Juan Rulfo, Pedro Páramo, tr. it, di P. Collo,
Einaudi, Torino 2004, e. 15.00
“- Sarebbe stato meglio che non fossi uscito dal tuo paese. Cosa sei venuto a fare qui?
- Te l’ho già detto all’inizio. Sono venuto a cercare Pedro
Páramo,
che a quanto pare era mio padre. Mi ha portato qui l’illusione.
- L’illusione? Costa cara”.
Inseguire un’illusione non significa farsi paladini di
qualche ideale, o di una potente convinzione morale, pur difficile da
realizzare. L’illusione è proprio un’evanescenza. Per Juan Preciado, cresciuto
dalla madre, Pedro è un’illusione come la strada che porta a Comala, il paterno
paese delle illusioni.
Giunto a Comala, nel Messico nord-occidentale, non vedrà
nessuno ma ascolterà tutto. Comala è un paese di morti che parlano e mormorano.
Essi raccontano le loro storie. La storia di come la loro vita è passata e va,
di come sono arrivati tutti in questo Sheol, sospesi in una caligine di
particelle e di vite consunte.
Giunto a Comala, Juan è risucchiato dalla non-vita dei morti.
Il padre è un notabile del paese, latifondista e mafioso,
violento e violentatore. La relazione con la madre è stata un piccolo, insignificante
episodio…nulla ha contato nella sua vita Dolores Preciado che, in punto di morte,
gli invia il figlio “a fargli pagare l’oblio in cui li aveva lasciati”.
I crimini di Páramo si intrecciano con le storie di
Miguél, l’unico figlio riconosciuto, di Abundio, l’altro abbandonato, di
Dorotea la serva compiacente e trafitta dal dolore di un altro figlio mai
avuto.
E poi c’è il suo struggente amore per l’ultima moglie Susana.
Il criminale ama ma, per nemesi imperscrutabile, lei si strugge nel ricordo di
Florencio, passato e morto, e ne muore, lasciando a Pedro solo il rancore e la
vendetta contro coloro che non capiscono, contro il paese, contro tutti.
E poi c’è Fulgor Sedano, lo scaltro amministratore, ucciso dai rivoluzionari; la coppia incestuosa con la sorella che si disfa e consuma nella putrefazione; doña Eduviges, locandiera amica della madre e caronte che traghetta Juan nel regno dei morti che mormorano.
E tante altre storie scritte per frammenti, accennati e
ripresi. Capitoletti che sono sopravvissuti ai tagli del loro Autore. Frammenti
di scrittura e fili difficili da annodare. Molteplici accenni, molteplici
allusioni, del tutto coerenti con i frammenti di morte che attraversano il
passato e il futuro per entrare nel presente indifferente della storia di
Comala.
Juan stesso finisce
nel tritacarne della vita-morte di Comala, dove il mondo si sdoppia senza
trascendersi. Egli compie il cammino dalla vita alla non vita. Passa dall’aldiquà
all’aldilà assente su cui nulla può il Dio morto della Chiesa e dei preti.
Padre Rentería, l’ultimo personaggio di cui voglio
accennare, è il becchino di Dio: esponente di una Chiesa mondana, simoniaco per
abitudine e debolezza, è il testimone finale di un’assenza. Questo mondo, nato
dalla fantasia potente ed ermetica di Juan Rulfo sembrerebbe la realizzazione
di una teologia inversa, come quella di Mainländer che, sollevando il sudario della
creazione, vi scopre il cadavere di Dio. A Comala sono tutti morti, ma vivono
la morte di Dio, come membra ancora verminose e dunque mobili della sua
putrefazione. Non c’è alcun inferno lì, ma un purgatorio perenne, la perenne e
disperata indecisione di chi vive continuamente e indefinitamente la sua morte.
Non c’è vendetta più grande che il grande scrittore messicano
abbia potuto consumare contro il “cristero” che aveva ucciso suo padre: scrivere
il monumento dell’ateismo perfetto, un ateismo che vive di sottrazioni, come
dice Ernesto Franco. O meglio di spazi bianchi. Di differenza. Comala è letterariamente
uno spazio bianco, un vuoto: il vuoto tra le parole, la differenza che si situa
in mezzo tra il nulla della negazione e la pienezza di ciò che è negato. È lo
Sheol che non riesce ad essere né vita, né morte; né silenzio, né parola; né
essere né nulla. Comala è questo Sheol della differenza, dove solo una cosa è
negata recisamente, senza appello e senza ambiguità: la speranza.
Pedro morente, si alza, fa pochi passi: “E dopo pochi passi cadde,
supplicando dentro di sé, ma senza dire una parola. Diede un colpo secco contro
la terra e si sgretolò come se fosse un mucchio di pietre”.
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