venerdì 27 settembre 2019

La parole obscure du paysage intérieur - Poème à 4 voix ... di Julius Evola

Versione italiana vintage di E. Cascione, battuta a mano in tecnologia obsoleta anni '90, ritrovata da M. Maraviglia dentro cartelletta polverosissima accanto a originali in inchiostro BIC, dadaisticamente pubblicata senza revisioni ("perché l'errore è solo una verità debole"), servita in un letto di pitture evoliane grazie a modernissima arte grafica di F. Cucchi, auspicabilmente da inserire in catalogo archeo-avanguardia DADAJPEG.








giovedì 19 settembre 2019

Nietzsche e i Soviet (Daniel Halévy)




titolo originale: Ce que penserait  Zarathoustra de l'U.R.S.S., in  “La Petite Gironde” (19/9/ 1931),  p. 1; ristampato con il titolo Nietzsche et les Soviets in Idem, Courrier d'Europe, Paris, Grasset, 1933.

Ringrazio Francesco Ingravalle per avermi fornito una copia del testo e per l'interessante e dotta conversazione con cui mi introdotto ai vasti orizzonti di Halévy

traduzione italiana di Bernadette Ceolin


Daniel Halévy (1872-1962), romanziere (Storia di quattro anni), filosofo (Saggio sull'accelerazione della storia), storico delle idee e biografo (Nietzsche), grande, diremmo oggi, promotore culturale, amico di Marcel Proust, dei Bizet, di Edgar Degas (Degas parla), è un gigante della cultura francese della prima metà del Novecento. Sempre profondo e anticonformista, è una fucina di pensieri e immagini che penetrano a fondo nel significato delle vicende umane, con i loro trionfi e le loro tragedie. Presentiamo qui un testo di grandissimo spessore che, nella sua brevità, illumina al tempo stesso il grande filosofo di  Röcken e uno degli eventi fondamentali del secolo XX ... un filosofo che oggi più che mai affascina, un evento che ancora oggi interroga e inquieta. (MM)

Che cosa penserebbe Nietzsche della rivoluzione russa?
Non mi piace questa domanda, non mi piace che si facciano parlare i morti, che si sostituiscano le loro invenzioni con ipotesi, citazioni, frasi riprese e incollate le une dopo le altre. “Una voce manca, ha scritto Péguy, nulla la supplisce.” Ed è vero. Ma poiché il problema lo hanno posto altri, poiché Jean Guéhenno nella sua rivista Europa, e non distante da lui Charles Andler, interrogandolo e approvandolo, hanno proposto e trovato delle consonanze tra il dramma della rivoluzione russa e le prospettive tragiche scoperte da Nietzsche, tocca a noi e a modo nostro riprendere la ricerca, provare a trovare nei dedali dell’opera di Nietzsche gli elementi di una risposta.

Che Nietzsche abbia trovato necessaria, prossima, ineluttabile, la gestione unitaria del globo; che abbia per di più dichiarato necessario per la riuscita di una tale gestione, l’avvento di una élite inaccessibile alla pietà, capace di spezzare, di annientare tutto ciò che ha perso il diritto di esistere, ciò non lascia il minimo dubbio. C’è di più: Nietzsche ha scritto che tale élite distruttrice verrebbe da quella Russia in cui sonnecchia un’antica volontà da secoli a riposo.  “Quella Russia”, scriveva, “dove una prodigiosa riserva di volontà conquistatrice si accumula oggi, deve diventare padrona dell’Europa e dell’Asia...”

