giovedì 20 giugno 2019

Platone politico: obbedienza e ribellione



“…Infatti il vero uomo non si deve preoccupare della durata più o meno lunga della sua vita e non deve essere troppo attaccato ad essa: egli deve lasciare che sia la divinità a preoccuparsi di queste cose, credere che, come dicono le donne, nessuno può sfuggire alla propria sorte, e poi preoccuparsi di come riuscire a vivere nel modo migliore il tempo che ha da vivere, domandandosi se gli è necessario per questo adattarsi alla forma di costituzione vigente nella città in cui abita, nel qual caso, infatti, bisogna che tu diventi il più possibile simile al Demo di Atene, se vuoi essergli amico e avere grande potere nella città. Guarda se questo tipo di comportamento convenga a te e a me in modo che, mio caro, non abbiamo a subire la stessa infelice sorte che dicono capiti alle maghe tessale, quando “fanno cadere giù la luna” con i loro incantesimi: infatti anche noi in questa nostra scelta a favore della potenza politica ci giochiamo quanto abbiamo di più caro.” (Platone, Gorgia, 513 a, tr. it. di P. Scaglietti). Fai attenzione, dice Platone, a non uniformati a tutti i costi alla città, diremmo alla voce dei più e alla sua organizzazione politica. Di fronte a ogni organizzazione politica è attiva una “riserva etica” che riguarda “ciò che abbiamo di più caro”. Qui Platone fonda razionalmente una specie di diritto di resistenza al potere. Esso va tuttavia posto accanto alla sua ineludibile necessità, tanto ineludibile quanto lo è per l’uomo il compito di “diventare migliori”, un compito che non si conduce a termine se non in società, se non attraverso la pratica comunitaria della dialettica e la relazione didattica maestro-allievo. Queste sono e rimangono pratiche sbilanciate e non egualitarie, in grado di fondare una precisa gerarchia e uno specifico dovere di obbedienza. Dunque si viene a generare la seguente relazione tra individuo e Stato:  l’individuo ha il massimo potere di resistere di fronte ad uno Stato illegittimo che gli chiede di sacrificare “quanto ha di più caro”;  lo Stato, dal canto suo, ha il massimo potere di obbligare l’individuo alla giustizia, essendo esso stesso giusto (una sintesi, questa, dovuta ad una felice e profonda intuizione di Laura Brambilla, che ringrazio!). Dentro questi due "massimi" si gioca la relazione tra l'uomo e la città... ogni loro sistematica moderazione, ne pregiudica l'autenticità e la verità umana.


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