lunedì 7 febbraio 2022

Scuola e lavoro: una risposta a Vincenzo Costa


Vincenzo Costa è un autorevolissimo filosofo, studioso e docente universitario: un vero e proprio punto di riferimento di prima grandezza per gli studi fenomenologici in Italia. Negli scambi che ho avuto con lui ho trovato sempre, se non una consonanza di idee, un medesimo afflato di ricerca della verità e della giustizia, anche in politica. In lui mi è parso di ritrovare una Stimmung platonica, del Platone della Repubblica, fatta di consapevole immedesimazione nella complessità del reale e di precisa coscienza etica, o se vogliamo anche etico-utopica (nel senso migliore del termine). Perciò l'intervento riportato qui sotto, che non manca di profondità e di sforzo analitico, mi sembra meritevole di una risposta, perché appare soggetto alla pericolosa eterogenesi dei fini di finire per favorire l'avversario epocale degli uomini di buona volontà di oggi, cioè quel mostruoso e informe modello di convivenza neo-liberista, produttivistico, edonistico e crassamente materialista che fagocita la nostra Kultur, trasformandola in Zivilisation di fellahim senza storia e identità.


Perché abbiamo bisogno di un’ibridazione scuola-lavoro

di Vincenzo Costa

(https://www.facebook.com/vincenzo.costa.79025/posts/527565815559402?comment_id=527677612214889&notif_id=1644274646805170&notif_t=feedback_reaction_generic&ref=notif)

