MONSIGNOR VINCENZO PAGLIA: «VINCENT
LAMBERT, NEL DRAMMA IL CONFLITTO NON AIUTA»
10/07/2019
Il caso Lambert e gli altri, vicende
complesse dai molti e delicati risvolti
Venerdì 28 giugno la Corte di Cassazione francese si è pronunciata
contro il divieto di sospendere alimentazione e idratazione artificiali a
Vincent Lambert. Un divieto deliberato dalla Corte d’Appello in seguito alla
richiesta del Comitato internazionale dei diritti delle persone portatrici di
handicap (Cidph) dell’Onu, interpellato dagli avvocati dei genitori del
paziente. L’affannoso rincorrersi di ripetuti ordini e contrordini da parte
autorevoli assise giuridiche indica con chiarezza la difficoltà della
situazione. Il dramma di Vincent Lambert ha assunto una risonanza mediatica e
una portata simbolica che supera la singolarità della sua situazione. Si
intrecciano molteplici piani: familiare, medico, giuridico, politico,
comunicativo. Tutto ciò rende molto delicata l’elaborazione di un giudizio
etico, anche perché le informazioni cliniche sono assai complesse e non
direttamente accessibili in tutti i loro dettagli.
I VESCOVI FRANCESI
Dal canto suo, la Conferenza episcopale francese ha sottolineato di
non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, evitando di
sostituirsi alla coscienza di coloro cui spetta la decisione, ma fornendo
piuttosto il proprio contributo per istruire il cammino che conduce al
giudizio. Si è pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la
pretesa di entrare nella valutazione del caso concreto, anche per
l’impossibilità di disporre di tutta l’informazione necessaria. Il doloroso
conflitto familiare circa l’ipotesi di sospendere alimentazione e idratazione
artificiali, essendo precluso l’accesso alla volontà del paziente – elemento
indispensabile per la valutazione della proporzionalità delle cure –, ha
condotto a una situazione di stallo che dura ormai da anni. La questione
etica si intreccia poi con la sfera giuridica. Il ricorso alle vie legali ha
irrigidito ed esasperato il conflitto. Senza entrare nei tecnicismi della
sentenza, possiamo dire che la Cassazione ha ritenuto la scelta della
sospensione, a cui in medici erano giunti dopo una accurata valutazione
collegiale, compatibile con la legge vigente in Francia. Ma in questa lunga e
logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con
ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi
è favorevole e chi è contrario all’eutanasia. I vescovi hanno anzitutto
riaffermato con chiarezza la negatività di questa pratica. Inoltre hanno
richiamato l’importanza dell’attenzione al più debole per la costruzione
della convivenza sociale. E hanno messo in luce la ricaduta che la scelta di
interrompere il trattamento può avere su coloro che si trovano in analoghe
situazioni (circa 1.700 persone in Francia), per le
loro famiglie e per il personale sanitario. Una osservazione particolarmente
pertinente.
TRA MEDICINA, DIRITTO E CULTURA
Del resto, anche altre recenti vicende, come quella di Alfie Evans in
Inghilterra e di Noa Pathoven in Olanda, hanno profondamente turbato e diviso
l’opinione pubblica oltre i confini dei rispettivi Paesi. Va sottolineato che
si tratta di situazioni molto diverse e non comparabili, per motivi sia
clinici sia esistenziali. Ma esse condividono alcuni tratti comuni. Da una
parte, il fatto che sono in gioco decisioni che riguardano la vita e la
morte, rendendo conflittuale la definizione di chi ha titolo per operare tali
scelte: la persona malata, i familiari, i medici, i giudici. Dall’altra, i
mezzi sempre più potenti di cui dispone la medicina, che sollevano con
frequenza crescente l’interrogativo sulla limitazione dei trattamenti. Queste
vicende ci richiedono quindi di precisare e di approfondire il ruolo e il
senso delle cure mediche e dei criteri che presiedono al loro impiego. Papa
Francesco ci ha peraltro ricordato che occorre evitare un indiscriminato
prolungamento delle funzioni biologiche, perdendo di vista il bene integrale
della persona (Discorso al Convegno sul suicidio assistito della Associazione
medica mondiale, 16 novembre 2017). Davanti a
queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un
atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si
possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più
che la controversia, sul piano familiare e sociale. Dovremmo inoltre evitare
di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare
insieme un accordo più ampio possibile. È un cammino che richiede impegno non
solo personale, ma anche collettivo, per elaborare quel senso della vita che
la sofferenza mette in questione e per far fronte al limite radicale che la morte
rappresenta. Si tratta di risvegliare le forze che la cultura ha sempre
mobilitato nella storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche,
da quelle artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere. Solo
una più diffusa e profonda formazione delle coscienze potrà prepararci a
decisioni così drammatiche e complesse. Nella consapevolezza che mai nessuno
deve essere abbandonato. Sempre, invece, deve essere accompagnato dall’amore.
Che sconfigge anche la morte.