Vi sono dei tratti di profezia, ma di una profezia molto lontana, molto ignorante dei tempi in cui viviamo. Nietzsche non sospettava che potesse esistere una Russia marxista. Avrebbe ammirato l’entità e l’energia delle distruzioni compiute dai rivoluzionari russi? E’ quanto Jean Guéhenno si azzarda ad affermare ed è ciò che io non penso. L’avrebbe forse presa in considerazione un attimo per la forza che testimonia, ma l’applicazione di questa forza, l’avrebbe detestata. Una delle sue caratteristiche è la ripugnanza che gli ispirano sempre i movimenti massivi che costituiscono la storia. Egli ammirava il fuggevole risplendere di qualche individuo, Napoleone, Cesare, o di qualche gruppo di individui, una tale scuola, una tale corte, una tale casta in un tale secolo; e per ammirarli, li separava dalle masse che essi dominavano per un po’. Aveva abbandonato Wagner quando Wagner aveva accettato di diventare il grande uomo dei patrioti del Reich; aveva vilipeso l’impero tedesco, era fuggito da esso, preferendo la solitudine, la vita oscura, al contatto con l’immenso Stato vincitore che gettava la sua ombra sull’Europa. Possiamo pensare che oggi ammirerebbe lo Stato sovietico? Che aderirebbe o consentirebbe la minima approvazione a quella forza vittoriosa? E perché? A causa della violenza dei colpi inferti a società disprezzate, alle democrazie borghesi del mondo moderno? Certo, Nietzsche amava la spada, ma egli aveva l’anima esigente, guardava alle mani che portavano l’arma, egli voleva che un giustiziere le avesse assolutamente belle. Ora lo Stato sovietico, con il suo dogmatismo fanatico, il suo americanismo ingenuo, sarebbe apparso a Nietzsche molto poco moderno, e una maschera di crudeltà non avrebbe affatto ammansito il filosofo.
Sì, Nietzsche aspettava la catastrofe. Questo essere stupendamente sensibile che indovinava il temporale, ne soffriva a due giorni di distanza, non aveva alcun dubbio sul destino dell’Europa. Lucido come una Cassandra, egli scorgeva i baratri. La catastrofe, soprattutto nelle sue ultime opere, ha un posto considerevole, ha la forza di una ossessione. Egli pensa che un castigo enorme si trova in capo a questa decadenza. Castigo, catastrofe, sono solo parole. Sotto queste parole che cosa metteva Nietzsche, possiamo saperlo?
Lo possiamo, visto che spesso ha cercato di discernere le grandi linee dell’evento, le ha scritte in molti appunti, i più importanti dei quali datano nel 1888. Prima di tutto verrà il socialismo; la sua venuta è inevitabile; si insedierà nelle grandi città, dominerà le folle urbane. Tutto ciò avverrà senza catastrofe: è un progredire naturale sulla china verso la quale scivoliamo. La catastrofe verrà dopo la vittoria del socialismo, ne sarà l’effetto. Il socialismo concluderà la rovina già così inoltrata dell’energia umana. Allora imperverseranno le grandi nevrosi, allora avrà luogo un accasciarsi, un annientamento degli individui. Saranno maturi per essere castigati, e il castigo sarà la conclusione della catastrofe. Quali saranno gli uomini energici che restaureranno le gerarchie? Saranno quelli che saranno scampati alle nevrosi, che avranno saputo trovare, aldilà del nichilismo stesso e dei suoi cedimenti, delle certezze, dei valori e delle nuove virtù.
Da dove verranno? Anche su questo Nietzsche aveva elaborato delle idee che non possiamo conoscere. Durante le sue meditazioni, le sue passeggiate solitarie, si divertiva a immaginare una storia più brillante e più spirituale della storia vera in cui il tetro e il basso quasi sempre prevalgono; con mano rapida annotava le sue fantasie, e noi oggi leggiamo fino al minimo pezzo di carta dell’instancabile scrittore. Prussiano e in fondo, io credo, fiero di esserlo, Nietzsche ammirava il corpo degli ufficiali prussiani. Egli stimava che in esso sussistesse una energia utile. Ma la sua stima non era senza riserve. Egli stimava che gli ufficiali prussiani avessero un’intelligenza limitata, triste, priva di grazia e d’ingegnosità. Le loro donne, soprattutto, non possedevano alcun genio. Ed ecco il rimedio, Nietzsche lo ha ben presto trovato: i gentiluomini prussiani sposeranno delle belle ebree, ardenti, nervose e abili. Probabilmente, c’è l’imbarazzo di una prevenzione, di un pregiudizio. Ma diamine, “la salvezza dell’Europa vale bene   il sacrificio di un pregiudizio.” Si deve osservare che qui Nietzsche è d’accordo con Bismarck, il quale, signorotto esperto di allevamento, trovava molto interessanti i risultati ottenuti con l’incrocio di uno stallone germanico e una giumenta ebraica.
Ecco dunque Nietzsche un attimo divertito da questa visione di una Europa punita, dominata, da una casta originale, giudeo-prussiana, e interamente di sua invenzione. Ma era solo un divertimento. Talvolta, più volentieri e più spesso, pensava agli Slavi, alla loro violenza, alla loro raffinatezza, al loro mistero, alle loro donne così seducenti. Siamo nel 1888, non c’erano popoli rivoluzionari nella Russia di quell’epoca, ma alcuni settari capaci di abnegazione, di sacrifici assoluti, e di fronte ad essi una dinastia, una alta amministrazione, una Okrana altrettanto temuta quanto oggi la Ceka. Andiamo avanti di qualche anno, immaginiamo Nietzsche vivo nel 1905; egli ha sessant’anni, un’età vigorosa ancora; ascolta Stravinsky, guarda Nijensky, la Karsavina, i meravigliosi balletti; accoglie con entusiasmo quel fulgore di bellezza, di grandiosità, di gioia, quella esaltazione carnale che stupisce l’Europa come il segno di un futuro inatteso, di un secondo Rinascimento. Immaginiamo la sua gioia, in essa dimentica per un attimo la sua cara Carmen, che egli oppone all’onda wagneriana. Quei Russi, quegli Slavi non tolstoiani, quella razza inebriata; quella Petersburg, quella Mosca di Diaghilef e di Stravinsky, che scoperta, che promessa! Ci sono così tante aurore che non hanno ancora brillato…. Nietzsche era un cacciatore di aurore.
Ed ora la catastrofe. L’avrebbe vista se avesse vissuto la vita di un uomo un pò più lunga, settantacinque anni. Avrebbe composto per lui l’ultimo atto della tragedia.

