venerdì 19 luglio 2019

La preghiera e la vita dello spirito

Che cosa significa avere una vita spirituale? Che cosa è lo spirito? Difficilissimo rispondere. E' come la famigerata questione del tempo in Agostino: "Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so". E' forse l'interiorità? Ma quale, di che tipo? Tutti dialoghiamo con noi stessi, ma molto spesso a livelli tutt'altro che spirituali. E' la cultura? Probabilmente sì,  qualcosa che si avvicina, ma non tutti gli uomini colti sono altrettanto spirituali...a volte c'è solo vana curiositas. E' il sentimento? Può darsi, ma quanti sentimenti sono indegni e sarebbe meglio non avere? No, in realtà la vita dello spirito non coincide con tutto questo...Non si può dire se non con una metafora vaga: è l'altezza alla quale noi possiamo giungere. Non c'è spirito senza una mistica dell'elevatezza...Ma con ciò diciamo tutto e niente: senza esempi la metafora è vuota...Eccone allora uno. Trovato sulla parete di una sala dell'ospedale di Vigevano, dove una cara zia sta vivendo la sua sofferenza. La vita della spirito in una preghiera, in una bellezza, in un frammento che contiene l'infinito.


N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore,  mantenendo inalterato contenuto e titolo.

venerdì 12 luglio 2019

Due articoli di "Famiglia Cristiana" a confronto

MONSIGNOR VINCENZO PAGLIA: «VINCENT LAMBERT, NEL DRAMMA IL CONFLITTO NON AIUTA»
10/07/2019
 Il caso Lambert e gli altri, vicende complesse dai molti e delicati risvolti

Venerdì 28 giugno la Corte di Cassazione francese si è pronunciata contro il divieto di sospendere alimentazione e idratazione artificiali a Vincent Lambert. Un divieto deliberato dalla Corte d’Appello in seguito alla richiesta del Comitato internazionale dei diritti delle persone portatrici di handicap (Cidph) dell’Onu, interpellato dagli avvocati dei genitori del paziente. L’affannoso rincorrersi di ripetuti ordini e contrordini da parte autorevoli assise giuridiche indica con chiarezza la difficoltà della situazione. Il dramma di Vincent Lambert ha assunto una risonanza mediatica e una portata simbolica che supera la singolarità della sua situazione. Si intrecciano molteplici piani: familiare, medico, giuridico, politico, comunicativo. Tutto ciò rende molto delicata l’elaborazione di un giudizio etico, anche perché le informazioni cliniche sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli.

I VESCOVI FRANCESI
Dal canto suo, la Conferenza episcopale francese ha sottolineato di non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, evitando di sostituirsi alla coscienza di coloro cui spetta la decisione, ma fornendo piuttosto il proprio contributo per istruire il cammino che conduce al giudizio. Si è pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la pretesa di entrare nella valutazione del caso concreto, anche per l’impossibilità di disporre di tutta l’informazione necessaria. Il doloroso conflitto familiare circa l’ipotesi di sospendere alimentazione e idratazione artificiali, essendo precluso l’accesso alla volontà del paziente – elemento indispensabile per la valutazione della proporzionalità delle cure –, ha condotto a una situazione di stallo che dura ormai da anni. La questione etica si intreccia poi con la sfera giuridica. Il ricorso alle vie legali ha irrigidito ed esasperato il conflitto. Senza entrare nei tecnicismi della sentenza, possiamo dire che la Cassazione ha ritenuto la scelta della sospensione, a cui in medici erano giunti dopo una accurata valutazione collegiale, compatibile con la legge vigente in Francia. Ma in questa lunga e logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi è favorevole e chi è contrario all’eutanasia. I vescovi hanno anzitutto riaffermato con chiarezza la negatività di questa pratica. Inoltre hanno richiamato l’importanza dell’attenzione al più debole per la costruzione della convivenza sociale. E hanno messo in luce la ricaduta che la scelta di interrompere il trattamento può avere su coloro che si trovano in analoghe situazioni (circa 1.700 persone in Francia), per le loro famiglie e per il personale sanitario. Una osservazione particolarmente pertinente.

