martedì 29 novembre 2022

Tutte le anime di Javier Marías. Una quarta di copertina

 


“Tutto ciò che si fa, tutto ciò che si pensa, tutto il resto che si pensa e si escogita è un mezzo per pensare a loro. Perfino le guerre si scatenano per poter tornare a pensare, per rinnovare quel pensiero fisso sui nostri uomini e sulle nostre donne, su quelli che sono già stati nostri o lo potranno essere, su quelli che conosciamo già e su quelli che non conosceremo mai, su quelli che furono giovani e su quelli che lo saranno, su quelli che sono già stati nei nostri letti e su quelli che mai ci entreranno […] So che quando sarò vecchio, quando sarò in pensione e non potrò dedicarmi ad altro che a ricevere insinceri onori e a prendermi cura del mio giardino, continuerò a pensare a loro e a fermarmi in strada per ammirare persone che oggi non sono ancora nate”. Tutte le anime è il nome di un collegio di Oxford, dove un professore madrileno si reca per tenervi lezioni. Il suo è un soggiorno a termine, relativamente breve, ma sufficiente per coltivare questo interesse per gli uomini e le loro vicende. La vita scorre attraverso le relazioni e i loro intrecci: i colleghi, gli amanti propri e altrui, i loro figli e padri, i viaggiatori di un treno, i venditori di fiori, i librai, i mendicanti della cittadina e le anime infinite che passano attraverso i libri, che li popolano e li scrivono. Sono tutte le anime di questo libro che affiorano alla luce di una sola, il narratore e la sua biografia raccontata sul filo della malinconia e dell’ironia. Ognuna è occasione per capire di più, per desiderare, per amare e odiare, penetrando più a fondo nella conoscenza di sé e delle cose. Il tempo scandisce l’inesorabile destino del passaggio di ciascuno nella scena del mondo ed è sempre un tempo finito, come quello fugace dell'amore in scadenza di Claire, o dell’amore impossibile di sua madre, come il poco che resta da vivere al disincantato professor Cromer Blake, o il tempo di discesa di Eric, il bambino che da subito avverte il precipitare del tempo. Loro e altri sono anime prese dentro la tragedia del tempo che il portiere Will disconosce, o più profondamente patisce, viaggiando psicoticamente in tutti i tempi. La dilazione è vietata e forse ciò dà valore a ogni istante, ma ogni istante chiede il successivo e gli attori non ci stanno a uscire di scena: “Sapere che si dovrà rinunciare a tutto è insopportabile per tutti quanti, quale che sia ciò che costituisce quel tutto, la sola cosa che conosciamo, la sola cosa cui siamo abituati. Io capisco bene chi rimpiange di morire solo perché non potrà leggere il prossimo libro del suo autore favorito, o vedere il prossimo film dell’attrice che ammira, o bere ancora la birra, o fare le parole crociate del nuovo giorno, o seguire la serie televisiva che segue, o perché non saprà quale squadra ha vinto il campionato di calcio dell’anno in corso”. Insopportabile è dunque la morte che mette fine a un tempo, la sua nera schiena, il cui ritornello è tuttavia il pittoresco non senso delle cose che accadono, delle anime che vivono per noi e in noi in questo gioco a somma zero. Si può riderne e si può piangere al tempo stesso, come fa Javier Marías. Ma questo è tutto ciò che abbiamo ed è tutto ciò che siamo: una conversazione leggera, amabile, malinconica in un giorno che tramonta.

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