Ripubblico questa intervista a cura di Pierluigi Arcidiacono, rilasciata alla rivista telematica "Destra.it", nella convinzione che oggi non solo si possa fare di più ma si debba fare di più. Il Miur deve assolutamente cambiare il suo approccio, troppo simile a quello dei precedenti governi, e trovare il coraggio di andare controcorrente, perseguendo il bene comune degli studenti, degli insegnanti e di tutta la comunità nazionale. In una prospettiva di medio periodo ciò è ancora possibile. Nel mio piccolo non mancherà il pungolo di riflessioni e critiche, provenienti dall'esperienza dell'insegnamento e della militanza politica. Questo intervento riassume i temi sui quali è necessario secondo me insistere, nella consapevolezza delle mediazioni che la prassi di governo deve per forza sopportare, ma nella corrispettiva convinzione della necessità che una linea guida culturale e ideale differente dai dogmi delle élites dominanti (quelli che hanno distrutto la scuola contemporanea) debba emergere.
Si è svolto a Milano lo scorso 6
settembre il convegno: SCUOLE PARITARIE – PROPOSTE PER MILANO. Ha introdotto i
lavori (davvero brevemente) il candidato Sindaco del “Centrodestra” Luca
Bernardo. Molti sono rimasti perplessi dall’atteggiamento dei giornalisti che
hanno atteso Bernardo quasi con un paio d’ore d’anticipo all’esterno della sala
e dopo avergli posto alcune domande non inerenti al tema del convegno (alcune
anche banali…) hanno disertato la sala e non sono entrati a seguire
l’importante incontro organizzato a poco più di una settimana dalla riapertura
delle scuole. Tra gli intervenuti Massimo Maraviglia del Dipartimento Scuole di
Fratelli d’Italia, al quale abbiamo posto alcune domande.
Maraviglia è insegnante di Storia
e Filosofia nei licei. Si è occupato di pratiche filosofiche, di etica, del
rapporto tra politica e teologia e di pedagogia pubblicando testi e articoli in
diverse riviste scientifiche. Avendo a cuore il richiamo platonico al dovere
filosofico dell’impegno politico, non ha disdegnato né disdegna la militanza,
intesa come atto di gratitudine verso la propria comunità e di critica verso
chiunque ne usurpi la guida.
Lei insegna al “Gonzaga”,
scuola paritaria che ha origine da Giovanni Battista de La Salle. Sappiamo
quale fu l’opera importante di questo santo, Patrono degli insegnanti e degli
educatori. Secondo lei è ipotizzabile, nel mondo moderno (e specialmente in
Italia, magari a Milano), una scuola al pari dei migliori istituti come il San
Carlo, il San Celso e il Gonzaga, ma per studenti che non appartengano a
famiglie agiate?
Quando Suor Anna Monia ha parlato
del suo auspicio di vedere una scuola paritaria frequentata da tutti e anche
dalle famiglie meno abbienti, avrei voluto idealmente abbracciarla perché
questo è il senso ultimo, profondo e vero della scuola cattolica: promuovere la
cultura e dunque la crescita personale di tutti, aiutando soprattutto chi nella
società appartiene al popolo di coloro che non hanno proprietà e denaro, ma il
cui contributo è fondamentale alla vita di tutti, perché tutti sono popolo di
Dio. Leon Bloy diceva che, anzi, ai poveri vanno dedicate le cose migliori di
questo mondo: “Le delizie sono per i poveri” dice il grande scrittore francese
nel suo “Il sangue del povero”. Ma naturalmente egli non ha fatto che
riformulare un’antica verità cristiana che Giovanni Battista de La Salle aveva
compreso benissimo e alla quale dedicò la sua vita cogliendo in Gesù la persona
