lunedì 3 ottobre 2022

Sovranità, patriottismo e liberazione in un testo di Leonardo Giordano

 


La sovranità, secondo la classica definizione di Jean Bodin, è “il potere assoluto e perpetuo di una Repubblica” che a sua volta è “un governo giusto di più nuclei familiari e di ciò che è loro comune”. La ragione democratica non toglie la definizione del monarchico Bodin, ma la arricchisce con la dottrina del potere per natura illimitato del popolo quando costituisce lo Stato, appunto il pouvoir constituant. Questo cortocircuito tutto francese tra una prospettiva monarchica e una popolare è il cuore tra Ottocento e Novecento del nazionalismo. Al centro v'è anzitutto l’idea di una sovranità che o è propria o è altrui. Non si condivide, non si spartisce, perché dove non comandi tu, comanda un altro, tertium non datur: è la grande intuizione del pensatore dei Six Livres de la République (e di Hobbes). Poi fa capolino anche la consapevolezza che il potere scaturisce da una volontà comune, che è un’essenza che si esprime immediatamente dal e nel popolo riunito, materialmente o idealmente. Le istituzioni devono a tale essenza la loro vita: questo è il contributo schiettamente democratico. Non temo qui di citare Rousseau…il grande avversario di tutti i dispotismi che non fossero razionali, nazionali e popolari, cioè che non fossero la forma dispotica che un popolo dà a se stesso, contro le sue stesse mollezze e i suoi stessi limiti.

Il nazionalismo respira costantemente con questi due polmoni. E oggi si esprime, correttamente come sovranismo. Il sovranismo è al tempo stesso la cura del Sé popolare e l’affermazione della volontà ab-soluta del popolo medesimo. Quindi lotta contro due derive, quella élitistico-tecnocratica e quella liberale- rinunciataria; cioè, per un verso, non vuole che la sovranità sia tolta al popolo, perché in ciò ne andrebbe della sua stessa identità storica e spirituale e, per l’altro, rifiuta la logica della condivisione, della compartecipazione, della collegialità e della rinuncia, perché questi non sono altro che nomi diversi per il comando altrui.

Mi sono permesso di anticipare una piccola premessa al tema della mia breve recensione all’ottimo testo di  Leonardo Giordano, Sovranità italiana. Il cammino di un’idea da Virgilio ai giorni nostri, Giubilei Regnani, Roma 2021, perché credo sia questo il tema fondamentale dello scritto: la sovranità come identità popolare e l’identità popolare come sovranità, due elementi in costante azione reciproca, oggi inseparabili e impensabili fuori dalla loro intima relazione. Giordano ha il merito di evidenziarla, ma anche di situare tale dinamica sovrano-identitaria nella storia della nostra nazione. “Situare”: questo senso della particolarità situazionale della politica la mantiene lontano dai rischi giacobini di costruire una teoria astratta del potere e del governo. Non c’è una sovranità di cui si possa parlare a priori. Uno dei meriti dell’Autore è che la sua costruzione è rigorosamente politica, cioè a posteriori, cioè dentro la vita, dentro la concretezza storico-spirituale di una nazione, l’Italia.

L’Italia ne emerge come un’esperienza: fondamentale e irrinunciabile insegnamento. Hanno in certo modo ragione i detrattori dell’idea di nazione quando dicono che la nazione non esiste ma è una selezione di ciò che conviene alla sua stessa idea. L’Italia non esisterebbe nella storia. Sarebbe un’invenzione degli italiani che avrebbero cercato a ritroso le testimonianze che confermassero il loro pregiudizio ... nazionale. Cioè sarebbe appunto il premere di un’esperienza, la vita stessa che pone la domanda sulla propria arché, un quesito che, però, non si può ricacciare nell’oblio, che si deve svelare e financo inventare. Ma tale inventio non può che essere un ri-trovamento. L’operazione intellettuale di Giordano è un’opera squisitamente risorgimentale di ri-trovamento. Gli autori, profeti, anticipatori, precursori, erano lì, anche loro nel medesimo gesto di ri-trovare una patria italiana. Tutti uniti in un grande anelito. E cos’è la patria se non “una bambina dalla voce e dai piedi nudi/un germoglio d’infanzia nel sud ventoso/nella sua mano destra riposa quella dell’angelo e nella sua sinistra la mano tentatrice del vento”? (Leopoldo Marechal, Scoperta della patria, tr. it. di M .Maraviglia, https://www.destra.it/home/la-patria-e-un-dolore-non-ancora-battezzato-i-versi-di-leopoldo-marechal-il-cantore-del-peronismo/). Tutti siamo nella condizione dei nascituri quando andiamo alla ricerca di noi stessi, tutti, si parva licet, vogliamo rinascere dall’alto delle nostre radici che sono nella terra angelica del nostro futuro, tutti ci porta il vento di una rivoluzione “radicale” sempre a venire, sempre da immaginare e da sperare.

