Il 1848 è un evento di
portata europea, non solo perché coinvolge la maggior parte dei popoli
continentali più in vista, ma perché dà origine ad una peculiare lotta per il
senso storico-spirituale di questa esplosione gravida di conseguenze. Donoso Cortés
ne rimane scosso, anche se non si può dire che la sua opera sia il prodotto di
una sorta di "terrore" del ‘48. Egli è uno che ha avuto il coraggio
di conoscere penetrare il senso di quegli accadimenti e oggi torna di
attualità, dopo che il ‘48 è stato obliato da ipocrite e ottimistiche ideologie
(oggi è la tragedia di due guerre mondiali a risvegliarne sintomaticamente la
memoria). Sull'interpretazione di quell'anno, il fatto che il 1917 sia stato
unanimemente considerato l'erede del ‘48 ha prodotto una specie di copyright
ermeneutico socialcomunista. Ciò, mentre gli storici borghesi nascondono appena
l'imbarazzo per la loro contraddizione che vede assieme disapprovazione per la
repressione della rivoluzione e sollievo per il ritorno dell'ordine. Oggi però
la situazione spirituale del 1848 non è attuale solo per i comunisti. La
continuità dell'odierna situazione con il 1848 sotto una prospettiva
non-comunista è sostenuta sotto tre punti di vista: quello di una prognosi di
politica estera, quello di una diagnosi di politica interna e quello relativo a
un parallelo storico universale.
1) Nocciolo della prognosi
di politica estera è il fatto che le potenze europee dal 1848 non potevano più
sentirsi padrone della Terra. La fine dell'epoca del Congresso di Vienna aveva
determinato la fine dell'egemonia europea e l'emergere di grandi colossi come
Stati Uniti e Russia. Tale prognosi è divenuta moneta corrente a partire dalla Seconda
guerra mondiale. Coloro che per primi l’hanno elaborata sono però Tocqueville,
Niebuhr, Bauer, insieme ovviamente a Donoso il quale afferma già nel 1847 che
tre sole potenze avrebbero potuto da allora in poi avere una politica estera:
gli Stati Uniti, la Russia e l'Inghilterra.
2) Tocqueville è anche il primo autore di una
diagnosi storico-filosofico-culturale relativa all'"inesorabile processo
di centralizzazione che, servendosi di tutte le forme statuali, di tutti i
partiti di tutte le ideologie proseguiva inarrestabile" per trasformare l'umanità
in un grande formicaio. Ciò è stato successivamente notato anche da Troeltsch,
Weber e Spengler che ne hanno individuato la causa nella crescente diffusione
della tecnica. Naturalmente anche Donoso è un eccezionale diagnostico della
centralizzazione, sin dal suo discorso sulla dittatura del 1849, e parimenti
intravvede la sua radice nella tecnica, le cui invenzioni, come ad esempio il
telegrafo, vengono poste al servizio dell'onnipervasivo apparato amministrativo
centrale. Nel discorso del 30 dicembre 1850 sulla situazione spagnola, egli
parla altresì della centralizzazione assoluta e apoplettica che annienterebbe
ogni corporazione intermedia qualora in Spagna salisse al potere un unico
partito e occupasse ogni posizione.
3) Il parallelo storico-politico-universale
conferisce alla visione della storia europea di questi autori continentali
(tale per cui essi interpretano la loro stessa storia producendo appunto
un'auto interpretazione) il suo senso autentico. Il parallelo è posto tra le
seguenti epoche:
A) il periodo delle guerre civili romane e del
cesarismo - e dunque la fine dell'eone precedente, individuato dalla civiltà
antica e culminante con la Roma classica - e l'inizio di un nuovo eone con il
cristianesimo;
B) il 1848, cioè la fine dell'eone cristiano e
l'imminente inizio di un nuovo eone post-cristiano.
In Spengler questo parallelismo è sviluppato
all'interno del suo "Tramonto dell'Occidente" e della sua teoria
dell'evoluzione delle civiltà umane. Ma egli lo evoca nei primi anni del
Novecento a partire da una tradizione consolidata nel secolo precedente.
L'inizio di tale parallelismo, infatti, si trova in Saint Simon e nel suo “Nouveau
Chistianisme”: la fine dell'eone cristiano è ovviamente considerato qualcosa di
positivo in un'ottica socialista, cioè nella prospettiva dell’auspicabile
sorgere di un nuovo potere spirituale che sostituisca la vecchia potestas
cristiano-ecclesiastica del Medioevo. Successivamente Proudhon paragona il suo
presente all'epoca inaugurata dalla battaglia di Azio, e concorda con il suo
maestro circa l'inizio di una nuova epoca. In Engels, e non in Marx che
detestava i parallelismi storici, è notata una relazione analogica tra nascita
del socialismo sviluppo del cristianesimo. Bauer, in ciò avversato da Marx che vi
fiutava un che di teologico, riprende il parallelismo tra il 19º secolo e il
periodo della nascita del cristianesimo, e ne fa il nucleo della sua esistenza
spirituale. David Strauss invece lo banalizza parlando in termini entusiastici
della nuova era e paragonando il re di Prussia Federico Guglielmo IV, ancora
attestato ad una prospettiva religiosa cristiana, a Giuliano l'apostata, il
reazionario pagano sconfitto dalla storia. Il ragionamento di Strauss è molto
rozzo: il vecchio muore, il nuovo vive; il cristianesimo è il vecchio; ciò in
cui oggi crediamo, il progresso, libertà della scienza eccetera è il nuovo. In
Renan, benché in forma un po' meno rozza permane l'idea di una lotta del nuovo
contro il vecchio.
