Dopo la sua prima pubblicazione nel lontano 2006 sulla sito-rivista telematica Ekpyrosis, il testo è scomparso dal web (almeno così mi pare). Ne ho parlato ieri per caso con un amico e mi è di nuovo tornato in mente. Così ho deciso di riproporlo. Buon lettura!
Presentiamo qui la prima traduzione
italiana di un testo apocalittico, risalente forse al VII secolo, pervenutaci
in latino (probabilmente da un originale greco), opera di un autore che si
appoggia all'autorità di sant’Ephraem di Nisibi o di Edessa, noto padre
orientale del IV secolo, famoso per i suoi Inni che gli valsero il soprannome di “arpa dello
Spirito Santo”. Si tratta di un discorso che è sintomatico di una mentalità
diffusa tra le é l i t e s cristiane altomedievali e che, nella sua
brevità e semplicità, ci pare significativo in quanto riassume e condensa in
poche pagine e con una certa sobrietà molteplici tradizioni patristiche
relative ai tempi ultimi. Le note — che vogliono esclusivamente introdurre a
dette tradizioni senza alcuna pretesa di esaustività filologica anzi senza propriamente
volersi sostituire al lavoro proprio dei
filologi sull’inquadramento storico dello
scritto — faranno emergere anche i temi che secondo noi sono maggiormente degni
di nota (il katéchon; l’Anticristo “buono” etc.). Nel redigere il
piccolo apparato di commento al testo sono risultati di grande aiuto i testi
curati da Fausto Sbaffoni (Testi
sull’anticristo, 2 voll., Nardini,
Firenze 1992) e da Gianluca Podestà e Marco Rizzi (L’Anticristo, il nemico dei tempi finali, vol. I, Mondadori-Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2005) che segnalo a
chiunque voglia approfondire l’argomento.
Cap. 1
Fratelli carissimi, credete allo Spirito Santo che parla
in noi. Già prima abbiamo detto che la fine del mondo è molto vicina e il
compimento si approssima. Forse che la fede originaria non è venuta meno negli
uomini? Quanto se ne vedono gli effetti nei fanciulli ... le azioni infamanti nei
capi, le azioni ingannatrici nei sacerdoti, gli spergiuri nei leviti, i
malefìcii dei ministri, le passioni adultere nei vecchi, gli istinti lussuriosi
nei giovani, lo sguardo menzognero nelle donne, le passioni lascive nelle
giovani. E in mezzo tutte queste cose vi sono le guerre dei Persiani, e il
minacciare incombente di popoli diversi e l’insorgere di regno contro regno (Mt
24,7); e quando comincerà la distruzione militare dell’impero dei Romani, sarà
imminente l’avvento del male. Infatti nel compiersi del declino dell’impero
romano è necessario che finisca questo mondo (1). In quei giorni saliranno al
potere due fratelli (2), comanderanno senza dubbio con un solo proposito, ma
poiché uno prevaricherà l’altro, ci sarà dissidio fra loro. E così sarà liberato
l’Avversario e inciterà l’odio tra il regno dei Persiani e quello dei Romani (3).
In quei giorni in molti si leveranno insieme contro l’impero romano, e suo
avversario sarà il regno dei Giudei. Vi saranno movimenti di popoli e
circoleranno storie malvagie e vi saranno pestilenze, carestie, terremoti in
vari luoghi (Mt 24,7) e saranno fatti dei prigionieri in tutte le popolazioni
(Lc 21,24), vi saranno guerre e rumori di guerra (Mt 24, 6-8) molte cose
distruggerà la spada da un confine all’altro della terra. E ci saranno tempi
troppo pericolosi che non consentiranno alla mente di pensare a cose migliori
per la paura e il disordine, quando si avvicineranno le molte afflizioni e
desolazioni delle terre.