Il libro di Giordano ci presenta altrettanti luoghi in cui ritrovarci, in cui re-inventarci, in cui ri-nascere e ri-sorgere: Virgilio e Dante: Italia di terra e di cielo, delle radici latine e dell’endecasillabo volgare, nuovo e definitivo orizzonte linguistico comune. Non possono che essere loro ad aprire le danze che vedranno protagonisti nomi obbligatori e ineludibili come Manzoni, e imprevedibili intrusi come Lomonaco (la storia del patriottismo lucano è tutta da scrivere, anzi da divulgare: un oscuro professore di Potenza, Giovanni Boccia, ne ha redatto alcuni capitoli con l’acribia del matematico e l’encomiabile passione di un mazziniano del Novecento). Poi ci sono i personaggi di un secolo tormentato che ha visto la patria trionfare e morire: il grande giurista Costamagna, lo storico Gioacchino Volpe, il filosofo Giovanni Gentile. Interessante è la presenza nella carrellata dedicata alle pietre miliari del sovranismo italiano, di una serie di figure straniere. Il sovranismo patriottico e nazionale è tutt’altro che un occhiuto provincialismo. Nessuno può capire un patriota se non un altro patriota, e ai patrioti italiani serve moltissimo il patriottismo altrui. Non si tratta evidentemente di tifare per lo straniero, per l’amico-alleato-padrone di turno. Chi vende la patria all’Impero degli altri è solo servo. Si tratta invece di dialogare con la passione altrui, in un confronto che dà vita a una comunità di innamorati. L’insieme dei patrioti, infine, come diceva Mazzini, attraverso l’appartenenza di ciascuno salva l’umanità intera, trasformandola da piatto dominio dell’indifferenziato a moltitudine di colori sgargianti che si incontrano e si scontrano e, incontrandosi e scontrandosi, si esaltano e fecondano a vicenda. Quindi non stonano tra Vincenzo Cuoco ed Enrico Mattei (grande martire della sovranità economica), un De Gaulle (perdonato per il brutto affaire Brasillach – il tuo paese a volte ti fa male) e un Wojitila, teologo delle nazioni che significativamente lamenta: “Accade spesso che una Nazione viene privata della sua soggettività, cioè della “sovranità” che le compete nel significato economico e anche politico-sociale e in un certo qual modo culturale, perché in una comunità nazionale tutte queste dimensioni della vita sono collegate tra di loro”. Infine, tra gli altri, tra coloro che amano la patria finendo a volte per amare la tua patria, trova posto anche uno studioso spagnolo a sottolineare la speciale fratellanza che vi è tra Italia e Spagna, già espressasi nel ruolo speciale che Carlo V, Filippo II e Filippo III avrebbero affidato alla Penisola dentro l’universo dell’impero cattolico spagnolo. Si tratta di questioni a me molto care. Credo che una via spagnola, o ispanico-italiana, alla modernità avrebbe rappresentato una validissima alternativa alla tragica opzione anglosassone che poi si è realizzata: l’excursus di Giordano sull’opera dell’insigne storico spagnolo Francisco Elìas De Tejada, lo dimostra ad abundantiam.

Ma accanto ai personaggi vi sono anche i temi: sovranità e patriottismo culturale, educativo, economico, energetico, e financo ludico e dell’intrattenimento. Insomma: una carrellata importante fatta di ritratti originali e profondi e di trattati altrettanto in grado di aprire squarci nuovi e nuove visioni sulla nostra identità nazionale e popolare. È l’opera di un uomo di solidissimi basi e vasti orizzonti culturali, dove, meritoriamente, non si fa dell’ideologia, non si difendono tesi precostituite, ma si mettono insieme in un ordine plausibile, benché in divenire, mattoni di disparata provenienza, ma di grande solidità.

“Non è la patria/ il comodo giaciglio/per la cura e la noia e la stanchezza;/ ma nel suo petto, ma pel suo periglio/ chi ne voglia parlar/ deve crearla”. Così si esprimeva l’amato Carlo Michelstaedter, pure citato e giustamente valorizzato da Giordano. E la creazione della patria è l’opera grande dei suoi uomini, che offrono alla propria comunità la speranza di radice profonde intoccabili dai ghiacci, di una libertà sovrana che distrugge ogni catena, di un amore definitivo che sulla terra già ci fa appartenere al cielo.

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