E l’avrebbe osservata all’opera quell'antica volontà slava che egli aveva indovinato, che aveva sviluppato una potenza che per un attimo avrebbe forse ammirata. Ma in che senso rovesciata e da chi?! In che senso degradata, pervertita?. Esercitata non da nobili, ma da plebei, settari, spiriti senza luce, senza promessa, capi di masse fanatiche. Le masse che soffocano un’ arte, ultima gioia dell’Europa, e che impone, con la spada ed i supplizi, il materialismo più corto, che odiosa impresa! E colui che le ispirò, quel Karl Marx, quel dottrinario al quale Nietzsche non aveva mai fatto caso, di cui, se non erro, non aveva mai scritto il nome; quell’uomo che a causa delle origini del proprio essere faceva affidamento su fonti che egli detestava, l’ebrea, la hegeliana, la tedesca. Quegli Ebrei, quanto male hanno fatto con la loro Bibbia: hanno rovinato il mondo antico; hanno, suggerendo  Luther, abbattuto Leone X e la sua Roma paganizzata, rovinato la speranza ostinata di un umanesimo cattolico; suggerendo le rivoluzioni, hanno abbattuto l’aristocrazia francese, ed ora, con il loro Marx, l’ultima aristocrazia del vecchio mondo, quella russa. Questi hegeliani, plebe professorale, pronta a giustificare con la sua dialettica storica tutti i  suggerimenti, imperiali, clericali, popolari, quanta responsabilità ricade su di essi! E quei Tedeschi infine, (mi attengo sempre strettamente a Nietzsche e alle sue invettive ) quanto hanno pesato sull’Europa, con il loro eterno ritardo, la loro  incultura  psicologica mascherata sotto nebulose fantasticherie e vane erudizioni! Marx, ebreo, hegeliano e tedesco, costituisce da solo una triplice cospirazione, e ora si sa, con l’esempio russo, di quali distruzioni, di quali assoggettamenti, di quali istupidimenti, il suo genio sia capace.
Fermiamoci , è stato abbastanza dimostrato in che direzione vanno gli affetti di Nietzsche e le sue ire, quando egli degna occuparsi della Città.

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