Cap.2
Dobbiamo
pertanto, fratelli miei, comprendere che cosa si avvicina e incombe. Già si
sono abbattute carestie e pestilenze, migrazioni di popoli, e sono ormai
compiuti i segni che erano stati predetti dal Signore, e non resta altro se non
il sopraggiungere del male alla fine dell’impero romano. Perché dunque ci
occupiamo di affari terreni e la nostra mente è tutta intenta alle
concupiscenze del mondo e alle preoccupazioni profane? Perché dunque non allontaniamo
da noi tutte le preoccupazioni per le attività terrene e non prepariamo noi
stessi all’incontro con Cristo Signore affinché ci salvi dalla confusione che
opprime il mondo intero? Credetemi, fratelli carissimi, perché la venuta del
Signore è vicina, credetemi, perché la fine del mondo è prossima, credetemi,
perché i tempi sono gli ultimi. Oppure se non vedete con i vostri occhi non
crederete (Gv 20, 25-27)? Badate che non si compia in voi la sentenza del
profeta che dice: “Guai a quelli che desiderano vedere il giorno del Signore”(Am
5,18) (4). Infatti tutti i santi e gli eletti di Dio, prima della tribolazione che
verrà, si riuniranno e saranno accolti dal Signore affinché quando verrà
affinché non vedano la confusione che distruggerà il mondo intero a causa dei
nostri peccati (5). E così, fratelli a me carissimi, è giunta l’ora undicesima
(Mt 20, 1-16) e la fine di questo mondo verrà per la mietitura, e gli angeli
attrezzati e pronti, terranno le falci in mano, aspettando il comando del Signore.
E noi per cieca infedeltà al mattino riteniamo che esiste un mondo che arriva
alla sera. Si genereranno agitazioni, incomberanno guerre fra genti diverse, battaglie
e incursioni di barbari, le nostre terre si spopoleranno e noi saremo molto
spaventati di non aver ascoltato e di non aver fatto penitenza in ogni modo: anche
a noi incuteranno timore, e neppure a tal punto vorremo essere convertiti,
quando avremo particolarmente bisogno di penitenza per i nostri misfatti!
Cap. 3
Quando allora
si avvicinerà la fine del mondo scoppieranno numerose guerre, ovunque
agitazioni, orribili terremoti, sommovimenti di popoli, tempeste in ogni dove,
pestilenze, carestie, sete lungo i cammini, enormi pericoli per mare e per
terra, frequenti persecuzioni, uccisioni e massacri ovunque, timore nelle case,
paura nelle città, terrore durante i viaggi, sospetti ad andar per mare,
preoccupazioni nelle piazze. Nel deserto gli uomini diverranno insensibili,
nelle città le anime si struggeranno. L’amico non si preoccuperà dell’amico, il
fratello per il fratello, i genitori per i figli, il servo fedele per il suo signore,
ma una sola necessità occuperà tutti quanti e non potrà essere trovato in quel
tempo alcuno che non sia tutto rivolto al pericolo, ma tutti, costretti dalla
paura, si logoreranno per il male incombente.
Cap. 4
E quando la
terra sarà scossa da popoli bellicosi, gli uomini si nasconderanno sui monti e
tra le rocce, in spelonche e caverne della terra, in sepolcri e monumenti funebri,
e lì, consumati dal terrore, spireranno perché non ci sarà ove fuggire ma sarà
ovunque scompiglio e afflizione insopportabili (6). Chi è in Oriente fuggirà in
Occidente, chi invece in Occidente fuggirà in Oriente, e non vi sarà luogo
abbastanza sicuro poiché il mondo sarà ricoperto da genti assai dissolute, il cui
aspetto sembrerà essere più quello di bestie che di uomini. Infatti quelle
genti straordinariamente terribili, nemicissime di Dio e impure, che non
rispettano né i vivi né i morti (spaventano i vivi e divorano i morti), mangeranno
carne di cadaveri, berranno il sangue delle giumente, profaneranno la terra,
contamineranno tutte le cose e non vi sarà chi potrà resistere (7). In quei
giorni non saranno seppelliti gli uomini, né cristiani né eretici, né Giudei né
pagani, perché, per paura e timore, non ci sarà chi li seppellirà; infatti,
tutti intenti a mettere in salvo se stessi, li ignoreranno.
Cap. 5
E quando saranno compiuti i giorni dei tempi di quelle
genti, dopo che avranno devastato la terra, si avrà una tregua; il regno dei
romani sarà ormai tolto di mezzo (8), e l’impero dei cristiani sarà consegnato
a Dio e al Padre (9); e allora verrà la fine, quando verrà soppresso il regno
dei Romani e saranno distrutti tutti i principati e le potestà. Allora apparirà
quel nefandissimo e abominevole serpente, quello stesso che Mosè indicò nel
Deuteronomio dicendo: “Dan è un leoncello che si accuccia e si slancia da
Basan” (Dt 33,22). Infatti si accuccia per ghermire, distruggere e uccidere. Un
giovane leone, in verità, non come il leone della tribù di Giuda, ma ruggente
per l’ira e per divorare (10). Viceversa da Basan si slancia in avanti. Basan certo
va interpretato come confusione. Egli emerge dalla confusione della sua
iniquità. E questi come una pernice, raccoglierà a sé i figli della confusione,
e accrescerà la sua azione, e chiamerà quelli che non ha generato, così come
dice il profeta Geremia. Sebbene essi nell’ultimo giorno lo abbandoneranno lasciandolo
confuso.
