di Gino Pincini e Massimo Maraviglia
Da un punto
di osservazione interno al mondo della scuola e a partire da un costante
impegno politico alla ricerca del bene comune, vorremmo sottolineare alcune questioni
che paiono di primaria rilevanza per connotare la stagione dell'attuale governo come un momento di autentica svolta nel campo della cultura, a partire
naturalmente dall'istruzione, così positivamente segnato da una dinamica
partenza all'insegna del merito.
1)
Propriamente attorno al merito si possono determinare nuovi assetti di tutto il
comparto, riposizionati attorno al tema della qualità culturale dei servizi
formativi, contrapposta alla tematica della scuola come forma di assistenza
sociale e di addestramento meccanico al problem-solving
economico-produttivo. Quindi conoscenza e critica contro competenza e
conformismo, nella consapevolezza che anche al mondo economico servono forme di
iniziativa e di governo riflessive, consapevoli, capaci di sguardi complessivi
con i quali le sfide del futuro possono essere comprese, affrontate e vinte.
Dentro
questo quadro generale si possono definire alcuni ambiti di intervento:
2)
Considerare il ruolo degli apparati tecnologici affinché il (troppo) denaro
investito dal Piano scuola 4.0 non
serva a generare una tecnologizzazione effimera e controproducente della
didattica, ma sia posta al servizio di scopi aventi una precisa finalità di
formazione culturale. Le aule rotonde e le stupidaggini sul cosiddetto setting
della classe non generano apprendimento, ma sono un aggiornamento del triste
esperimento dei banchi a rotelle; allo stesso modo la digitalizzazione
ossessiva veicola l'errata convinzione che la comodità tecnologica possa essere
un valido sostituto dell'impegno soggettivo. Dunque, sarebbe necessario
indirizzare, per quanto possibile, le energie della scuola su progetti ben
lontani dall'inconcludenza di coloro per i quali la cultura è un episodio, un
pretesto, un assaggio senza profondità, storia, contenuti organici e razionali
da acquisire e gestire. L'orientamento dovrebbe essere quello di valorizzare le
tecnologie informatiche come funzioni della cultura e non viceversa.
3) Concepire
il sostegno didattico allo studio non come sussidio di Stato – una sorta di reddito
di cittadinanza per renitenti alla scuola - ma come prassi culturale,
contenutistica e disciplinare in grado di determinare un concreto progresso
nello sforzo di apprendimento dello studente, connesso alla concreta
valorizzazione delle sue attitudini e del suo impegno. L’unico ausilio per offrire
a ciascuno una chance di successo nella vita scolastica non è il
cosiddetto insegnamento ad apprendere, fumoso chiavistello per l’onniscienza
che si vorrebbe fornire con la magica bacchetta delle nuove pedagogie, ma allo sforzo
per apprendere, vera condizione (necessaria sebbene non sufficiente) di
ogni attività conoscitiva, cui gli studenti più in difficoltà spesso sono
disabituati.
4) Di contro al sistematico assottigliarsi dello spessore
conoscitivo della scuola, la riflessione su alcuni programmi disciplinari si
impone. La storia non può certo essere considerata marginale. Al contrario,
l'unico antidoto all'appiattimento unidimensionale dell'istruzione a cassetta
degli attrezzi e a libretto di istruzioni per l'accesso all'età adulta e
lavorativa, appare essere una storicizzazione radicale dell'offerta formativa.
Ovunque le ideologie dominanti propongono il dogma, bisogna rispondere con la
storia, ovunque vi sia un imperativo tecnico bisogna opporre una decostruzione
storica, ovunque il presente invada con le sue necessità e chiuda gli
orizzonti, il passato deve riaprirli per mostrare che le possibilità non sono
determinate e le scelte mai scontate né obbligate. La storia libera e dinamizza
laddove i meccanismi socio-politici e le routines culturali bloccano e
paralizzano. Ecco allora la necessità di rivedere il ruolo di questa materia
nei diversi ordini e gradi reintroducendo quella antica dalla primaria e
offrendo ai ragazzi quella possibilità di ritorno sugli stessi temi e periodi a
differenti livelli di approfondimento che è essenziale per frequentare le
proprie tradizioni e il proprio passato senza limitarsi alle spruzzatine estemporanee
di scenette storiche disorganiche, isolate, e prive di essenziali punti di fuga
prospettici. La storia antica, quindi, va affrontata anzitutto come forma di
acquisizione di una salutare distanza dal presente: l’allievo grazie ad essa
avrà modo di riflettere gradualmente, fin da bambino, sulle dinamiche
collettive delle azioni umane partendo da narrazioni che hanno popolato
l’immaginario di infinite generazioni che l’hanno preceduto. Potrà farlo con
passione, secondo la propria sensibilità e al contempo al riparo da ogni forma
di visceralità. Riteniamo che una smodata somministrazione di attualità in
mancanza di prerequisiti cognitivi possa solo disorientare, provocando due
fenomeni reattivi altrettanto patologici: la disaffezione verso il presente (fenomeno
oggi di proporzioni preoccupanti) o l’incapacità di valutare lucidamente i
fatti contemporanei e recenti. Non è poi retorico dichiarare apertamente che lo
studio della storia e della civiltà greco-romana prepara ad acquisire la
necessaria confidenza con quella tradizione classica che noi sentiamo come
primato morale e civile degli italiani insieme a quella cristiana, ma che nei
secoli si è irradiata nel mondo, diventando un patrimonio di civiltà condiviso
perfino oltre i confini del mondo occidentale. Infine, in quanto storia plurale, essendo stata l’Italia un
costante crocevia di popoli, culture e consuetudini, tale ambito va visto come
essenziale strumento di educazione politica, alla convivenza, al diritto, e in
quanto condivisione del comune e antico retaggio richiamato anche dai Grandi
della nostra letteratura, come sprone al sacrificio per il bene della propria
comunità vissuto come l'ethos classico che ci accomuna e consolida le
nostre vite individuali. Ma poi anche la storia medioevale e moderna deve
connotarsi come l'apertura alle radici comuni di civiltà che hanno
contrassegnato i popoli europei, molto al di là delle odierne asfittiche
burocrazie continentali. Alla luce di queste priorità, vorremmo ribadire, il
contemporaneo va dosato con saggezza e prudenza. All'estensione fino
all'altro-ieri, va preferita una conoscenza "intensiva" del Novecento
con un approccio più critico alle fonti e con meno preoccupazioni di carattere
cronachistico (molto esposte ai rischi di ideologizzazione e strumentalizzazione
pseudo-politica). Da questo punto di partenza, la storicizzazione dei
programmi, in linea con la più autentica tradizione italiana, dovrebbe
attraversare tutte le materie, comprese quelle scientifiche e matematiche,
laddove la conoscenza non solo della legge, del teorema e della sua
articolazione razionale ma anche degli sforzi umani compiuti per guadagnarla e
degli infiniti dibattiti, tentativi ed errori che costellano il cammino del
sapere, consentirebbe un'assunzione critica e assai più feconda dei loro
contenuti.
Questi sono
solo alcuni temi che si dovrebbero mettere al centro di una discussione sulle
politiche scolastiche, avvertendo ora più che mai che il fanciullo che i Greci
chiamavano kairòs e noi indichiamo
con il termine occasione, sta
passando e va afferrato per la sua lunga chioma prima che scompaia
dall'orizzonte, lasciando alle sue spalle le rovine di una scuola sempre più
appiattita sulle derive del pedagogismo progressista, mai contrastato e anzi spesso sostenuto dalla
colpevole inconsapevolezza dei passati ministeri di centro-destra.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
Nessun commento:
Posta un commento