TRA MEDICINA, DIRITTO E CULTURA
 
Del resto, anche altre recenti vicende, come quella di Alfie Evans in Inghilterra e di Noa Pathoven in Olanda, hanno profondamente turbato e diviso l’opinione pubblica oltre i confini dei rispettivi Paesi. Va sottolineato che si tratta di situazioni molto diverse e non comparabili, per motivi sia clinici sia esistenziali. Ma esse condividono alcuni tratti comuni. Da una parte, il fatto che sono in gioco decisioni che riguardano la vita e la morte, rendendo conflittuale la definizione di chi ha titolo per operare tali scelte: la persona malata, i familiari, i medici, i giudici. Dall’altra, i mezzi sempre più potenti di cui dispone la medicina, che sollevano con frequenza crescente l’interrogativo sulla limitazione dei trattamenti. Queste vicende ci richiedono quindi di precisare e di approfondire il ruolo e il senso delle cure mediche e dei criteri che presiedono al loro impiego. Papa Francesco ci ha peraltro ricordato che occorre evitare un indiscriminato prolungamento delle funzioni biologiche, perdendo di vista il bene integrale della persona (Discorso al Convegno sul suicidio assistito della Associazione medica mondiale, 16 novembre 2017Ž). Davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale. Dovremmo inoltre evitare di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo più ampio possibile. È un cammino che richiede impegno non solo personale, ma anche collettivo, per elaborare quel senso della vita che la sofferenza mette in questione e per far fronte al limite radicale che la morte rappresenta. Si tratta di risvegliare le forze che la cultura ha sempre mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere. Solo una più diffusa e profonda formazione delle coscienze potrà prepararci a decisioni così drammatiche e complesse. Nella consapevolezza che mai nessuno deve essere abbandonato. Sempre, invece, deve essere accompagnato dall’amore. Che sconfigge anche la morte.
MONSIGNOR VINCENZO PAGLIA: «GESU’ DI NAZARETH, NEL DRAMMA IL CONFLITTO NON AIUTA»
15 nisan, 33
 Il caso del Nazareno e gli altri, vicende complesse dai molti e delicati risvolti

Venerdì 14 nisan la Corte di Cassazione romana si è pronunciata contro il divieto al Sinedrio di comminare pene di morte per crocifissione a coloro che il sommo sacerdote considera eretici e bestemmiatori. Un divieto deliberato dal Senato stesso in seguito alla richiesta di diversi prefetti delle colonie relativi al trattamento delle questioni religiose interne, interpellato dagli avvocati della famiglia e dei discepoli dell’accusato. L’affannoso rincorrersi di ripetuti ordini e contrordini da parte autorevoli assise giuridiche (Caifa, Erode,  Pilato) indica con chiarezza la difficoltà della situazione. Il dramma di Gesù Nazareno ha assunto una risonanza mediatica e una portata simbolica che supera la singolarità della sua situazione. Si intrecciano molteplici piani: familiare, religioso, giuridico, politico, comunicativo. Tutto ciò rende molto delicata l’elaborazione di un giudizio etico, anche perché le informazioni sull’accaduto sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli.

I VESCOVI PALESTINESI
Dal canto suo, la Conferenza episcopale palestinese ha sottolineato di non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, evitando di sostituirsi alla coscienza di coloro cui spetta la decisione, ma fornendo piuttosto il proprio contributo per istruire il cammino che conduce al giudizio. Si è pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la pretesa di entrare nella valutazione del caso concreto, anche per l’impossibilità di disporre di tutta l’informazione necessaria. Il doloroso conflitto nella comunità giudaica circa l’ipotesi di torturare e crocifiggere Gesù, essendo precluso l’accesso alla volontà del Padre (alla quale comunque il reo si è consegnato) – elemento indispensabile per la valutazione della proporzionalità della pena –, ha condotto a una situazione di stallo che dura ormai da anni. La questione etica si intreccia poi con la sfera giuridica. Il ricorso alle vie legali ha irrigidito ed esasperato il conflitto. Senza entrare nei tecnicismi della sentenza, possiamo dire che Roma ha ritenuto la scelta della crocifissione, a cui i giudei erano giunti dopo una accurata valutazione collegiale, compatibile con la legge vigente in Israele. Ma in questa lunga e logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi è favorevole e chi è contrario alla croce. I vescovi hanno anzitutto riaffermato con chiarezza la negatività di questa pratica. Inoltre hanno richiamato l’importanza dell’attenzione al più debole per la costruzione della convivenza sociale. E hanno messo in luce la ricaduta che la scelta di elevare l’eretico può avere su coloro che si trovano in analoghe situazioni (circa 1.700 zeloti solo in Giudea), per le loro famiglie e per il personale di guardia romano. Una osservazione particolarmente pertinente.

TRA TEOLOGIA, DIRITTO E CULTURA
 
Del resto, anche altre recenti vicende, come quella di Giuda il Galileo sempre in Palestina, e, sebbene un po’ più datata, di Spartaco a Roma, hanno profondamente turbato e diviso l’opinione pubblica oltre i confini dei rispettivi Paesi. Va sottolineato che si tratta di situazioni molto diverse e non comparabili, per motivi sia religiosi, sia esistenziali. Ma esse condividono alcuni tratti comuni. Da una parte, il fatto che sono in gioco decisioni che riguardano la vita e la morte, rendendo conflittuale la definizione di chi ha, lo jus gladii, cioè il titolo per operare tali scelte: il prefetto, i consoli, i giudici, i sacerdoti, le autorità locali della comunità di appartenenza. Dall’altra, i mezzi sempre più potenti di cui dispone la burocrazia imperiale, che sollevano con frequenza crescente l’interrogativo sulla limitazione delle sue prerogative. Queste vicende ci richiedono quindi di precisare e di approfondire il ruolo e il senso delle valutazioni teologiche e giuridiche e dei criteri che presiedono alla loro esecutività. Papa Francesco ci ha peraltro ricordato che occorre evitare un indiscriminato prolungamento delle predicazioni itineranti, perdendo di vista il bene integrale della comunità giudaica (Discorso al Convegno sulla crocifissione assistita dell’Associazione mondiale “Il Cireneo”, Pesah 32). Davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano religioso e comunitario. Dovremmo inoltre evitare di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo più ampio possibile. È un cammino che richiede impegno non solo personale, ma anche collettivo, per elaborare quel senso della vita che la sofferenza mette in questione e per far fronte al limite radicale che la morte in croce rappresenta. Si tratta di risvegliare le forze che la cultura ha sempre mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere. Solo una più diffusa e profonda formazione delle coscienze potrà prepararci a decisioni così drammatiche e complesse. Nella consapevolezza che mai nessuno deve essere abbandonato. Sempre, invece, deve essere accompagnato dall’amore. Che sconfigge anche la morte.

