“La grande Milano tradizionale e dadaista”, bisognerebbe intitolare così
quell’assaggio di avanguardia che oggi si è potuto gustare nella libreria Mondadori,
affacciati a piazza del Duomo, all’ombra rassicurante e straniante della Madonnina
e delle nostre altezze gotiche. Si presentava un libro di quelli importanti: il
pensiero e la pratica artistica di Julius Evola. Una bella raccolta di tutto l’Evola
artistico, l’affascinante silloge di un pensiero statu nascenti, in cui ancora si agitano dinamicamente le forze che
la disciplina della maturità vorrà ordinate in precise scale gerarchiche.
Ancora senza una filosofia della storia, ancora senza padri in Francia, ma
forte del suo voracissimo sovrumanismo, Evola si butta nell’esperienza artistica
del futurismo e poi del dadaismo rivivendo nell’avanguardia il senso profondo
della modernità, la sua istanza più radicale: la libertà. La sua “filosofia si
dilata freneticamente” sulle tele, nei colori, nelle atmosfere rarefatte, nei “paesaggi
interiori”, in una metafisica ora metallica e sobria, ora proteiforme,
curvilinea e caotica: “l’io scende al fondo in grandi spirali”, incontrando la
poesia, il teatro le arti figurative, altrettanti modi di dire il suo anelito
all’oltreumano dinamico, irrequieto, perennemente insoddisfatto. Che gran bagno
di suggestioni, ispirazioni, curiosità, agitazioni per giungere alla suprema
indifferenza, quale senso ultimo della liberazione estetica! Solo così per
Evola si poteva riprendere il senso della libertà assoluta dell’Io come
potenza, che è fare e non fare, che è agire senza agire, che agendo mantiene l’idea
che ogni agire è capricciosamente indifferente a se stesso. Questa è l’istanza
più feconda dell’Evola artista e filosofo, che scoprirà la tradizione quale
semplice rovesciamento dialettico del suo radicalismo ultramoderno, quando l’arte
astratta si trasformerà in rivolta contro
il mondo moderno…Così lui che aveva usato sublimemente la mano sinistra in ioco atque vino, si troverà sulla riva
destra, a criticare il fascismo e a rimanere in piedi in un mondo di rovine.
Sacerdote dell’ordine, delle società castali, dell’aristocrazia, della
tradizione perenne e della normalità come rispetto di un’ancestrale Legge originaria,
contrapporrà in modo manicheo ciò che dentro di lui era profondamente
compenetrato: “Vi è un ordine fisico e uno metafisico. Vi è la natura mortale e
la natura degli immortali. Vi è la regione superiore dell’ ‘essere’ e quella
infera del ‘divenire’. Più in generale
vi è un visibile e un tangibile e, prima e di là da esso, vi è un invisibile
e un non tangibile, quale sovramondo, principio e vita vera”. Ma tutto ciò non
è che un simpatico divertissement:
dietro sta lo spirito dello kshatriya,
del guerriero, dell’anarca e del ribelle, cioè di quell’individuo assoluto che
è, ancora e malgrado ogni travestimento esoterico-tradizionale, il parossismo
della soggettività moderna, ben oltre la volontà di potenza nietzschiana. Ecco
allora che l’istanza di ordine della Destra viene innervata profondamente dalla
spinta libertaria e modernissima che supera ogni possibilità di chiudere gli
orizzonti dell’umanità nella sterile apologia dell’istituzione. Che arte ci può
essere nelle ammuffite stanze del potere che vuole durare? Che libertà nel
conformismo delle masse irreggimentate? Quali possibilità senza la fantasia
rivoluzionaria dell’individuo assoluto e delle sue affermazioni assolutamente e
sublimemente irresponsabili? No, Evola non è il tradizionalista invecchiato e
oramai approdato alla rassicurante professione del pompiere dopo lunga e
onorata militanza tra gli incendiari…Evola è indubbiamente fascista, è uno di
cui qualche gerarca avrebbe potuto lamentare un pericoloso anarchismo…ricevendo
da un suo superiore la medesima risposta che ricevette Pavolini quando lamentò
le origini anarchiche di Berto Ricci: caro camerata, anarchici lo siamo stati
tutti! Perché il fascismo si trova alla confluenza dell’ordine e dell’anarchia,
dentro un crogiuolo estetico che non sopporta la staticità oppressiva del
regime senza la dinamicità vivificante del movimento, e non concepisce nessuna
libertà che veda castrata la propria potenza creativa nell’impedimento a
diventare cosmo di un modo nuovo. In questo reciproco fecondarsi delle
opposizioni polari di rivoluzione e Stato, di dinamismo e assolutezza, di
metodo e sistema, sta la Stimmung
fascista di cui Evola è, volente o nolente, il volto incarnato. Qui la teoria
dell’avanguardia ha potuto diventare pratica, l’arte vita, la vita modello e
seme di altre esistenze. Bisogna dunque ringraziare Carlo Fabrizio Carli e gli
altri curatori del prezioso volume (Andrea Scarabelli, Guido Pautasso e Francesco Tedeschi), per averci restituito
questo Evola affascinante, la cui giovanile irruenza ci mantiene giovani anche
quando il rischio della laudatio temporis
acti e del più sterile passatismo si affaccia ai nostri cinquant’anni…ricordandoci
quello scantinato di via Mancini dove imparammo a leggere Evola dando un senso
diverso alla nostra gioventù in nome di un futuro che ancora incessantemente
non smettiamo di agognare.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
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