dell’unico Maestro cui vanno ricondotti tutti gli uomini in qualità di allievi,
e soprattutto coloro che più hanno bisogno di Lui e che Lui ha destinato alla
via breve per il Regno, i poveri: “Onorate Gesù Cristo nella persona dei
fanciulli poveri e preferiteli ai ricchi poiché sono l’immagine viva di Gesù e
i più amati da Lui!”. Quella di vedere
trasformate le opere fondate dal Santo di Reims in luoghi per ricchi è una
condanna, alla quale i Fratelli delle Scuole Cristiane cercano di sottrarsi,
operando meritoriamente nel Terzo Mondo e dirottando le energie economiche
raccolte nel Primo a favore dei meno fortunati…ma anche qui da noi si può fare
di più, come giustamente dice suor Anna Monia, riconoscendo l’imprescindibile
valenza pubblica della scuola paritaria e offrendo a tutti la possibilità di
parteciparvi con le stesse risorse che oggi si spendono mediamente per ogni
alunno della scuola statale (cioè “senza oneri per lo Stato”). Sarebbe niente
meno che giustizia: le tasse dei cittadini ritornano ai cittadini sottoforma
non di un servizio standard, uniforme, obbligato e monocorde, ma come
possibilità di scelta tra diversi stili educativi e culturali. Ma la giustizia
diventerebbe condizione per qualcosa di più: caritas cioè l’albeggiare
di nuove possibilità civili e morali in quella centralità – mistica e sociale
al tempo stesso – del povero e del popolo che dà il tono e lavora sotto
l’intera storia dell’Europa o della Cristianità, sempre viva e operante
quand’anche sepolta sotto la spessa coltre degli interessi dei Principati e
della Potenze. Una scuola cattolica, paritaria e di popolo sarebbe altresì una
scuola autenticamente nazionale, cioè in grado di contribuire a garantire
l’accesso di tutte le energie della nazione agli strumenti migliori per fiorire
e realizzarsi. Una comunità nazionale che chiude le porte ai poveri è una
comunità povera. Al contrario le delizie – cioè i livelli più alti di qualità –
sono per i poveri – e i livelli più alti di qualità si generano solo nella
sinergia delle forze sociali della scuola paritaria e di quelle istituzionali
della scuola statale.
Quale potrebbe essere il
criterio di ammissione degli studenti?
Il miglior criterio è …nessun
criterio. Non capisco sinceramente, anzi per la verità qualche ipotesi potrei
avanzarla, questa smania anglosassone ed elitista della “selezione in entrata”.
Selezioni in entrata per poi fare una scuola di livello infimo, a metà tra il
centro benessere, il servizio di assistenza sociale e l’associazione di coaching
e counseling psicologico, come vorrebbero le più aggressive correnti del
più deleterio pedagogismo contemporaneo? No, a scuola si fa cultura e la
cultura è di per sé selettiva. Chi si impegna e ha i talenti minimi per
acquisirla lo fa, per gli altri vanno pensati percorsi alternativi, garantendo
anche a chi non vuole studiare il diritto di non studiare e di trovare
ugualmente il suo posto nella comunità. Pari condizioni di partenza garantite a
tutti; diverse, fatalmente diverse, condizioni di arrivo, dove però sempre l’eccellenza
è premiata, il valore riconosciuto, l’impegno stimolato e infine dove tutti,
anche i meno capaci culturalmente, secondo giustizia trovano il loro posto
nella vita civile, perché riconosciuti nel valore che rappresentano e nelle
abilità che possiedono.
Se lei avesse la bacchetta
magica, e potesse dar vita a una propria scuola, da quale ciclo inizierebbe
(come si chiamavano una volta): Elementari, Medie o Superiori?
