Tu ammazzeresti un amico? Non un amico che ti ha fatto del
male, non colui che ti ha tradito, non un amico diventato il più crudele dei
tuoi aguzzini (a volte capita, purtroppo), ma un amico amico, benché del tuo
amico conosca i difetti e a volte ti appaia pesante e anche difficilmente
sopportabile? Lo ammazzeresti tu? Non credo: pur conoscendo i suoi punti deboli
e negativi, se è amico, tu non accetteresti
mai di ucciderlo. Bene, se quell’amico avesse una grave malattia e ti
costringesse a rimanere attaccato a lui per consentirgli di approfittare della
funzionalità di un tuo organo – per
esempio un rene o un polmone (non è un ipotesi medica, ma etica, sia ben
chiaro) - che cosa faresti? Se da ciò
dipendesse la sua vita, che faresti? Un rifiuto non ti apparirebbe come una
forma di omicidio? Non potrebbe dire il tuo amico che il tuo rifiuto di
sacrificarti a fronte del valore della sua vita corrisponderebbe a un omicidio?
E dentro di te non sentiresti, in fondo in fondo, questo stesso lacerante
dubbio: non aiutandolo, non sacrificandomi, io l’ho ammazzato. Nessuno ti
costringerebbe, ma se non lo facessi, nulla ti toglierebbe di dosso quest’amara
sensazione: sono l’assassino del mio amico. Non c’è alternativa: con le persone con cui abbiamo una relazione
speciale ciò che è libero, ciò che nei riguardi di altri non è obbligatorio, diventa un dovere assoluto...perché i doveri verso altri non sono indifferenziati. Essi mutano con il tipo di relazione – lavoro, contratto, amicizia, parentela, amore – che intratteniamo
con le persone. Ciò che nei confronti di altri è facoltativo, nei riguardi
di un amico può diventare obbligatorio. Inoltre vi sono alcune relazioni in cui ciò che morale diventa sociale e legale: la
legge dell’intenzione si tramuta talvolta in
legge dello Stato. Per esempio ciascuno di noi ha obblighi sociali e legali ,
oltre che morali, nei confronti dei propri figli e dei propri genitori, o delle
persone che gli sono state affidate (si pensi al caso di medici, insegnanti ,
assistenti etc.). Questi a loro volta variano a seconda dell’intensità del rapporto. Tra tutti i rapporti possibili, ciò che avviene tra madre e figlio è qualcosa di infinitamente profondo: è un abisso di compartecipazione,
un abisso di identità e diversità, l’insondabile abisso della vita data e
ricevuta. Se è vero che io mi sentirei un omicida se rifiutassi di sacrificare
un certo periodo della mia vita per restare collegato fisicamente a un amico la
cui vita dipende da me; a maggior ragione lo avvertirebbe una madre rifiutando
di legarsi a suo figlio per un certo periodo di tempo quando la vita della
sua creatura dipendesse esclusivamente da lei. Per ogni altra persona tale
sacrificio sarebbe un super-erogatorio difficilmente esigibile. Per un amico
potrebbe esigersi: sarebbe una sorta di surplus
obbligatorio. Per un figlio no: sarebbe dovere puro e semplice. Quel doveroso
super-erogatorio, il super-erogatorio di sacrificare e farsi “invadere” il
proprio corpo per consentire a un altro-te-stesso di vivere, è proprio il caso della
gravidanza. Cara Judit Jarvis Thomson (A
defense of abortion, in M.Maraviglia,
Bambini e violinisti. Riflessioni
sull'aborto in margine a un famoso articolo di Judith Jarvis Thomson, in
AaVv, Controcorrente. Saggi contro la
deriva antropologica, vol III: Bioetica, Edizioni Croce Via, 2017, pp.
59-81), i bambini, ossia i figli, non sono violinisti, non sono concittadini,
non sono conoscenti, non sono amici,
sono appunto figli: una madre che rifiuta di sacrificarsi per nove mesi, posto
che vi sia realmente da compiere un sacrificio, una madre che non vuole dare a
suo figlio l’opportunità di vivere, è certamente, suo malgrado, malgrado
i paludamenti sofistici del “materiale biologico”, del “grumo di cellule”,
delle “cellule che si dividono”, malgrado
tutti le odiose e irragionevoli forme di autoassoluzione preventiva, un’assassina
sotto il profilo morale… e giuridicamente nessuno potrebbe mai scandalizzarsi
se le fosse impedito di diventarlo da una società che si preoccupasse del bene
di tutti, delle madri, e dei figli, dei forti e dei deboli, di chi vuole essere
libero a tutti i costi e di chi sarebbe giusto che vivesse per diventarlo.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
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