano/ortodosso rumeno con
forti tinte antisemite che lo avvicinano sotto questo aspetto al
nazionalsocialismo - e per i regimi
autoritari di Antonescu (Romania) e poi di Salazar (Portogallo).
[9] Roy
Campbell (1901-1957) scrittore sudafricano “sognava una società arcaica e
feudale che credeva di trovare in Spagna (la Spagna di Franco, n.d.r.) dove si
trasferì con la moglie. Il suo estremismo di destra era più vicino alla Falange
o al fascismo di Mussolini che al nazionalsocialismo (cui si oppone tenacemente
durante la seconda guerra mondiale, n.d.r.). In Spagna si convertì, insieme
alla moglie, alla religione cattolica” (T. Kunnas, Il fascino del fascismo, p. 87).
[10]
Windham Lewis (1882-1957), “amico di Ezra Pound, saggista e illustre artista
che fondeva nel vorticismo cubismo e futurismo, si ribellava al ‘liberalismo’
vittoriano. F.T: Marinetti soggiornò a Londra nel periodo in cui vi abitavano
Pound e Lewis; nelle idee e nell’arte di entrambi è riscontrabile l’influsso
futurista, benché nella patria dell’industrializzazione l’idolatria delle
macchine marinettiana non avesse carica
innovativa. Nel 1930 Windham Lewis visitò la Germania e, tornato in
patria, si adoperò per far conoscere Hitler e il nazionalsocialismo. Difese la
spedizione italiana alla conquista dell’Abissinia e si scagliava con veemenza
contro il parlamentarismo britannico, pur proclamandosi estimatore del
discernimento e della leadership di sir Oswald Mosley (fondatore della “British
Union of Fascists”, n.d.r.). Nel 1939 si dissociò dal sostegno di Hitler” (ivi, p. 85).
[11] Gottfried Benn, poeta tedesco
(1886-1956). “Dai tetri
affreschi di Morgue ai preziosi mosaici di poesia
statica della produzione tarda, dalla prosa assoluta distillata nelle
psichedeliche vicissitudini del più celebre dei suoi alter-ego,
il sifilopatologo Werff Rönne, fino alle iridescenti stilizzazioni delle prose mature
(Romanzo del fenotipo, Il tolemaico), colui che elesse Pallade a nume tutelare (e
spettrale) in un mondo disertato tanto dalla ragione quanto
dagli dèi, per tutta la vita seguì il fil rouge di
una sola, inaggirabile, primaria intuizione: «in pace o in guerra, al
fronte o nelle retrovie, da ufficiale come da medico, fra trafficanti ed
eccellenze, davanti alle celle dei manicomi e a quelle delle prigioni, accanto
ai letti e alle bare, nell’ora del trionfo e in quella della caduta, non mi ha
mai abbandonato la trance che questa realtà non
esista.» Di sé avrebbe forse detto – chiosando con un celebre
passaggio di Gehirne – «vivevano tutti con il centro di gravità fisso su meridiani, tra
rifrattori e barometri, lui solo gettava sguardi oltre le cose, paralizzato
dalla nostalgia di un azimut, gridava invocando una chiara pulizia logica e una
parola che finalmente lo afferrasse” (http://poesia.blog.rainews.it/2019/09/portrait-di-gottfried-benn-1886-1956/).
Critico feroce del progresso, dell’evoluzione, di ogni determinismo storico,
del macchinismo moderno, il poeta aderisce per breve tempo al
nazionalsocialismo vittorioso, per poi ritirare il suo consenso pubblico e
arruolarsi come ufficiale medico nell’esercito, in quell’emigrazione interna
che vide protagonisti molti intellettuali i quali, pur non sostenendo il
nazionalsocialismo, non intesero abbandonare la Germania.
[12] Friedrich
Wilhelm Nietzsche (1844-1900), filologo e filosofo tedesco, fu grande
innovatore del pensiero occidentale che aspirò ad emancipare dalla tradizione
cristiana in nome dei valori terreni della vita. Quest’ultima era da lui
concepita come volontà di potenza, creatrice di arte, di morale e di stili
originali in coloro che sanno farsene
portatori e celebrarla consapevolmente. Di qui il suo sovrumanismo
aristocratico, alla ricerca di una grandezza sganciata dalle leggi morali e da
quelle religioni che, nate secondo lui da uomini mal riusciti e incapaci di
vivere fino in fondo, ambivano a ricondurre tutti ad un’uguaglianza verso il basso, nemica
della libertà, della magnanimità e di ogni bellezza. Il superuomo, fedele alla
terra e forte di una volontà incrollabile, diveniva così il nemico principale
dei socialismi egualitari e delle democrazie livellatrici. Anche la statolatria
e il nazionalismo erano però da lui ritenuti volgari, come tutto quanto tendeva
a far scomparire il valore individuale nell’anonimato del gregge. Dalle sue
idee presero spunti numerosi
intellettuali che nel Novecento inventarono o aderirono al fascismo, benché in
senso stretto sia impossibile qualificare Nietzsche come fascista, non solo per motivi storico-anagrafici, ma anche perché
la ricchezza del suo pensiero che è divenuta oggetto di riflessione e
ammirazione da parte di uomini di tutti gli orientamenti politici. Avendo la
sua filosofia una dimensione epocale – poiché coglie i problemi e le
aspirazioni fondamentali dell’uomo moderno – la sua è una presenza costante nel
XX secolo, ad ogni latitudine culturale e politica e ovunque si sia preso sul
serio il compito di interpretare i problemi e il senso della civiltà
contemporanea.
