Sulla crisi russo-ucraino-americana qualche giorno fa, constatando il solito riflesso condizionato atlantista della destra nostrana e rilevando con sconforto che rispetto a trent’anni fa non si è fatto il minimo passo avanti, ho evocato e quasi invocato il nome di Pino Rauti. Le reazioni sono state di tre tipi: coloro che hanno espresso il mio medesimo stato d’animo, coloro che hanno criticato la mia posizione, insistendo sugli errori politici del segretario del MSI, coloro infine che, attingendo a fonti spurie, hanno riprodotto accuse che una certa sinistra complottarda aveva a suo tempo lanciato di compromissione con poteri forti e trame più o meno nere.
La terza prospettiva è in assoluto la più
carente e sarebbe veramente esecrabile se non fosse che qualcuno ci crede
veramente. Qui però c’è proprio un errore di metodo: non si può accogliere tesi
senza vagliarne il contenuto polemico e le distorsioni cui vanno soggette in
relazione a una radicale inimicizia politica e all’odio fanatico che talvolta detta
inimicizia può suscitare. Fatta questa tara se ne può valutare la reale
inconsistenza e derubricarle nel capitolo della psicopatologia politica,
invitando coloro che in buona fede le hanno accolte a non cadere in simili
tranelli.
La seconda tesi, relativa agli
errori politici di Pino Rauti, è certamente più seria. La lunga carriera
politica del politico calabrese può essere sottoposta a critica. Vi sono state
negli anni Sessanta e Settanta scelte sbagliate, ma soprattutto la grande
occasione sprecata della segreteria MSI del 1990-91 ha rappresentato un punto
di non ritorno per un intero ambiente di militanti, dirigenti, politici e
intellettuali. Preso dentro un vortice di tatticismi fini a se stessi, in un
contesto di debolezza elettorale del partito, con alleati pronti a fargli le
scarpe, ha finito per compiere l’errore più grande, che non è stato perdere la posizione
di guida del partito, ma non lasciare alcuna testimonianza alla quale i suoi
sostenitori potessero aggrapparsi per il futuro. Di qui, per esempio, la
posizione profondamente sbagliata sulla guerra nel Golfo. L’errore è stato
grande proprio perché Rauti è venuto in quel frangente meno allo stile politico
che aveva coltivato e comunicato al suo ambiente di riferimento, preferendo l’inutile
mossa di scacchi all’azione dal forte richiamo simbolico e dalla profonda valenza
storico-culturale.
Su questo tema però la stessa
possibilità di rilevare il suo errore più evidente, bisogna riconoscere, è da
far risalire alla sua grandezza. E qui bisogna capire quale sia stato l’insegnamento
di Pino Rauti. Per riassumere possiamo utilizzare il titolo di un suo testo, Le
idee che mossero il mondo. Egli ha inoculato a un ambiente di militanti
politici il siero meraviglioso di un peculiare idealismo. La forza motrice
della storia sta nell’elaborazione di una visione del mondo di verità che è
capace di imprimersi nel reale trascinando prima gli uomini e poi, con loro, le
cose. Non c’è nulla di più radicalmente antitetico alla modernità e al suo
complessivo materialismo. C’è quella che egli chiamò una “lucida utopia” da
promuovere e radicare nel tempo e nel vissuto del nostro popolo. Qui andiamo
oltre quel volontarismo ideologico che pure ha mietuto qualche successo nel
Novecento, mostrandosi anche compatibile con elaborazioni di tenore
materialistico. Qui, al contrario, possiamo parlare di una politica come scienza
dello spirito. Solo una rivoluzione interiore, a partire dalla coltivazione di
una ideosfera storico-filosofica-scientifica, può produrre non tanto l’accesso
al potere di un’élite al posto di un’altra, ma un cambiamento radicale
della direzione del cammino storico per la nostra civiltà. Preparare questo
grande progetto, muoversi a proprio agio nelle grandi questioni del tempo e del
mondo, e al tempo stesso imparare la dura professione del politico (mi
riferisco ovviamente a Weber) al servizio del proprio popolo nel piccolo e nel
quotidiano: questo è lo stile che Rauti ha comunicato ai suoi e proprio ciò ha
reso lui, come tutti noi, criticabile.
E proprio perché siamo
criticabili, non temiamo di criticare, soprattutto chi ha potere. Non c’è gusto
più grande nell’affermare le ragioni del pensiero contro chi pensa di aver
ragione solo in virtù della posizione di potere che si trova ad occupare… e da
lì magari avanza la risibile argomentazione di una pervasiva etica della
responsabilità (molto al di là di quanto le aveva concesso lo stesso Weber). Non
c’è cosa che noi abbiamo stigmatizzato con maggiore convinzione: stare al
potere e vigliaccamente chiedere comprensione per i suoi “irresistibili”
meccanismi, raccontando ai governati la favoletta dell’“irresistibile”
impotenza dei governanti e intanto godere dei vantaggi personali di quell’impotente
usurpazione. Ecco allora il “fuoco sul quartier generale” della richiesta dal
basso di un’altezza delle élites, che non è fronda, ma sostegno, che non
è complotto ma attivismo rivoluzionario che chiama le élites al proprio dovere,
anche difficile, non rinunciando a offrire il proprio aiuto. Si dirà che questa
è una formulazione a sua volta idealizzata. Certo, ma questo indubbiamente è
stato lo stile che noi abbiamo cercato di incarnare sotto la guida di Pino
Rauti e nel solco della sua esperienza. E di questo stile, la destra odierna,
proprio in un momento di crescita e, se vogliamo, di successo sociale e
mediatico, ha disperatamente bisogno. Perché di meteore è pieno il panorama
politico italiano ed europeo, di destrini e destruzzi di governo e
governicchio pure, ma se Giorgia Meloni vuole essere qualcosa di diverso a
questo patrimonio etico.politico deve attingere, ascoltando con attenzione le
sue sacrosante critiche….e facendone tesoro, magari a partire dalle più urgenti
questioni internazionali.
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