Una sinistra socialista deve diventare la punta dell'innovazione, cessando di essere una sinistra protestataria e incapace di proposta. E sulla formazione ci si gioca tutto, perché in una società della conoscenza è di lì che passa la trasformazione sociale: la trasformazione avviene nella formazione.
I tragici fatti accaduti di recente, che hanno portato alla morte di un ragazzo nel corso dell'alternanza scuola-lavoro, hanno sollevato una giustificata indignazione, come è giusto che sia, ma rischiano di portare l'intera discussione su un versante ideologico.
L'ibridazione scuola-lavoro è necessaria, soprattutto per quanto riguarda gli istituti professionali e tecnici. Mancare questa sfida non significa soltanto perdere un'occasione storica, condannare il paese al sottosviluppo. Significa condannare i giovani delle classi lavoratrici al lavoro precario, alla marginalità, alla disoccupazione.
L'alternanza scuola-lavoro, come è stato introdotto nel nostro paese è una sciocchezza, e come tutte le cose introdotte da Renzi è un disastro. Renzi è sempre stato pericoloso, ma non perché volesse innovare, cosa necessaria, ma perché ha sempre trasformato cose buone e necessarie in stupidate. La sua specialità è sempre stata e sempre sarà quella di trasformare l'oro in piombo.
Dire no alle sue sciocchezze non ci deve tuttavia portare a mantenere una posizione conservatrice, perché questo paese ha bisogno di una sinistra socialista che finalmente superi in modernità e in proposta e capacità di innovazione tutti gli altri.
Da questo punto di vista, dobbiamo ripensare i processi di apprendimento e il nesso tra esperienza e schemi concettuali. Ed a questo proposito il rapporto tra teoria e prassi può essere pensato secondo un modello lineare o un modello circolare. Per un lungo periodo storico il rapporto tra conoscenza e lavoro è stato pensato come un trasferimento applicativo attraverso cui qualcosa di appreso a scuola doveva essere tradotto nella pratica.
Questo modello teorico non è innocente nelle pratiche e nelle politiche, e nel prodursi di un gap tra educazione e occupazione: è esso che ha prodotto la distonia tra sistema formativo e sistema del mercato del lavoro. Avere pensato alla formazione delle competenze sulla base di un modello teoreticista ha prodotto una discrepanza nel match tra educazione e lavoro, ed in effetti nella letteratura odierna, a spingere verso una ritematizzazione del rapporto tra scuola e lavoro è il fatto che se da un lato una parte delle imprese non trova la manodopera specializzata che le occorre, sul versante opposto la manodopera non trova occupazione. Da questo punto di vista, Päivi Tyniälä ha notato che alla base del gap tra le conoscenze necessarie al lavoro e le conoscenze e le competenze fornite dall’educazione formale sta «la tradizionale separazione tra lavoro e apprendimento e che il modo per rimediare consiste in una migliore integrazione tra questi domini» .
Tuttavia, si tratta di chiedersi se il superamento consista nella connettività o nell’ibridazione. Avviare una spirale virtuosa tra educazione ed occupazione significa connettere sfere prima separate e incoraggiare le trasformazioni che hanno luogo attraverso le attività connettive.
Si tratta cioè di ibridare sistemi prima delimitati da regole strutturali diverse, con mission differenti e distinte, sicché il sistema formativo aveva il compito di formare e il sistema del mercato del lavoro quello di realizzare profitti attraverso la manifattura. Ibridazione significa che queste rigide differenze vengono meno, e che la separazione stessa dei luoghi perde significato, secondo strutture che al momento è solo possibile immaginare alla lontana ma che sono già in cammino nel dinamismo del reale.
Pertanto, la domanda che dovremmo porci è: quali sono, oggi, i modi in cui questi due aspetti devono essere connessi in modo da sviluppare più giusti rapporti sociali e introdurre elementi di socialismo? Non appena poniamo questa domanda si aprono vari scenari, poiché il rapporto scuola/lavoro può essere pensato:
1) sulla base di un sistema duale alla tedesca, in cui la formazione professionale avviene prevalentemente nei luoghi di lavoro, e che di fatto mantiene la separazione tra lavoro e apprendimento, o meglio tra esperienza e sapere proposizionale, per cui in una società in cui il manifatturiero è comunque in calo e la produzione diviene flessibile potrebbe rivelarsi un sistema che produce criticità;
2) sulla base di un sistema duale alla finlandese, in cui la formazione scolastica mantiene invece un ruolo importante , ma in cui le sfere rimangono separate,
3) sulla base di processi di ibridazione e non di mera connessione, per cui l’ibridazione tra sapere predicativo e precomprensione antepredicativa e tra scuola e lavoro non costituirebbero una caratteristica della sola formazione professionale, ma si estenderebbe all’apprendimento in generale, compresa la formazione accademica, sulla base dell’idea secondo cui l’ibridazione tra teoria e pratica, esperienza e sapere proposizionale e tra scuola e lavoro produce una spirale della conoscenza e dell’innovazione.
La separazione tra scuola e lavoro produce un’idea di apprendimento come acquisizione di pezzetti di conoscenza isolati e indipendenti. Competenza significava, nella concezione che dobbiamo lasciarci alle spalle, capacità di ricordare i contenuti trasmessi attraverso il manuale. Questa idea è fallimentare, si basa su presupposti equivoci, e alla sua base sta la metafora della mente come contenitore e «l’idea della conoscenza come un insieme di contenuti presenti in uno schedario mentale» .
L'ibridazione scuola-lavoro è necessaria perché la formazione non consiste nel riempire una mente vuota, ma nel rendere l’uomo capace di comprendere i nessi tra le cose entro cui la sua esistenza si muove e che si offrono nell’esperienza, rendendolo capace di modificare la sua precomprensione mano a mano che nuovi nessi vengono ad emergere nei contesti di azione, e dunque di imparare ad imparare.
Dobbiamo comprendere che
1) l’apprendimento e lo sviluppo delle competenze deve avvenire nei contesti di azione.
2) lo sviluppo delle competenze avviene nell’essere insieme con altri in contesti d’azione.
Se abbandoniamo l’idea della conoscenza come acquisizione di contenuti dentro una mente isolata, allora viene anche meno l’idea di una separazione della formazione dai contesti di azione, così come l’idea di un apprendimento “solitario”, che riguarda l’acquisizione di “strumenti intellettuali”, ed emerge che un autentico sviluppo di competenze può avvenire solo in un mondo e con altri, dunque nei contesti di azione, per cui ¬– in contrapposizione ad un apprendimento che avviene in un ambiente de-mondificato quale è la scuola – si tratta di porre al centro «l’importanza dell’apprendimento attraverso gruppi, comunità e organizzazioni» .
C'è una letteratura enorme, che stiamo bellamente ignorando, e questo rende la sinistra socialista una retroguardia protestataria, invece di porla come la punta dell'innovazione.