Cap. 6
Dunque,
quando sarà venuta la fine del mondo, quel bugiardo e assassino nascerà della
tribù di Dan. Sarà concepito dal seme di un uomo e di una vergine immonda e
turpissima, seme misto a uno spirito malvagio e assai iniquo. Ma quello
scellerato, seduttore più di anime che di corpi, da giovane, prima di prendere
il potere, sembrerà, subdolo serpente, dimorare sotto un’aura di giustizia.
Scaltramente sarà mite con tutti, dal momento che non accetterà doni, non farà
preferenza per alcuno, sarà amabile con tutti, pacifico verso tutti quanti, non
chiederà regali, apparendo cortese verso i vicini, al punto che gli uomini lo
magnificheranno dicendo: “Questo è un uomo giusto”, non sapendo che in lui si
sarebbe nascosto un lupo sotto le sembianze di un agnello e un uccello rapace
dentro la pelle di una pecora (11).
Cap. 7
Ma quando inizierà ad avvicinarsi il tempo del suo abominio
e della sua desolazione, reso legittimo, assumerà il potere e, come si dice nel
salmo: “Sono venuti in aiuto ai figli di Loth” (Sal 82,9), a lui accorreranno
per primi i Moabiti e gli Ammoniti (12) quasi come al loro re. Quindi quando
avrà preso il regno, ordinerà loro di riedificare il tempio di Dio che è in
Gerusalemme; e questi, una volta entrato lì, vi si sederà come Dio e ordinerà
di essere adorato da tutte le genti pur essendo carnale e immondo e un impasto
di spirito iniquo e carne. Allora si adempirà quella parola del profeta Daniele
che dice: “Egli non si darà alcun pensiero del dio dei padri suoi, né conoscerà
i desideri del dio amato delle donne” (Dan 11,37). Infatti egli, serpente tutto
iniquo, rivolgerà a sé ogni culto. Inoltre proporrà un editto perché gli uomini
siano circoncisi secondo il rito dell’antica legge. Allora si congratuleranno
con lui i Giudei, giacché da lui sarà restituita loro la consuetudine dell’Antico
Testamento; allora tutti da ogni parte accorreranno a lui nella città di
Gerusalemme e la città santa sarà calpestata dai popoli per 42 mesi, come dice il
Santo Apostolo nell’Apocalisse, i quali saranno tre anni e mezzo, cioè 1.260
giorni (13).
Cap. 8
In questi tre
anni e mezzo il cielo tratterrà le sue gocce; infatti non vi sarà pioggia sulla
terra e le nubi cesseranno di solcare il cielo e le stelle difficilmente saranno
viste in cielo prima della straordinaria siccità, che accadrà nel tempo del
ferocissimo serpente. Si prosciugheranno infatti tutti i grandi fiumi e le fonti
d’acqua più importanti che zampillano da sé, i torrenti lasceranno inaridire le
loro vene d’acqua a causa di un calore intollerabile, e ci saranno grandi tribolazioni
di entità tale quale non vi fu da quando gli uomini cominciarono ad abitare la
terra, e vi saranno fame e sete insopportabili. I figli verranno meno nel seno
delle loro madri e le mogli sopra le ginocchia dei loro uomini, non avendo cibo
da consumare. Infatti in quei giorni ci sarà penuria di pane e di acqua e
nessuno potrà vendere o comprare il frumento del tempo della caducità, se non
colui che porterà in mano o in fronte il sigillo del serpente (14). Allora
nelle piazze giaceranno in rovina oro e argento, indumenti preziosi e pietre di
grande valore e ogni genere di perla per le strade e i vicoli delle città e non
vi sarà chi allungherà la mano e prenderà o desidererà prendere ma ogni cosa
sarà considerata un nulla per la straordinaria siccità e della mancanza di pane,
perché la terra non sarà alimentata dalle piogge del cielo, né vi sarà più
sulla terra rugiada né umidità di venti. Ma quelli, che vagheranno per i
deserti, fuggendo dall’immagine del serpente, piegheranno le loro ginocchia a
Dio, a quello stesso modo che è degli agnelli al seno delle madri, camminando
nella salvezza di Dio, errando per luoghi deserti, mangeranno erba.