[13] “Il
21 settembre 1972 muore suicida lo scrittore e drammaturgo Henry de
Montherlant. Nato a Parigi il 21 aprile 1896, volontario e ferito nella 1a
guerra mondiale, fu proscritto come collaborazionista nel dopoguerra, si
definiva ‘anarchico di destra’. Come scrittore fu particolarmente precoce:
scrisse infatti il suo primo libro La vie
de Scipion (mai pubblicato) quando aveva appena dieci anni e a venti anni
pubblicò a sue spese La Releve du Matin,
dopo il rifiuto di undici editori, un omaggio ai soldati della Grande Guerra.
Nel 1923 scrisse Les Olympiques,
opera nella quale celebrava i cultori dell’atletica leggera. La tauromachia, di
cui fu particolarmente appassionato (a quindici anni uccise il suo primo toro),
gli ispirò uno dei suoi migliori libri: Les
Bestiaires (1926). I suoi primi successi furono la tetralogia Les jeunes filles (1936-1939) e Les célibataires (1934). In Les jeunes filles Monteherlant si
scaglia contro l’esaltazione dei “valori femminili”, a cui addita la decadenza
del mondo contemporaneo, a detrimento di quelli “virili”. Montherlant, in
quest’opera, alza la sua protesta contro un’epoca in cui i grandi valori
individuali vanno spegnendosi e la democrazia diffonde conformismo” (https://www.ugomariatassinari.it/suicido-henry-de-montherlant/)
[14] Pierre
Eugène Drieu La Rochelle (1893-1945) scrittore, romanziere e saggista francese,
influenzato dall’esperienza della Prima guerra mondiale (raccontata nella Commedia di Charleroi), per tutta la
vita cercherà nella politica la risposta alle domande sul destino individuale
che mai vedrà separato dall’appartenenza alla Francia. Valori estetici, etici,
un senso di estraneità verso la mediocrità borghese, faranno capolino nei
personaggi più riusciti di opere come Gilles,
L’uomo a cavallo, Fuoco Fatuo, Diario di un delicato. A ciò si associa una peculiare visionarietà
politica che gli fa immaginare un “socialismo fascista”, capace di elevare le
masse europee al piano di una grandezza superomistica che poteva e doveva
essere socializzata e nazionalizzata. L’Europa, che doveva unirsi per affermare la propria civiltà e tradizione
contro l’arrembaggio delle potenze asiatiche e americane, avrebbe trovato nel
fascismo quel collante in grado di raccogliere il senso di appartenenza di ogni
uomo del Vecchio continente, oltre le decadenti ideologie materialiste della
democrazia liberale e del marxismo, Coerentemente vicino alla repubblica di
Vichy, si uccide prima di essere catturato dagli antifascisti alla fine del
secondo conflitto mondiale.
[15]
Giovanni Gentile (1875-1944) insieme a B. Croce, il maggior filosofo italiano
del Novecento. Si inserisce nella tradizione idealistica rinnovando genialmente
la logica, la metafisica e l’etica hegeliane. Valorizza Marx non tanto come
filosofo del comunismo e dell’insurrezione proletaria, ma come filosofo della
prassi. Politicamente è convinto che il fascismo sia l’erede genuino della
grande stagione del Risorgimento, che nel movimento mussoliniano trova il suo
compimento con l’integrazione delle masse nella sostanza etica dello Stato
nazionale. Così egli pensa che il fascismo realizzi il meglio del carattere e
della storia nazionale, consentendo all’uomo contemporaneo la più profonda
partecipazione alla vita dello Spirito. Sempre fedele a Mussolini, che lo
ricambia affidandogli importanti incarichi di governo, tra cui l’elaborazione
della riforma della scuola, e di politica culturale, come la realizzazione del
progetto dell’Enciclopedia italiana, dopo aver aderito alla Repubblica Sociale,
muore assassinato in un agguato terroristico messo in atto da partigiani
comunisti.