Tutti i cicli hanno uguale
rilevanza nella misura in cui l’uno fonda l’altro. Se uno lavora sulla
personalità infantile, l’altro su quella adolescenziale e ciascuno vive diverse
eppur proporzionali difficoltà. In ogni ciclo, tuttavia, va riaffermata la centralità
della persona e della cultura. Il criterio deve sempre essere orientato alla
formazione integrale della persona mediante la cultura. Il ruolo educativo
della scuola si esplica, infatti, in tale campo mentre il resto appartiene alla
sfera della famiglia, con cui la scuola si deve coordinare nel rispetto dei
rispettivi ambiti d’azione. L’urgenza educativa, d’altro canto, si sente in
ogni ordine e grado della scuola: ovunque si avverte l’attacco aggressivo delle
nuove pedagogie, quelle che depotenziano la finalità culturale a favore di un
più generale “accudimento”, attaccando la funzione docente, sempre più ridotta
al baby sitting psicosomatico,
svilendo la prassi valutativa in nome di un egualitarismo livellatore e
straccione, distruggendo il rapporto fecondo dell’educazione con la tradizione
storica e spirituale d’appartenenza per lasciar spazio ai globalismi senz’anima
e all’imporsi dell’homo consumens, vera e propria sincope antropologica
della civiltà europea. Come ho spiegato altrove, le nuove pedagogie agiscono
come una setta che intende affermarsi in simbiosi con la sinistra politica, di
cui rapprensenta la longa manus scolastica. La scuola paritaria può
avere una funzione positiva nel trattenere e rallentare i processi egemonici in
atto, che trovano invece terreno fertile nella scuola statale sindacalizzata e
burocratizzata.
Supponendo che vi fosse un
Governo forte che favorisse un modello di scuola così, come si potrebbe, poi,
sopravvivere all’eventuale cambio alla guida del Paese?
Il problema esiste ed è anzi più
generale: ogni ministro e ministrucolo di questa disgraziata repubblica vuole
promuovere la sua riforma scolastica, sempre sulla base di qualche slogan
neo-pedagogico male orecchiato e peggio realizzato. C’è veramente da domandarsi
se non sia necessario inserire tra gli obiettivi programmatici di governo
dell’istruzione la “stabilità” organizzativa e legislativa della scuola,
centellinando gli interventi secondo una rigorosa gerarchia di necessità e
disponendosi a sopportare anche taluni difetti per evitare quell’esito
dissolutivo e liquido cui conduce l’ansia irrazionale della riforma per la
riforma. Finora, fatte salve pochissime eccezioni (mi ricordo solo del prudente
ministro Fioroni), tutti gli occupanti del ministero dell’Istruzione hanno
voluto segnare il territorio e lo hanno fatto per lo più con le loro deiezioni
cioè con una più o meno scellerata “riforma”. Ciò malgrado è ancor
distinguibile, sotto la coltre delle violente manomissioni del dopoguerra,
l’impianto gentiliano della scuola italiana, quello che ancora dà ai nostri
studenti all’estero un cospicuo vantaggio sui loro coetanei, benché i criteri
di valutazione internazionali (ideologicamente molto sospetti) tendano a non
riconoscerlo.
Una certa cultura (senza mezzi
termini diciamo pure: la Sinistra) ha così paura di una Didattica che non sia
quella fornita dalle scuole statali?
La sinistra ha paura della
didattica in generale e nelle scuole statali sta esercitando la sua ideologica
e talvolta violenta egemonia, svilendo, come ho detto, la cultura secondo il
criterio deweiano: “Non abbiamo bisogno di buoni cervelli, ma di buoni cittadini”.