La deriva della scuola del problem solving
di Massimo Maraviglia

Caro Vincenzo,

Il modello che proponi implica la svalutazione radicale della cultura come prassi autonoma. In realtà l'opzione di associare artificialmente una prassi lavorativa alla prassi dell'apprendimento teorico espone quest'ultimo alla sua fagocitazione tecnocratica, ributtandoci in pieno positivismo pragmatista, cioè nell'alveo di un approccio trucemente produttivistico. Tutto ciò non ha nulla di socialista, se per socialismo intendiamo la socializzazione dei valori dello spirito connessi all'attività culturale. Perché mai ci dovremmo preoccupare di stare al passo con l'innovazione, quando i suoi motori si trovano a Pechino o a Wall Street e promuovono un modello di civiltà lontano anni luce da quello che siamo e dalle nostre più profonde vocazioni? Oggi siamo di fronte alla necessità di una scelta: o pensiamo che dobbiamo adeguare la scuola ai processi di modernizzazione pensati come fatalità ineluttabile - e allora ben venga il praticismo deteriore delle competenze, di matrice anglosassone, che è il meglio che abbiamo a disposizione per integrare le masse nel sistema produttivo del brave new world - oppure consideriamo la possibilità che alla cultura spetti il compito di elaborazione cosciente di vie alternative di civilizzazione. In questo caso la scuola non deve inseguire le trasformazioni sociali, ma prenderne congedo criticamente, per riappropriarsi spiritualmente del futuro secondo la categoria della possibilità. In ciò la consapevolezza delle tradizioni e di essere "nani sulle spalle di giganti" è fondamentale per guadagnare la giusta distanza dai processi sociali, politici, economici che si giustificano con la mistificazione dell' "assoluta novità", presentandosi come "inediti" solo per promuovere la tabula rasa dagli jngombri del passato. Di tale furia del dileguare fa parte la polemica artificiosa contro la pedagogia cosiddetta "trasmissiva", una polemica che costruisce il fantoccio antistorico dell'insegnamento come "riempimento" di contenitori vuoti (mai esistito!!!), per poi distruggerlo con la seducente prospettiva dell' "imparare ad imparare"...proprio come quello Scholasticus dell'Enciclopedia delle Scienze Filosofiche che voleva imparare a nuotare senza mai buttarsi in acqua, presumendo di possedere un Metodo senza alcun contenuto. Ecco allora che la dottrina delle competenze metodologiche, che si vorrebbe portatrice delle istanze del cosiddetto "learning by doing", si manifesta come l'autentica esautorazione dell'esperienza dai processi di apprendimento, giacché l'esperienza si fa sempre nell'incontro scontro con un contenuto difficile, sorprendente, talvolta disperante. Al contrario la cultura come metodo e "cassetta degli attrezzi" per aprire qualsiasi porta nei processi di problem solving si configura come la sua trasformazione da contenuto fecondo che esprime una certa visione del mondo e della vita in pretesto vuoto per automatizzare furbizie pragmatiche e legittimare come conquiste dell'umanità le vittorie dell'idraulico contro i rubinetti che perdono. Ora, stante che tali furbizie - empeiriai, come le chiamerebbe Platone - hanno la loro ovvia validità in taluni campi della vita, trasformarle in technai - cioè in arti razionalmente fondate - significherebbe rinunciare alla logica della domanda sul perché e sulla ragione delle cose che è la cifra dell'Occidente. Ma questo progetto è bensì il cuore delle nuove pedagogie, che sono figlie di Dewey e dell'immaginario tecnocratico-socialdemocratico legato alla sua filosofia...che ha ridotto a zero la scuola americana, producendo gli obbrobri del politicamente corretto e della cancel culture. La scelta oggi è tutta qui: o l'Europa e le sue tradizioni o il ritorno al mondo nuovo; o il socialismo dentro l'umanesimo europeo/cristiano, o il millenarismo del regno degli ultracorpi, abili, competenti, capaci ed efficaci come perfetti ingranaggi della società distopica della produzione e del godimento.


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