lunedì 25 febbraio 2019

Nolite iudicare


Alcuni magistrati si sono lamentati del fatto che il ministro degli interni è andato a visitare in carcere un imprenditore condannato per eccesso colposo di legittima difesa, La vittima ha colpito l'aggressore ferendolo a un polmone. I mentitori seriali dei giornali liberal hanno immaginato una scena da rituale satanico, per il quale sarebbe ben strano che il sadico imprenditore abbia solo ferito il ladro e non lo abbia invece tranquillamente torturato e ucciso,  per poi variamente profanare il cadavere... Invece il malvivente è vivo e vegeto: semplicemente fortunato perché un colpo accidentale gli ha trafitto un polmone e non invece la testa. Vivo e vegeto e libero di delinquere ancora... vivo e vegeto e libero di far pesare la propria presenza minacciosa sulla figlia del derubato. Vivo e libero come i ladri che per novanta volte hanno liberamente saccheggiato la ditta di Angelo Peveri, senza che nessun magistrato abbia alzato un dito. Ora invece i magistrati si lamentano di Salvini, perché ha esercitato un suo diritto e ha compiuto un'opera di misericordia; perché ha visitato il carcerato. Visitando i carcerati, infatti, il ministro degli interni "delegittima la magistratura", che oggi si autoconsacra come immacolata depositaria  della verità e come potere intoccabile e incriticabile.  Beh allora, di fronte all'arroganza togata, bisognerebbe reagire con la forza di una semplice verità: il loro lavoro, il lavoro dei magistrati, è un lavoro necessario ma ignobile. I magistrati dovrebbero esercitare le loro funzioni con un cappuccio che ne nasconda il viso, per preservarli dal disonore e dalla vergogna. Un po' come i boia. Certo, essi sono necessari... ma lo erano anche i boia: lo erano, nelle civiltà più antiche e con meno strumenti per combattere la delinquenza, tanto da essere considerati "la pietra angolare della società". Dove sta l'ignobiltà del lavoro del giudice? Propriamente nell'essere giudice. Nessuno può giudicare nessuno. Nessuno ha la statura morale per giudicare il suo prossimo. Nessuno ha il diritto di privare altri della loro libertà. Chi giudica, chi condanna, chi lo fa per conto terzi e in nome di un'entità astratta come lo Stato, chi lo fa con la forza concreta e coattiva delle polizie di quell'entità astratta dello Stato, chi compie la sua opera giudicante con le parrucche e le maschere fornite dallo Stato secondo il rituale carnevalesco e tragico che si compie nelle aule dei tribunali, chi fa tutto questo è semplicemente un artista della vigliaccheria e della sopraffazione. La giustizia si dovrebbe compiere solo nella maniera diretta per cui un ladro è messo in fuga a calci nel sedere, o a colpi di fucile, dalla vittima che lo scopre, lo insegue e gli ricorda la fondamentale legge che l'onestà di chi lavora va a pari passo con forza, coraggio...e che la demenza morale del ladro non merita alcun rispetto né pietà. Purtroppo la società è complessa e la sua complessità a volte occulta il valore delle azioni, rendendo indispensabili istituzioni mostruosamente immorali come la magistratura. La giurisprudenza è, possiamo dire, una forma di decadimento rispetto alla sua origine che è la morale; così come decaduto è colui che giudica senza avere egli stesso il valore e la statura personale per farlo (d'altronde se l'avesse non giudicherebbe)... decaduto è il diritto rispetto alla morale; decaduta è la sua burocrazia rispetto all'uomo che agisce per difendere la sua casa. In questa decadenza il pudore del giudicante dovrebbe ricordare la sua condizione, e una grandezza, una vera grandezza, sarebbe per lui possibile solo interpretando la propria opera come sacrificio. Senza pudore, senza coscienza, senza un'interpretazione disincantata e umile di sé, il magistrato è un folle delirante, pieno di tracotanza e al tempo stesso un debole vigliacco che si nasconde tra le sottane di mamma Stato cui vuole trasferire tutte la responsabilità di ogni suo giudizio... perché ogni suo giudizio, quand'anche legalmente esatto, quand'anche "giusto", in quanto giudizio, è una malefatta e lui, nel suo intimo, lo sa.

N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore,  mantenendo inalterato contenuto e titolo.

mercoledì 13 febbraio 2019

Il popolo in una concezione genuinamente populista


Il popolo è il pouvoir constistuant. La teoria del pouvoir constituant fa capo a Emmanuel Joseph Sieyès e "non si capisce se non come una ricerca del principio organizzatore non organizzabile" di tutta la vita associata. "Il rapporto tra pouvoir constituant e pouvoir constitué ha la sua perfetta analogia sistematica e metodologica nel rapporto tra natura naturans e natura naturata" e, aggiungerei, nel rapporto tra l'Uno e le sue ipostasi, tra la potentia absoluta Dei e il mondo, tra la Volontà e la sua oggettivazione, tra il Pensiero e il pensato, tra l'Essere e l'ente. In tale rapporto "il popolo, la nazione, forza originaria di ogni entità statuale, costituisce organi sempre nuovi. Dall'abisso infinito e insondabile del suo potere sorgono forme sempre nuove, che essa può infrangere quando vuole e nelle quali essa non cristallizza mai definitivamente il proprio potere. Essa può esprimere quando e come vuole la propria volontà il cui contenuto ha sempre il medesimo valore giuridico del contenuto di un dettame costituzionale; può quindi intervenire quando e come vuole con la legislazione, la giurisdizione o atti puramente fattuali. Essa diventa il soggetto illimitato e illimitabile degli iura dominationis, non necessariamente da circoscrivere al caso di emergenza. Non è mai autocostituentesi, ma sempre costituente altro da sé (in ciò la sua potenza ha un tratto razionale e non appare completamente informe: Dio può tutto, ma non può moltiplicarsi, n.d.r.); perciò il suo rapporto giuridico con l'organo costituito non si pone mai in termini di reciprocità. La nazione è sempre nello stato di natura, come dice il celebre motto di Sieyés...e tale affermazione ci parla ... del rapporto della nazione con le proprie forme costituzionali e con tutti i funzionari che agiscono a suo nome. La nazione è unilateralmente nello stato di natura, ha solo diritti e niente doveri; il pouvoir constituant non è vincolato a nulla, mentre i pouvoirs constitués hanno solo doveri e niente diritti. Donde la sorprendente conclusione che una parte rimane sempre nello stato di natura, mentre l'altra nello stato di diritto (o meglio di dovere). Cfr. Carl Schmitt, La dittatura. Dalle origini dell'idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria tr, it, di A, Caracciolo, Settimo Sigillo, Roma 2006, pp. 179-180.