Così l’uniformità sociale e il buon funzionamento degli apparati di produzione
e consumo vengono anteposti ai fini spirituali della formazione e di qui
scaturisce una serie infinita di conseguenze nefaste per la scuola, tra le
quali l’enfasi sulle cosiddette “competenze” a scapito delle conoscenze, come
se l’insegnamento fosse ridotto ai trucchetti per cavarsela nella vita e alle
scorciatoie metodologiche per risolvere problemi (produzione-consumo) invece
che allargato ai vasti orizzonti di ciò che l’uomo ha elaborato nei secoli per
cercare il senso di sé e del mondo. Ma non è tutto: all’intervento sottile sul
piano della didattica, si associa quello grossolano e volgare sul piano
dell’indottrinamento. Ecco allora gli assalti dell’ideologia gender ed
LGBT, dell’ecologismo radicale e antiumano, dell’ateismo militante, del
democratismo assembleare, del globalismo dei diritti umani che spesso sfociano
nella difesa di forme incivili e criminali di umiliazione e/o soppressione
della vita umana come droga, aborto ed eutanasia … La scuola statale dovrebbe
essere preservata dall’occupazione degli agit-prop di sinistra che confondono
la loro professione con quella del commissario politico. Vi sono tanti
insegnanti bravissimi che lavorano da soli e senza appoggi remando
faticosamente controcorrente rispetto alle imposizioni delle lobbies
socialdemocratiche. Costoro dovrebbero essere sostenuti da una Destra dinamica
e consapevole, non più culturalmente suddita dell’avversario, capace di
elaborazione e di approfondimento, non per sostituire un’egemonia con un’altra,
ma per superare il concetto stesso di egemonia: non si tratta più di costruire
artificialmente il consenso attorno ad alcune idee che, per essere costruite a
tavolino, necessitano di un’opera strategica e talora dissimulata e occulta di
persuasione per collocarsi forzatamente nel foro interno degli individui, ma di
ritornare alla natura delle cose e all’evidenza della vita, a quella
spontaneità umana e vitale che risorge ogniqualvolta lo spirito rompe i ceppi
delle sovrastrutture ideologiche e lascia che le cose stesse si offrano alla
sua coscienza, in una relazione libera con la tradizione, in uno sguardo
limpido e curioso sul mondo e il suo mistero. La scuola paritaria, entrando in
un sistema simbiotico e fecondamente competitivo con quella statale può
svolgere un ruolo di stimolo e di vivace richiamo al dovere per la scuola tutta
di superare la funzione di riproduzione e conferma dell’ideologia dominante,
per diventare assalto al cielo di una verità libera e liberante, a partire da
una pluralità imprevedibile e fantasiosa di punti di attacco.
Insomma, hanno costruito un
mondo che oggi è difficile scardinare?
Vero, ma si tratta di un mondo
costruito che spera di esorcizzare il cambiamento attraverso la sua disperata e
continua reiterazione, in modo da istituzionalizzare il Divenire e quindi da
renderlo inoperante. La scuola delle riforme ricalca tale modello. La sua
sempre più scarna e ideologica offerta culturale corrisponde a tale progetto
che rimuove anzitutto i fondamenti, la ragione, la ricerca della verità, per
concentrarsi sulla costruzione di modelli fungibili e strategie sempre nuove di
manipolazione della realtà. Ma proprio perché effetto di un artificio, v’è
ragione di ritenere che alla fine la Norma soffocata riprenda il suo spazio e i
suoi diritti. Evola parlava spesso di uno stile di vita normale contrapposto
alle degenerazioni della modernità. Ti dirò che questo uso del termine
“normale” non mi piaceva: mi appariva un po’ reazionario e un pizzico borghese.
Ora invece, nel contesto contemporaneo, comprendo appieno la ricchezza della
parola “normale”, un termine che bisognerebbe rimettere in circolo.
Del nuovo lessico cosa ne
pensa? Lo sa che un giornalista RAI (forse senza sapere che si tratta di un
equivoco…) ha scritto: cantantessa?