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MONSIGNOR VINCENZO PAGLIA: «GESU’ DI
NAZARETH, NEL DRAMMA IL CONFLITTO NON AIUTA»
15 nisan, 33
Il caso del Nazareno e gli altri, vicende
complesse dai molti e delicati risvolti
Venerdì 14 nisan la Corte di Cassazione romana si è pronunciata
contro il divieto al Sinedrio di comminare pene di morte per crocifissione a
coloro che il sommo sacerdote considera eretici e bestemmiatori. Un divieto
deliberato dal Senato stesso in seguito alla richiesta di diversi prefetti
delle colonie relativi al trattamento delle questioni religiose interne,
interpellato dagli avvocati della famiglia e dei discepoli dell’accusato.
L’affannoso rincorrersi di ripetuti ordini e contrordini da parte autorevoli
assise giuridiche (Caifa, Erode, Pilato) indica con chiarezza la difficoltà
della situazione. Il dramma di Gesù Nazareno ha assunto una risonanza
mediatica e una portata simbolica che supera la singolarità della sua
situazione. Si intrecciano molteplici piani: familiare, religioso, giuridico,
politico, comunicativo. Tutto ciò rende molto delicata l’elaborazione di un
giudizio etico, anche perché le informazioni sull’accaduto sono assai
complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli.
I VESCOVI PALESTINESI
Dal canto suo, la Conferenza episcopale palestinese ha sottolineato di
non avere la competenza per esprimersi sul caso specifico, evitando di sostituirsi
alla coscienza di coloro cui spetta la decisione, ma fornendo piuttosto il
proprio contributo per istruire il cammino che conduce al giudizio. Si è
pertanto limitata ad alcune considerazioni generali, senza la pretesa di
entrare nella valutazione del caso concreto, anche per l’impossibilità di
disporre di tutta l’informazione necessaria. Il doloroso conflitto nella
comunità giudaica circa l’ipotesi di torturare e crocifiggere Gesù, essendo
precluso l’accesso alla volontà del Padre (alla quale comunque il reo si è
consegnato) – elemento indispensabile per la valutazione della
proporzionalità della pena –, ha condotto a una situazione di stallo che dura
ormai da anni. La questione etica si intreccia poi con la sfera giuridica. Il
ricorso alle vie legali ha irrigidito ed esasperato il conflitto. Senza
entrare nei tecnicismi della sentenza, possiamo dire che Roma ha ritenuto la
scelta della crocifissione, a cui i giudei erano giunti dopo una accurata valutazione
collegiale, compatibile con la legge vigente in Israele. Ma in questa lunga e
logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con
ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi
è favorevole e chi è contrario alla croce. I vescovi hanno anzitutto
riaffermato con chiarezza la negatività di questa pratica. Inoltre hanno
richiamato l’importanza dell’attenzione al più debole per la costruzione
della convivenza sociale. E hanno messo in luce la ricaduta che la scelta di elevare
l’eretico può avere su coloro che si trovano in analoghe situazioni (circa 1.700 zeloti solo in Giudea), per le loro
famiglie e per il personale di guardia romano. Una osservazione
particolarmente pertinente.
TRA TEOLOGIA, DIRITTO E CULTURA
Del resto, anche altre recenti vicende, come quella di Giuda il
Galileo sempre in Palestina, e, sebbene un po’ più datata, di Spartaco a Roma,
hanno profondamente turbato e diviso l’opinione pubblica oltre i confini dei
rispettivi Paesi. Va sottolineato che si tratta di situazioni molto diverse e
non comparabili, per motivi sia religiosi, sia esistenziali. Ma esse
condividono alcuni tratti comuni. Da una parte, il fatto che sono in gioco
decisioni che riguardano la vita e la morte, rendendo conflittuale la
definizione di chi ha, lo jus gladii,
cioè il titolo per operare tali scelte: il prefetto, i consoli, i giudici, i
sacerdoti, le autorità locali della comunità di appartenenza. Dall’altra, i
mezzi sempre più potenti di cui dispone la burocrazia imperiale, che
sollevano con frequenza crescente l’interrogativo sulla limitazione delle sue
prerogative. Queste vicende ci richiedono quindi di precisare e di
approfondire il ruolo e il senso delle valutazioni teologiche e giuridiche e
dei criteri che presiedono alla loro esecutività. Papa Francesco ci ha
peraltro ricordato che occorre evitare un indiscriminato prolungamento delle
predicazioni itineranti, perdendo di vista il bene integrale della comunità
giudaica (Discorso al Convegno sulla crocifissione assistita dell’Associazione
mondiale “Il Cireneo”, Pesah 32). Davanti a queste
drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di
raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di
comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul
piano religioso e comunitario. Dovremmo inoltre evitare di affidare la
soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo
più ampio possibile. È un cammino che richiede impegno non solo personale, ma
anche collettivo, per elaborare quel senso della vita che la sofferenza mette
in questione e per far fronte al limite radicale che la morte in croce rappresenta.
Si tratta di risvegliare le forze che la cultura ha sempre mobilitato nella
storia dell’umanità, in tutte le sue espressioni simboliche, da quelle
artistiche a quelle religiose, offrendo ragioni per vivere. Solo una più
diffusa e profonda formazione delle coscienze potrà prepararci a decisioni
così drammatiche e complesse. Nella consapevolezza che mai nessuno deve
essere abbandonato. Sempre, invece, deve essere accompagnato dall’amore. Che
sconfigge anche la morte.
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