[16]
Martin Heidegger (1889-1976) è un grande pilastro della cultura del Novecento,
le cui riflessioni hanno avuto influenza determinante, oltre i confini della filosofia
in senso stretto, in diverse discipline
come la storia, la linguistica, la critica letteraria, la psichiatria, l’antropologia
e la teologia. La sua maggiore opera, Essere
e Tempo, viene pubblicata nel 1927. Nel 1933, all’ascesa di Hitler,
collabora con le autorità del III Reich
e viene nominato rettore dell’università di Friburgo, incarico che lascerà l’anno
successivo, rinunciando a ulteriori ruoli di visibilità pubblica, senza mai
tuttavia opporsi al regime. “Filosoficamente il punto nodale del nazionalsocialismo
heideggeriano risulta essere la nozione di “orizzonte ontologico”, inteso come
trascendenza e superamento del singolo soggetto nella sua individualità. In
questo senso, numerose pagine di Sein und
Zeit (Essere e tempo) descrivono
chiaramente un’idea di storia, di umanità e di essere che, sebbene non
giustapponibile da nessun punto di vista al razzismo del Mein Kampf, mostra la fondazione di una ben precisa concezione di
Nazionalsocialismo. Questo punto cruciale è accuratamente chiarificato
dall’analisi di George Steiner, il quale scrive che vi sono ‘delle connessioni
reali tra il linguaggio e la visione di Essere e tempo, specie nelle ultime
sezioni, e quelli del Nazismo. Coloro che negano ciò sono ciechi o bugiardi
[…]. Sia il Nazismo sia l’antropologia ontologica di Essere e tempo sottolineano la concretezza della funzione dell’uomo
nel mondo, la primordiale santità della mano e del corpo. Entrambi esaltano la
mistica affinità tra il lavoratore e i suoi strumenti in una innocenza
esistenziale che deve essere purificata dalle pretese dell’intelletto astratto.
A questa accentuazione si accompagna una tensione sul radicamento, sul rapporto
intimo fra sangue e ricordo, che un autentico sentire umano ha rispetto alle
sue radici natali. La retorica heideggeriana del sentirsi-a-casa, dell’organico
continuum che avvicina il vivente al morto ancestrale sepolto accanto, si
adatta senza sforzo alcuno al culto nazista del sangue e della terra.
Parallelamente, le accuse hitleriane ai cosmopoliti senza radici, alla
plebaglia urbana e alla intelligencija
senza patria che vive parassitariamente sull’elegante suolo della società,
riecheggiano da vicino la critica heideggeriana del “si”, della modernità
tecnologica, dell’ indaffarata irrequietezza dell’inautentico’” .
(http://www.kasparhauser.net/culture%20desk/heideggernazismo/cata-esserethule.html).
(http://www.kasparhauser.net/culture%20desk/heideggernazismo/cata-esserethule.html).
[17]
José Antonio Primo de Rivera (1903-1936) è il fondatore della Falange española, un movimento fascista che
dal 1933-34 insieme alle JONS (Juntas de
ofensiva nacional sindacalista) contrasta l’egemonia repubblicana e
comunista, collaborando con la ribellione franchista nella guerra civile.
Imprigionato senza per motivi
esclusivamente politici dal governo repubblicano, viene fucilato nel 1936.
[18] Corneliu
Zelea Codreanu (1899-1938) è il fondatore nel 1927 della Guardia di Ferro,
movimento fascista e cristiano ortodosso dalla radicale vocazione alla
giustizia sociale. Così lo descrive Julius Evola: “Ci viene incontro un giovane
alto e slanciato, in vestito sportivo, con un volto aperto, il quale dà
immediatamente una impressione di nobiltà, di forza e di lealtà. È appunto Cornelio Codreanu, capo della Guardia
di Ferro. Mentre i suoi occhi grigio-azzurri esprimono la durezza e la fredda
volontà propria ai Capi, nell’insieme dell’espressione vi è simultaneamente una
singolare nota di idealità, di interiorità, di forza, di umana comprensione.
Anche il suo modo di conversare è caratteristico: prima di rispondere, egli
sembra assorbirsi, allontanarsi, poi, ad un tratto, comincia a parlare,
esprimendosi con precisione quasi geometrica, in frasi bene articolate ed
organiche […]Vi sono da un lato coloro che conoscono solo la ‘vita’ e che
quindi non cercano che la prosperità, la ricchezza, il benessere, l’opulenza;
dall’altro lato vi sono coloro che aspirano a qualcosa più che la vita, alla
gloria e alla vittoria in una lotta interiore quanto esteriore. Le Guardie di
Ferro appartengono a questa seconda schiera. E il loro ascetismo guerriero si
completa con una ultima norma: col voto di povertà a cui è tenuta l’élite dei
capi del movimento, con i precetti di rinuncia al lusso, ai vuoti divertimenti,
agli svaghi cosiddetti mondani, insomma con l’invito ad un vero cambiamento di
vita che noi facciamo ad ogni legionario” Codreanu muore assassinato in carcere
su ordine di re Carol per mano alcuni poliziotti corrotti dal suo ministro
Calinescu.
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Carl Schmitt (1888-1985) tra i principali giuristi e filosofi del diritto del
Novecento, indaga con grande acume anche la sfera della politica cercandone le regolarità
e i fondamenti nella civiltà occidentale. Diventa per breve tempo presidente
dei giuristi nazionalsocialisti tedeschi, per poi ritirarsi nel 1936 dalla vita
pubblica a causa dell’attacco della rivista delle SS “Das schwarze Korps”. Dopo la seconda guerra
mondiale, bandito dall’insegnamento universitario, scrive il testo Il nomos della terra che rappresenta una
pietra miliare degli studi di geopolitica.
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