La questione del linguaggio è
estremamente complessa ma al tempo stesso più urgente che mai. Il grande
filosofo del linguaggio J. Austin diceva che “si possono fare cose con le
parole”: il linguaggio ha una potenza performativa cioè è in grado di cambiare
la realtà. In questo sua deferenza per la parola Austin non era lontano dal suo
antico predecessore greco, Gorgia da Lentini che, stupito, diceva: “La parola è
una gran dominatrice che, anche col più piccolo e invisibile corpo, cose
profondamente divine sa compiere”. Per questo i grandi progetti di ingegneria
sociale non possono prescindere dal linguaggio e si fondano tutti sulla
consapevolezza più o meno esplicita che chi controlla il linguaggio controlla
il pensiero e chi controlla il pensiero controlla l’azione. Il tuo esempio si
riferisce al femminismo e richiama l’attenzione sulla la moda di femminilizzare
artificialmente i termini comuni, anche se magari un modo corretto per
esprimersi senza equivoci già esiste. Ebbene il femminismo, nelle sue correnti
più radicali è propriamente un esperimento di ingegneria sociale che punta alla
costruzione di un matriarcato rivendicativo e vendicativo. Esso si sposa con le
ideologie della manipolazione antropologica e con l’antropologia
dell’indifferenza e/o della liquidità sessuale. Il grande progetto egualitario
della borghesia liberale, transitato nelle mani del proletariato
rivoluzionario, passa il testimone alle élites post-moderne, post
industriali, post borghesi e post proletarie, che hanno assunto il patchwork
come ideale sociale e antropologico, dove la mescolanza e l’indifferenza
diventano il trampolino per l’uniformizzazione edonistica e consumistica della
convivenza civile. Tale progetto prevede
la cancellazione di tutti i retaggi “oscurantisti” del passato anche tramite
una radicale ristrutturazione del linguaggio e la severa selezione di ciò che
si può e non si può dire. Ecco allora l’ondata proibizionistica del
puritanesimo linguistico: il politicamente corretto. Si tratta di un
lasciapassare preventivo per accedere ai piani alti dell’organizzazione
sociale, cioè per godere più estesamente (con una differenza quantitativa più
che qualitativa) del comfort e dei piaceri offerti dal sistema
produttivo. Con tale passaporto l’apparato si tutela dalle ribellioni e dalla
possibilità di pensare in modo conflittuale e libero dalle ipoteche dei dogmi
che piovono dall’alto. In modo particolare la spada del politicamente corretto
condanna preventivamente ogni linguaggio tradizionale, popolare e anche
letterario per ricollegarlo a forza con i disvalori del razzismo, del sessismo,
dello sfruttamento, della schiavitù, dell’oppressione, dell’ignoranza etc.. La
condanna vorrebbe presentarsi come progressiva, ma con la sua aspirazione
iconoclasta in realtà mira a rendere sempre più inemendabile questa società,
questo modo di vita, questo pensiero, cioè insomma l’orizzonte chiuso e opaco
dello status quo. Perciò è necessario individuare il crinale linguistico del
conflitto e prendere coscienza che molte innovazioni in questo campo non sono
né spontanee, né innocenti. Anche qui al tentativo di costruire a tavolino una
neolingua pura e moralmente immacolata, che lasci pensare di vivere in un mondo
puro e immacolato, bisogna reagire non con una neolingua di segno contrario, ma
con la rivalutazione dell’italiano nella sua originaria bellezza e ricchezza
poetica, letteraria, ma anche scientifico-tecnica. L’italiano è una lingua completa
che ha parole per tutto e che dice tutto con la sua eccezionale vocazione alla
sonorità bella, mitopoietica, creatrice di immagini, forme, armonie e sonorità.
Se c’è un vademecum linguistico-politico d’opposizione e di contestazione dei
poteri vincenti, oggi questo è semplicemente l’italiano cui semplicemente
bisogna tornare per essere ipso facto profondamente eversivi. La bellezza
dell’italiano, la sua musica e il suo fascino concettuale e immaginativo,
avranno sempre ragione su tutti gli esperanti imposti dall’alto mediante
i mezzi coercitivi del potere. Si capisce allora quanto sia rilevante lo studio
della nostra lingua e della nostra letteratura (compresa quella latina e greca)
a scuola e quale formidabile muro essa opponga al dilagare delle neolingue
totalitarie.
Aveva ragione Goebbels (mi
scusi la citazione, ma lo disse lui...) che un’idiozia ripetuta mille volte
diviene verità?
L’iterazione ossessiva e
pubblicitaria di un concetto è certamente uno dei mezzi perché se ne affermi la
sua verità sociale. Nondimeno, come avviene con tutti gli agenti patogeni, più
si diffondono i suoi effetti, più facile sarà trovare persone naturalmente
immuni e in grado di promuovere il contromovimento della guarigione. Anche
dall’idiozia (sociale) si può guarire…
In definitiva qual è il ruolo
che assegneresti alla scuola paritaria nell’istruzione e perché?