Tra gli autori citati, il più importante è
indubbiamente Bauer. In lui la critica teologica e filosofica della ragione, e
la critica testuale e biblica, si trasformano in critica epocale, senza diventare
come in Marx un'arma ideologica volta ad annientare il nemico. Convinto che le
rivoluzioni future avrebbero danneggiato e dissolto i popoli dell'Occidente,
egli attende incrollabile il nuovo eone e nella propria esistenza riconosce
quella di un protocristiano che attende un regno terreno nuovo, non più
cristiano. Tra gli ultimi importanti autori da citare vi è certamente Kierkegaard,
il quale, pur critico del suo tempo, vede e interpreta però il cristianesimo
come la contemporaneità del Cristo crocifisso e nel suo valore esistenziale per
un individuo come qualcosa che travalica ogni situazione storica. Per questo in
lui il parallelismo si dissolve immediatamente insieme alla storia della
cristianità. Donoso a proposito dello
spirito dei tempi è colui che compie una decisiva diagnosi
storico-filosofico-culturale dell'inarrestabile centralizzazione, tecnicizzazione
e democratizzazione. Contro l'ottimismo dominante, egli vede che il telegrafo e
la ferrovia comportano una dittatura centralizzatrioce e livellatrice molto
lontana dalla coincidenza, da lui negata, di progresso tecnico e morale. Per
lui il parallelo storicistico fra il suo presente nell'epoca del cristianesimo
delle origini non può avere lo stesso significato che per un hegeliano tedesco
come Bauer, o per un anarchico come Proudhon. Non ci sono nel 1848 nuovi popoli
e una nuova fede nascente, e nessun ragionevole ottimismo: questo è
immediatamente chiaro alla sua esistenza spirituale e morale.
I grandi d'Europa
non compresero Donoso e nemmeno il rapporto della sua fredda attività
diplomatica con la sua calda retorica. Mentre Kierkegaard, con il suo cammino
interiore, conduce fuori dalla storia, la fede di Donoso lo porta dentro di
essa e gli consente di tener testa come nessun altro al monopolio
dell'interpretazione storica socialista. Donoso comprende che la pseudo
religione della tecnica apre la strada a un terrore senza fine e prevede il
mare di sangue in cui sfoceranno le correnti rivoluzionarie. Le sue parole sono
quelle di un uomo che si affaccia sull'abisso della natura umana e sull'abisso
delle forze che si servono dell'idea di un'umanità assoluta per dichiarare ogni
oppositore una bestia. Egli sa che i paradisi che promettono tali forze si
trasformano in inferni reali. Allo stesso modo sa che l'uomo non è la
quintessenza della pace e che il concetto di uomo contiene solo un’apparente
neutralizzazione dei contrasti fra gli uomini poiché si porta sempre con sé,
come contrario dialettico, quello di non-uomo, dotato del più terribile
potenziale distruttivo. Già la semplice parola non-uomo spalanca un orribile
abisso di inimicizie per cui il rapporto uomo/non-uomo viene meglio a definirsi
e prepara le categorie di superuomo e sottouomo. Il pensiero della nuova pseudo
religione dell'umanità, che si serve di tutti i mezzi tecnici per eliminare il
nemico nega ogni relativizzazione dell'uomo fondata sulla trascendenza e
sull'aldilà, e cerca di eliminare persino ogni negatività nel puro aldiquà. Ciò
fa nell'intento di fornire agli eletti di una nuova umanità il paradiso di
un'esistenza puramente terrena. Donoso non è stato capito sia dagli amici, sia
dagli avversari conservatori, liberali e borghesi: solo i suoi acerrimi nemici
socialisti hanno capito qualcosa perché egli contestava loro il diritto di
interpretare la storia come legittimazione della loro violenza rivoluzionaria. Proudhon
lo vede come epigono degli inquisitori, Herzen come un apostata reazionario
della nuova religione dell'umanità. Marx invita a ignorarlo come puro ideologo
della classe dominante. In effetti dopo il 1848 cala il sipario su Donoso. Solo
nel ‘900, in mezzo ad una miscela di guerre fra Stati e guerre civili, può
risplendere il senso trascendente delle sue parole che ci fanno presente come
oggi l'Europa non è incalzata da civilizzazioni estranee, ma dai risultati e
dai prodotti dello stesso spirito europeo. Di qui la prova cui si sottopone il
Dio presente, di là da ogni parallelismo storico.
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