Guido Andrea Pautasso, in una pregevole
raccolta di articoli, documenti e scritti, presenta Harukichi Shimoi, figura non convenzionale di giapponese
innamorato dell’Italia e partecipe dei fatti più rilevanti della nostra storia
compresa tra il 1915 e il 1945. Shimoi è figlio di un samurai, adottato in
giovane età dalla famiglia di un agiato architetto che lo farà studiare e appassionare
alla letteratura e alla poesia, fino all’incontro decisivo con Dante,
all’innamoramento e alla decisione di imparare la sua lingua nel paese natio.
Così egli arriva a Napoli, entra nell’Istituto Orientale come lettore di lingua
nipponica e comincia una vasta opera culturale nella quale la progressiva
dimestichezza con le avanguardie culturali del Bel Paese fa da contraltare allo
sforzo di far conoscere l’anima della sua patria d’origine ai poeti, ai
letterati, ai filosofi, ai politici e a tutti gli italiani curiosi dell’Oriente
e della sua Weltanschauung. Se noi diciamo “ex Oriente lux”, Shimoi riteneva che la luce dell’Oriente poteva
risplendere solo presso coloro che avrebbero saputo vederla, goderne
contemplarla… in Europa c’era un solo paese aperto a questa contemplazione ed
era l’Italia. Così comincia un’avventura che lo porta sul fronte
italo-austriaco nella Prima guerra mondiale, a Fiume con d’Annunzio, alla
conoscenza di Mussolini e al tentativo di importare il fascismo in Giappone.
Ciò va di pari passo con lo sforzo di promuovere l’amicizia italo-giapponese
tra gli anni Venti e Trenta attraverso una fitta rete di relazioni con le
rispettive autorità. Anche nei momenti più intensi della sua opera di
mediazione politica, l’impegno culturale non viene meno, con la traduzione di
testi poetici e letterari giapponesi in
Italia e con diversi scritti finalizzati a introdurre il pubblico giapponese
alla cultura italiana, fino al crollo dei sogni alla fine della guerra e all’epurazione
post bellica, subita in patria in quanto ex collaboratore dell’Asse. Dunque si
tratta di una vita tra due mondi, ugualmente amati e sentiti come propri: un
patriota del Sol Levante che al tempo stesso diventa patriota italiano, dando
concretezza al sogno mazziniano per il quale l’universale umano si conquista
mediante il particolare dell’appartenenza nazionale. Pautasso fa la storia di
questa passione in cui gli opposti dell’amore di sé e del altro si conciliano,
descrivendone magistralmente il contesto: la storia di Shimoi è la storia del
Piave e di Vittorio Veneto, di Fiume,
con d’Annunzio da cui era chiamato “fratello, ma non di sangue”, della vicenda
fascista e infine del tramonto inevitabile di Roma e Tokio imperiali. Questa
storia Shimoi visse tra i personaggi più singolari, tra i geni più immaginifici
e tra i giganti del pensiero e delle lettere nell’Italia del primo Novecento:
Guido Keller, Filippo Tommaso Marinetti, Mario Carli, Benedetto Croce, Giuseppe
Ungaretti, Giovanni Comisso, Gherardo Marone, Elpidio Jenco… Contagiato
dall’ironia e dalla gioia di vivere partenopea, trascinato dal neostoicismo
fascista che sembrava così armoniosamente coincidere con l’etica eroica dei
samurai, sempre orgogliosamente radicato nella profondità delle sue radici
giapponesi, egli per il lettore di oggi diviene il simbolo di quella che
potremmo chiamare una “prassi della differenza”. Di “pensieri della differenza”
siamo infatti un po’ stufi; di pistolotti sul “diverso” e sull’ “altro” sono
pieni i rotocalchi; la gran palestra retorica dove parimenti si mostrano il
vecchiume tanatomorfo delle “più alte cariche dello Stato” e le prosperose
curve di vecchie maitresse del
palcoscenico rai-mediaset ci ha annoiato oltre ogni limite. Il cocktail etnico che avrebbe dovuto
produrre “convivenze” ireniche e nuovi esercizi di bontà fallisce nel
narcisismo ideologico dell’accoglienza e del nirvana collettivo promosso dal
capitalismo globale: civiltà del godimento immediato, del frappé dei valori e
della loro ostentazione puritana; dell’iperproduzione e dell’iperconsumo sotto
rassicuranti ombrelli ecologici. Qui è tutto astratto, decadente, marcio e
puzzolente. Non c’è curiosità, non c’è rispetto, non c’è onore, non c’è
reciproca coltivazione… solo l’ostentata immagine autorazzista della rinuncia a
sé e dell’autoprostituzione. Contro tutto ciò si staglia l’universo ideale di
Shimoi che è ben rappresentato da questo esemplare episodio: egli durante la Grande Guerra, da reporter in
prima linea per un quotidiano giapponese,“si è ritrovato ‘sotto il fuoco
scatenato dai nemici’, a dover soccorrere, portando sulle proprie spalle un
giovane soldato italiano con una scheggia di granata austriaca, ‘entratagli
nella gamba destra, un’altra sotto l’occhio destro e un’altra nell’orecchio
destro’”. Così Shimoi scrive: “Mi avvicinai a lui e bendandogli la gamba, lo
presi sulle mie spalle e, confortandolo e incoraggiandolo, lo portai al posto
di medicazione. Egli, tutto sanguinoso, con filo di voce, mi chiese il nome.
Gli dissi semplicemente: ‘Un giapponese, amante dell’Italia’. Che importa il
nome di Scimoi, io sarei più contento di fargli sapere che le spalle di un
giapponese gli hanno dato appoggio”. Bene: questa è una prassi della
differenza. Qui, nella guerra che è “madre e regina di tutte le cose”, gli opposti
si incontrano senza assimilarsi, si spendono l’uno per l’altro senza
degradarsi, si elevano l’uno attraverso l’altro senza omologarsi. L’etica
biblica e il bushido si abbracciano
laddove la preoccupazione per lo straniero e la prossimità estrema di colui che
è più lontano si giocano nel punto alto del grande gesto, di quella bellezza
finale e definitiva che i grandi uomini dell’oriente e dell’occidente hanno
vissuto in un percorso al tempo stesso eroico e mistico. Solo i popoli sono
custodi di queste grandi tradizioni, solo i popoli sono il naturale terreno di
coltura di questi uomini e di queste vie al cielo… Quando il pensiero della
differenza uccide i popoli nella finta universalità del melting pot, la prassi della differenza li fa grandi restituendo a
ciascuno quella ricchezza che si alimenta di un’irriducibile individualità che,
proprio perché irriducibile, si fa reciproca. Con Shimoi ci è concesso un
piccolo viaggio, guidati dalla colta sensibilità storica ed estetica di
Pautasso, in tale ricchezza assieme ad un testimone d’eccezione, il piccolo
giapponese per sempre immortalato nella sua divisa da ardito, poeta e soldato,
amante entusiasta che l’Italia deve forse ancora meritarsi.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
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