giovedì 19 marzo 2020

La morte anonima e un nome scritto nei cieli


“Era mio padre… Quelli che, per qualcuno, sono ‘muoiono solo i vecchi'”: le commoventi parole di Gabriele Corsi
La toccante riflessione scritta dal nostro Gabriele sulle vittime dell'epidemia.

Era mio padre.
Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri.
Era mio padre.
Lo ricordo con una barba nera nera che mi insegnava a dare calci a un pallone nel parco sotto casa.
Era mia madre.
Quella signora elegante morta da sola in ospedale perché non si poteva entrare.
Il dolore più grande. Lei. Da sola.
Era mia madre.
Che mi faceva posto nel letto grande quando avevo la febbre e mi sembrava, sempre, l’unica cura possibile.
Era mio zio.
Quel signore con gli occhiali che se n’è andato tra i tanti ieri.
Era mio zio.
Lo stesso che mi portava a giocare con i modellini di aerei e mi faceva volare restando con i piedi a terra.
Era mia zia.
La signora senza foto. Solo data di nascita e di morte.
Era mia zia.
Perché non possiamo neanche andare a casa sua a cercare una polaroid che la ritragga. Lei che a Natale mi ha regalato la prima macchina fotografica.
Erano mio padre.
Erano mia madre.
Erano i miei zii, i miei vicini, i genitori, i parenti dei miei amici.
Quelli che, adesso, non possiamo piangere.
Quelli che, adesso, non possiamo abbracciarci per lenire il dolore. Quelli che tu non sai chi sono.
Ma io sì.
Quelli che, per qualcuno, sono “muoiono solo i vecchi”, “sì, ma erano già malati”, “ne muoiono molti di più per altre cause”.
E, se sei tra quelli, vuol dire che questo, tutto questo, non ti ha davvero insegnato niente.





Le epidemie hanno questo di disperante:  infliggono la punizione più profonda e radicale che possa capitare a un uomo, quella della cancellazione della vita e al tempo stesso del nome. La morte pandemica è una morte collettiva, privata della percezione condivisa che chi muore sono sempre io, che io non sono una statistica, che io non sono un numero di letto. C’è qualcosa di simile nelle terrificanti visioni di guerra che Ernst Jünger ci racconta, c’è qualcosa di simile nella morte tecnologica sotto un profluvio di granate nelle trincee, oppure nella casualità assoluta del proiettile vagante. Ma allora, nelle tempeste d’acciaio della prima guerra mondiale, almeno si poteva pensare di partecipare a un grande destino storico, e la morte anonima, la grande sofferenze della Somme, di Verdun, dell’Isonzo o del Carso potevano trasformarsi nella lotta epocale per una nuova grandezza, tutta umana, tutta immanente, ma non priva del fascino della Totalità. Piccoli ingranaggi della totalità si spezzano, cadono, si rompono, ma tutti potranno lodare la loro vita…e il milite ignoto per sempre sarà onorato… Tale compartecipazione pubblica al dramma di una vita che finisce è una grande consolazione per i vivi, per tutti coloro cioè che potrebbero subire la stessa sorte del caduto, il quale a sua volta ha potuto fruire di questa intersoggettività nei tempi che hanno preceduto il suo sacrificio. Allora i versi di de André non sono del tutto veri:

 Cari fratelli dell'altra sponda
Cantammo in coro già sulla terra
Amammo tutti l'identica donna
Partimmo in mille per la stessa guerra
Questo ricordo non vi consoli
Quando si muore si muore si muore soli”

Non è sempre vero che si muore soli perché anche nella morte c’è una relazione costitutiva con l’altro e la solitudine non cancella completamente il dialogo spirituale che tutti sempre mantengono con il  prossimo…
Ma l’epidemia…l’epidemia ha il carattere di un maremoto che tutto distrugge. Il nemico invisibile, il contagio che può venire da tutto e da tutti, il prossimo che diventa l’untore, l’angoscia dei malati che temono un destino di abbandono prima ancora che di morte, quel senso represso eppur sempre riemergente di un ignobile “si salvi chi può” che viene dalle viscere e si fatica a ricacciare indietro, quella disperazione degli indifferenti e degli struzzi che non vogliono vedere per paura di vedere, tutto ciò si insinua e incrina la fiducia.
E poi gli ospedali, i medici, lo sforzo infinito di chi si scontra con  il limite dell’umano, che è anche un limite psicologico: vuoi dare, vuoi capire, vuoi avvicinarti per comprendere e parlare al paziente come a un “tu” e … non puoi. La rigidità dei protocolli, la scarsità delle risorse e la coscienza messa a dura prova, dilacerata eppure chiamata a una giustizia che non cessa di  fare appello anche nel mezzo di una tragedia. L’epidemia è tutto questo: dolore e lacerazione nei sani, nei malati e infine nei moribondi. Privati dei conforti della religione e della presenza dei cari, delle preghiere e della vicinanza degli amici, privati di una famiglia, essi vedono arrivare la morte asettica d’ospedale. Confinati nelle loro stanze essi sanno di essere soli, e che finiranno assieme agli altri a fare statistica. Questo è il dolore: non morire, ma sapere di essere un altro morto, un altro morto che è capitato senza un senso e senza un perché.
Dio improvvisamente si è fatto silenzioso, non solo per i suoi fedeli, che sanno quanto sia facile non trovarlo, ma per tutti. Quando il tuo nome è taciuto nell’insieme anonimo e nella tristissima pace anonima di un morte comune, lì è il silenzio di Dio. La prima voce di Dio è infatti il nome, il mezzo con cui possiamo identificare il volto degli altri e di noi stessi. Il nome raccoglie l’umanità irripetibile di ciascuno. Prima di dirti chi sei, dice “che” sei. E allora se anche Dio tace chi potrà dire una parola sensata nel dramma dei malati, dei medici, degli amici? Ogni risposta appare miserabile di fronte alla distesa di ossa: “La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare tutt'intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite.  Mi disse: «Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai» (Ez 37).
Questo possiamo dire, prima che Dio ordini, se ordina, di rinascere: “Signore tu lo sai”. Tutto rimandare al sapere silenzioso di Dio che è una ragione nascosta e invisibile … che è quello che non possiamo dire. Sopportare silenziosamente lo scacco dell’uomo e gli orizzonti di desolazione è l’unica grandezza cui Dio ha destinato i nostri amici, condannati a morire senza un nome. Lasciarli nel silenzio in cui la ragione delle cose e il loro senso si è nascosto perché, protetto da Dio, un giorno possa tornare e restituire  al mondo, alle vite,  a ciascuno il suo nome.

N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore,  mantenendo inalterato contenuto e titolo.


Nessun commento:

Posta un commento