Assassini di tutto il mondo unitevi!



Quando ho sentito della morte di Vincent Lambert, dopo una terribile agonia che si  è “meritato” per il suo essere disabile, avevo intenzione di scrivere un pezzo intitolandolo “Francia assassina”… Sarebbe stato significativo, e in certa misura giusto, sottolineare che Lambert è stato condannato dalle istituzioni mediche e politico-giudiziarie francesi, quelle stesse che avrebbero dovuto difendere strenuamente il suo diritto a vivere, nonostante il grave handicap e le condizioni minime di coscienza. Quelle stesse istituzioni avrebbero dovuto impedire in ogni modo che un qualsiasi aguzzino avesse potuto sfogare il suo sadismo, infliggendogli l’orribile tortura di una morte per sete e per fame. Ma non è stato così. Il ruolo del “qualsiasi aguzzino” è stato ricoperto proprio dalle leggi e dagli uomini che avevano il dovere di proteggerlo. Quindi mai come in questo caso si sarebbe potuto parlare di un “Francia assassina”. Poi mi è venuto in mente che, purtroppo, casi come quelli di Lambert non sono nuovi in occidente e forse nel mondo, si pensi solo alla povera Eluana Englaro. Vale a dire che, a pensarci bene, esiste un peculiare internazionalismo della morte, che in modo ideologico e ipocrita si ammanta di motivi umanitari – “evitare che si viva una vita non degna di essere vissuta” (ma chi decide quando una vita è degna?) – e che si sta via via capillarmente realizzando. La forza degli internazionalismi è  nella loro astrattezza. Il loro odio per il particolare, il concreto, lo specifico, la loro lotta contro le appartenenze che sono la condizione reale dell’umanità, che non si dà mai come genere puro, ma come qualcosa di incarnato qui ed ora: tutto ciò ha un fascino. Si tratta della possibilità di semplificare, di costruire discorsi economici con poche proposizioni che valgono per tutti; si tratta di annegare le differenze nel mare dell’indistinto,  di confondere i propri difetti nella melassa dolciastra dove tutti siamo uguali; si tratta di quello sguardo superficiale e facile che nella notte acquisisce la certezza granitica che tutte le vacche sono nere. Questo fascino dell’indistinto è anche ciò che permette di classificare le esistenze, misurandole sulla base di parametri generali: la coscienza, le reazioni agli stimoli, i livelli di autosufficienza biologica, i criteri di interazioni sociale, Non c’è il minimo tentativo di entrare in empatia profonda con il fatto abissale che “quello lì” è una storia irripetibile di valore infinito, una storia che nessuno ha il diritto di interrompere. Non c’è alcun pudore di fronte al mistero di un’esistenza che, nella felicità come nel dolore, non può mai essere qualcosa di disponibile e manipolabile. Fermarsi alle soglie di quest’alterità particolare, insondabile, irriproducibile, e perciò infinitamente preziosa, è operazione che comporta una grandissima perdita di tempo e di energie, direi quasi uno spreco. Non è cosa che la società accelerata dell’efficienza produttiva e del godimento istantaneo può permettersi. Smettiamo di dire la verità consolatoria e confessionale che la vita appartiene a Dio. Tale verità certissima in questi casi va taciuta. Perché dà l’impressione che solo una minoranza nella società può difendere la vita, che la lotta per la vita è cosa di una fazione, che peraltro fa appello a una presa di posizione apodittica sulla realtà, come quella della fede. L’approccio che fu di Cristo alla verità interna della persona umana deve invece essere di tutti ed è la sola cosa razionale,  la sola cosa universalmente esigibile. All’universalismo astratto della morte, al suo internazionalismo che globalizza la crudeltà indifferente e superficiale, e che perciò è veramente apodittico, bisogna opporre  l’universalismo della differenza personale, dell’appartenenza di ciascuno al proprio insondabile mistero, alla propria insondabile storia che si intreccia con la storia del prossimo, il quale a sua volta è chiamato a sentirla sua e ad averne il rispetto che deve a se stesso e al suo proprio mistero. I crimini della Francia sono dunque i nostri, ogniqualvolta lasciamo spazio ai suoi mortali princìpi e non sappiamo rivolgerci alla ragione … l’omicidio di Stato che si è consumato contro Vincent Lambert è un omicidio-mondo …


N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore,  mantenendo inalterato contenuto e titolo.