“…Infatti il vero uomo non si deve preoccupare della durata
più o meno lunga della sua vita e non deve essere troppo attaccato ad essa:
egli deve lasciare che sia la divinità a preoccuparsi di queste cose, credere
che, come dicono le donne, nessuno può sfuggire alla propria sorte, e poi
preoccuparsi di come riuscire a vivere nel modo migliore il tempo che ha da
vivere, domandandosi se gli è necessario per questo adattarsi alla forma di
costituzione vigente nella città in cui abita, nel qual caso, infatti, bisogna
che tu diventi il più possibile simile al Demo di Atene, se vuoi essergli amico
e avere grande potere nella città. Guarda se questo tipo di comportamento
convenga a te e a me in modo che, mio caro, non abbiamo a subire la stessa
infelice sorte che dicono capiti alle maghe tessale, quando “fanno cadere giù
la luna” con i loro incantesimi: infatti anche noi in questa nostra scelta a
favore della potenza politica ci giochiamo quanto abbiamo di più caro.”
(Platone, Gorgia, 513 a, tr. it. di
P. Scaglietti). Fai attenzione, dice Platone, a non uniformati a tutti i costi
alla città, diremmo alla voce dei più e alla sua organizzazione politica. Di
fronte a ogni organizzazione politica è attiva una “riserva etica” che riguarda
“ciò che abbiamo di più caro”. Qui Platone fonda razionalmente una specie di
diritto di resistenza al potere. Esso va tuttavia posto accanto alla sua
ineludibile necessità, tanto ineludibile quanto lo è per l’uomo il compito di “diventare
migliori”, un compito che non si conduce a termine se non in società, se non
attraverso la pratica comunitaria della dialettica e la relazione didattica
maestro-allievo. Queste sono e rimangono pratiche sbilanciate e non
egualitarie, in grado di fondare una precisa gerarchia e uno specifico dovere
di obbedienza. Dunque si viene a generare la seguente relazione tra individuo e
Stato: l’individuo ha il massimo potere
di resistere di fronte ad uno Stato illegittimo che gli chiede di sacrificare “quanto
ha di più caro”; lo Stato, dal canto suo, ha il massimo
potere di obbligare l’individuo alla giustizia, essendo esso stesso giusto (una
sintesi, questa, dovuta ad una felice e profonda intuizione di Laura Brambilla,
che ringrazio!). Dentro questi due "massimi" si gioca la relazione tra l'uomo e la città... ogni loro sistematica moderazione, ne pregiudica l'autenticità e la verità umana.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
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