Suor Anna Monia ha elogiato
giustamente Paola Frassinetti per il suo lavoro istituzionale in favore delle
scuole paritarie, dicendo che persone come lei bisognerebbe trovarne in tutti
gli schieramenti politici perché “facciano massa” in vista dell’auspicabile
successo in una battaglia politica difficile e irta di difficoltà. Paola, nel
suo intervento non ha però parlato come singolo ma ha voluto presentarsi come
espressione di qualcosa di più grande di ogni individuo: una comunità di
persone che hanno una storia e un pensiero che viene da lontano. Ciò
costituisce la garanzia di una continuità di pensiero e di azione che, per gli
strumenti concettuali e le energie politiche messe in campo, è destinato ad
avere efficacia, forza e durata assai maggiori. Ed è su questo che ho puntato
nel mio intervento, sottolineando come il tema delle scuole paritarie coinvolga
quello del rapporto Stato-società, cioè la questione centrale di come si
relazionano i due polmoni della convivenza civile, secondo alcuni presupposti
che ritornano costantemente nella cultura di Destra. Se, infatti, la scuola
paritaria proviene dal dinamismo di una società vivace che esprime così la sua
vocazione culturale ed educativa, lo Stato si occupa dell’istruzione quale
elemento fondamentale del bene comune. Come pilastro del vivere comune è
l’interazione tra gli aspetti istituzionali del potere e la forza che viene da
una società attiva e dinamica – cosa che rende verità operante l’assioma
ciceroniano secondo cui lo Stato è res populi, cosa del popolo – così
garanzia dei processi educativi è l’interazione stretta tra le forze sociali
che propongono itinerari di crescita ed educazione e lo Stato che garantisce
stabilità legislativa, capillarità di intervento e risorse affinché tutte le
giovani generazioni ricevano gli strumenti culturali per partecipare come
soggetti consapevoli alla vita della comunità, quella comunità spirituale
essenziale al fiorire della vita individuale che noi chiamiamo nazione o
patria. Quindi nella convivenza civile come nella scuola,
1) la società ha funzione di
stimolo e di attivazione dinamica di energie: è il sangue che scorre nelle vene
del corpo politico e gli fornisce continuo nutrimento;
2) lo Stato è l’ossatura forte,
stabile, che dà sostegno, durata e destino alla vita sociale.
Nessuno di questi elementi può mancare. La scuola paritaria deve pertanto essere valorizzata per l’indispensabile apporto di pluralismo culturale, flessibilità, innovazione, a fronte dell’indispensabile funzione sussidiaria dello Stato che consente la concreta e universale fruizione del bene dell’istruzione alla totalità dei cittadini. Come si vede, vi è una certa Weltanschauung alla base della posizione che abbiamo assunto sulla scuola paritaria, che affonda le radici nel pensiero moderno attento alla dimensione dell’ordine istituzionale e pur chiamato ad affermare la libertà come chiave fondamentale di interpretazione del mondo e dell’uomo… temi di cui la nostra comunità politica discute da tempo e con grande sensibilità. A tutto ciò si deve associare l’enfasi particolare che noi mettiamo sull’inestimabile valore aggiunto della scuola paritaria cattolica, che ricorda costantemente a tutta la società e richiama tutte le istituzioni alle profonde, inaggirabili e indispensabili radici cristiane della nostra civiltà e dei giganti sulle spalle dei quali noi contemporanei ci appoggiamo per vedere più avanti. Noi disponiamo di un pensiero che riconosce tutti questi fattori. Per questo ho detto che le nostre idee vengono da lontano e ciò garantisce la nostra posizione oltre ogni e qualsivoglia forma, anche virtuosa, di lobbing, oltre ogni e qualsivoglia interesse o rendita politica contingente e passeggera.
(di Pierluigi Arcidiacono, "Destra.it" 11 Settembre 2021)
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
Nessun commento:
Posta un commento