lunedì 28 febbraio 2022

Pino Rauti e il metodo della politica

 


Sulla crisi russo-ucraino-americana qualche giorno fa, constatando il solito riflesso condizionato atlantista della destra nostrana e rilevando con sconforto che rispetto a trent’anni fa non si è fatto il minimo passo avanti, ho evocato e quasi invocato il nome di Pino Rauti. Le reazioni sono state di tre tipi: coloro che hanno espresso il mio medesimo stato d’animo, coloro che hanno criticato la mia posizione, insistendo sugli errori politici del segretario del MSI, coloro infine che, attingendo a fonti spurie, hanno riprodotto accuse che una certa sinistra complottarda aveva a suo tempo lanciato di compromissione con poteri forti e trame più o meno nere.

 La terza prospettiva è in assoluto la più carente e sarebbe veramente esecrabile se non fosse che qualcuno ci crede veramente. Qui però c’è proprio un errore di metodo: non si può accogliere tesi senza vagliarne il contenuto polemico e le distorsioni cui vanno soggette in relazione a una radicale inimicizia politica e all’odio fanatico che talvolta detta inimicizia può suscitare. Fatta questa tara se ne può valutare la reale inconsistenza e derubricarle nel capitolo della psicopatologia politica, invitando coloro che in buona fede le hanno accolte a non cadere in simili tranelli.

La seconda tesi, relativa agli errori politici di Pino Rauti, è certamente più seria. La lunga carriera politica del politico calabrese può essere sottoposta a critica. Vi sono state negli anni Sessanta e Settanta scelte sbagliate, ma soprattutto la grande occasione sprecata della segreteria MSI del 1990-91 ha rappresentato un punto di non ritorno per un intero ambiente di militanti, dirigenti, politici e intellettuali. Preso dentro un vortice di tatticismi fini a se stessi, in un contesto di debolezza elettorale del partito, con alleati pronti a fargli le scarpe, ha finito per compiere l’errore più grande, che non è stato perdere la posizione di guida del partito, ma non lasciare alcuna testimonianza alla quale i suoi sostenitori potessero aggrapparsi per il futuro. Di qui, per esempio, la posizione profondamente sbagliata sulla guerra nel Golfo. L’errore è stato grande proprio perché Rauti è venuto in quel frangente meno allo stile politico che aveva coltivato e comunicato al suo ambiente di riferimento, preferendo l’inutile mossa di scacchi all’azione dal forte richiamo simbolico e dalla profonda valenza storico-culturale.

Su questo tema però la stessa possibilità di rilevare il suo errore più evidente, bisogna riconoscere, è da far risalire alla sua grandezza. E qui bisogna capire quale sia stato l’insegnamento di Pino Rauti. Per riassumere possiamo utilizzare il titolo di un suo testo, Le idee che mossero il mondo. Egli ha inoculato a un ambiente di militanti politici il siero meraviglioso di un peculiare idealismo. La forza motrice della storia sta nell’elaborazione di una visione del mondo di verità che è capace di imprimersi nel reale trascinando prima gli uomini e poi, con loro, le cose. Non c’è nulla di più radicalmente antitetico alla modernità e al suo complessivo materialismo. C’è quella che egli chiamò una “lucida utopia” da promuovere e radicare nel tempo e nel vissuto del nostro popolo. Qui andiamo oltre quel volontarismo ideologico che pure ha mietuto qualche successo nel Novecento, mostrandosi anche compatibile con elaborazioni di tenore materialistico. Qui, al contrario, possiamo parlare di una politica come scienza dello spirito. Solo una rivoluzione interiore, a partire dalla coltivazione di una ideosfera storico-filosofica-scientifica, può produrre non tanto l’accesso al potere di un’élite al posto di un’altra, ma un cambiamento radicale della direzione del cammino storico per la nostra civiltà. Preparare questo grande progetto, muoversi a proprio agio nelle grandi questioni del tempo e del mondo, e al tempo stesso imparare la dura professione del politico (mi riferisco ovviamente a Weber) al servizio del proprio popolo nel piccolo e nel quotidiano: questo è lo stile che Rauti ha comunicato ai suoi e proprio ciò ha reso lui, come tutti noi, criticabile.

E proprio perché siamo criticabili, non temiamo di criticare, soprattutto chi ha potere. Non c’è gusto più grande nell’affermare le ragioni del pensiero contro chi pensa di aver ragione solo in virtù della posizione di potere che si trova ad occupare… e da lì magari avanza la risibile argomentazione di una pervasiva etica della responsabilità (molto al di là di quanto le aveva concesso lo stesso Weber). Non c’è cosa che noi abbiamo stigmatizzato con maggiore convinzione: stare al potere e vigliaccamente chiedere comprensione per i suoi “irresistibili” meccanismi, raccontando ai governati la favoletta dell’“irresistibile” impotenza dei governanti e intanto godere dei vantaggi personali di quell’impotente usurpazione. Ecco allora il “fuoco sul quartier generale” della richiesta dal basso di un’altezza delle élites, che non è fronda, ma sostegno, che non è complotto ma attivismo rivoluzionario che chiama le élites al proprio dovere, anche difficile, non rinunciando a offrire il proprio aiuto. Si dirà che questa è una formulazione a sua volta idealizzata. Certo, ma questo indubbiamente è stato lo stile che noi abbiamo cercato di incarnare sotto la guida di Pino Rauti e nel solco della sua esperienza. E di questo stile, la destra odierna, proprio in un momento di crescita e, se vogliamo, di successo sociale e mediatico, ha disperatamente bisogno. Perché di meteore è pieno il panorama politico italiano ed europeo, di destrini e destruzzi di governo e governicchio pure, ma se Giorgia Meloni vuole essere qualcosa di diverso a questo patrimonio etico.politico deve attingere, ascoltando con attenzione le sue sacrosante critiche….e facendone tesoro, magari a partire dalle più urgenti questioni internazionali.

N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore,  mantenendo inalterato contenuto e titolo.

Nessun commento:

Posta un commento