Mario Bernardi Guardi, La morte addosso, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2021, E. 14
Nel proliferare contemporaneo di
romanzi storici si può trovare di tutto e non tutto di qualità. Per scrivere
romanzi storici bisogna avere senso storico, merce che in Europa,
complici le numerose malattie culturali provenienti dal mondo anglosassone,
risulta sempre più rara. Nemesi luminosa: proprio quel mondo, nelle sue
produzioni migliori, viene valorizzato da questo geniale testo di Mario
Bernardi Guardi. Vi si tratta della vicenda di un protagonista del soggiorno di
Villa Diodati a Ginevra, uno degli episodi cruciali del romanticismo inglese,
con la famosa tenzone letteraria sorta nella compagnia di George Gordon Byron,
Mary e Percy Shelley, John Polidori e Claire Clermont. Chi scriverà la storia
più intrigante di spettri, fantasmi, mistero e orrori di un’umanità da sviscerare
nei suoi aspetti più profondi e perciò anche più oscuri? La notte del 16 giugno
1816 fu indetta questa sfida ai cieli e agli inferni letterari, che fu poi al
centro di numerose leggende, leggende gotiche, ça va sans dire, ma anche
di opere di altissimo livello e di uguale notorietà, anzitutto il Frankenstein
di Mary Shelley, ma poi anche The vampire di Polidori e La sepoltura
di George Byron.
Bernardi Guardi assume su tale vicenda il
punto di vista originale e interessante della tragedia di John Polidori, medico
italiano e segretario-amante di Byron, che, a stare ai resoconti di polizia, si
suiciderà nell’agosto 1821, a qualche anno dal soggiorno svizzero e dal suo
successivo, brusco licenziamento. La triste e tormentata traversia del medico
venticinquenne diviene argomento di discussione, recriminazione, rivisitazione
critica e ripresa polemica da parte dei suoi amici. Lo sfondo è quello della notte
del mistero e delle relazioni morbose e appassionate che si erano allacciate
nelle stanze di villa Diodati, nell'estate senza sole del 1816, l’anno
dell’eruzione del vulcano Tambora. La morte addosso ne presenta una
sinfonia gotica a più voci: il padre di John che rivede nel legame del figlio
con Byron la sua altrettanto tormentata vicenda di segretario di Vittorio
Alfieri; Mary Shelley, fragile e idealista, per un momento amante, oltre che
confidente, di John; Claire Clermont, avvelenata concubina di Byron, che
decostruisce e disincanta i romanticismi della sorellastra Mary; Byron stesso che
avanza dubbi sulle sue ex amanti divenute amiche di John, ma rimane ancorato
alle sicurezze sullo stile ineguagliabile della propria vita e del proprio
genio … e infine John e i suoi diari, confessione di colui che si offre quale
olocausto per le sue stesse trasgressioni il cui peso non sa reggere,
esploratore e al tempo stesso vittima dei sortilegi esistenziali praticati dai
suoi sodali.
La bellezza delle trame oscure
evocate da Bernardi Guardi attorno a John e alla sua fragilità non risiede solo
nel loro milieu gotico, fatto di vampiri assetati di sangue e mostri partoriti
dalle più ardite fantasie prometeiche e scientifico/religiose, ricostruito
perfettamente pur a rapide e sparse pennellate, ma nell’allusione alla sua
radice romantica. Sono i miti del romanticismo a diventare vita e tragedia
nelle pagine de La morte addosso, i miti di una natura vivente e
animata da misteriose presenze spirituali, del genio indagatore dell’oltre e
dell’ infinito, dell’insoddisfatto Streben di superare se stessi,
dell’isterica insoddisfazione di chi vede l’infinito sempre dissolversi fra mani
e piedi, della bava maleodorante e nichilistica che lascia l’odio per ogni
ordine e armonia della vita, considerati acerrimi nemici della vaga grandezza
di cui si sente bruciante la nostalgia… L’abbandono definitivo del bello per il
sublime, senza alcuna legge morale a dominare la sua sproporzione, che trova
nella sproporzione del desiderio sessuale il suo simbolo più trasgressivo,
trasforma le relazioni, le impregna di sé, e genera la grande comunità degli
egoisti (l’Unico non avrebbe certo sfigurato nella compagnia). Polidori ne
rimane vittima, egoista incompiuto, le cui esperienze trasgressive non sono
accompagnate dal cinico distacco di una superiore ma disumana libertà, come
quella del suo mentore e padrone Byron.
Questo romanticismo è la
modernità in statu nascenti. Tutto vi è contenuto: l’illuministica
fiducia nel progresso della scienza e l’oscuro presentimento dei suoi esiti
distruttivi; il libertinismo di ascendenza sadiana e l’amoralismo
antiegualitario del genio; la distruzione delle strutture mentali ed etiche della
tradizione cristiana e il vagheggiamento di un'età dell’oro selvaggia e
incontaminata; l’idea di una civiltà libera e di una libertà politica in cui il
mito dell’uguaglianza e dell’antiautoritarismo convive con la dittatura del risvegliati
e degli illuminati … E il tutto converge nella sintesi sovrumanista della
volontà di potenza negatrice di Dio e del mondo e incarcerata tuttavia nella
prigione senza muri dell’Io. Qui troverà la morte Polidori, e la sua morte
potrebbe divenire immagine della morte di un’intera civiltà, il cui luogo di
senescenza furono le profondità anarchiche dell’inconscio emotivo,
romanticamente devote al Lustprinzip, appena illuminate dalla luce fioca
dell’utopia e del libero amore, seduttiva come un’atmosfera, intrigante come un
chiaroscuro, promettente come una carezza, crudele come un coltello che trafigge
le carni e le illusioni.
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