Cap. 9
Allora, quando questa necessità avrà costretto tutti,
giusti e empi, i giusti per essere giudicati dal loro Signore, al contrario gli
empi per essere dannati in eterno con il loro diavolo istigatore, Dio vedendo il
genere umano in pericolo e sconvolto dal soffio dell’orribile dragone, manderà
loro una predicazione di conforto attraverso i suoi sacerdoti, i profeti Enoch
ed Elia (15), i quali, non assaporando ancora la morte, saranno stati
preservati per proclamare la seconda venuta di Cristo e accusare il nemico.
NOTE
(1) Qui vi è un accenno esplicito al tema, molto
diffuso nella letteratura patristica, dell’impero romano come katéchon, cioè come quella forza al
tempo stesso personale e impersonale che viene evocata da san Paolo (2 Tess 2,
6-8) quale soggetto che trattiene (katéchein)
la manifestazione dell’Anticristo e dunque il precipitare degli eventi verso la
fine escatologica di questo mondo: “Non ricordate quando ero ancora tra voi e
venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce [tò katéchon] la sua manifestazione
[dell’Anticristo, ndr.] che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è
già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene [o katéchon]. Solo allora sarà rivelato
l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca...”. Tra
gli autori che hanno proposto l’identificazione di questa misteriosa figura (di
cui Agostino ammetteva la sostanziale impossibilità di una spiegazione certa e
incontrovertibile) con l’impero e/o l’imperatore si annoverano Tertulliano (Apologeticum, XXXII e XXXIX), Lattanzio
(Divinae Institutiones VII, 15),
Gerolamo (Ad Algasiam, 11,9 ss.) Giovanni
Crisostomo (In II epistolam ad
Thessalonicenses homilia IV ). Tale visione dell’impero convive in epoca
patristica con quella che vede nello stesso impero una forza anticristica,
sulla base soprattutto di Daniele e dell’Apocalisse. Nel medioevo
romano-germanico i ruoli si chiarificheranno: Roma-katéchon avrà una connotazione esclusivamente positiva e
l’Anticristo assumerà di volta in volta le sembianze dell’eretico, del giudeo,
del pagano, del nemico di turno della Chiesa cattolica. Per una rassegna delle
interpretazioni antiche, medievali e moderne delle pericope paolina mi permetto
di rinviare a M. Maraviglia, La penultima
guerra. Il concetto di katéchon nella dottrina dell’ordine politico di Carl
Schmitt, Università degli Studi di Milano, 2002-2003, pp. 138-179. La
questione del katéchon è stata
ripresa nella nostra contemporaneità ed è uscita dal ristretto ambito degli
studi biblici e patristici, diventando il concetto di “forza che trattiene” una
categoria importante della filosofia politica e della storia (cfr., per
esempio, oltre al citato C. Schmitt, M. Cacciari, Dell’Inizio, Adelphi, Milano 1990, pp. 621-638).
(2) Singolare questa citazione di due fratelli, dai
quali sarebbe emerso l’Avversario. Forse per simmetria con la nascita di Roma e
con il mito di Romolo e Remo, l’Autore vuole porre alla fine dell’arco storico
della città imperiale due fratelli in dissidio tra loro. Commodiano (Carmen, 805-985) riporta la vicenda di
una coppia di Anticristi, formata da Nerone redivivo e da un condottiero
orientale parimenti in lotta fra loro, e dai quali emerge vittorioso
l’Anticristo venuto da Oriente alla testa di Medi, Persiani, Caldei e Babilonesi.
Non si può tuttavia porre una relazione tra il nostro testo e il poema
commodianeo se non a livello di pura suggestione. Non è stato peraltro possibile
esaminare i trattati escatologici di sant'Ephraem di Edessa che forse in questo
e in altri casi sarebbero stati d'aiuto.
(3) Questa fase del racconto è un po’ confusa. Prima
il regno dei Persiani è incitato all’odio per i Romani da uno dei fratelli (forse
è ancora ravvisabile una suggestione commodianea, laddove nel Carmen, 910-926, il secondo Anticristo
muove guerra a Roma e la distrugge), poi sono i Giudei ad essere, fra i molti
nemici dell’impero, l’avversario principale di quest’ultimo. Probabilmente la
citazione dei Persiani e l’allusione ad un loro ruolo nei tempi escatologici
hanno a che fare con i grandi problemi che nel terzo secolo questo popolo
guidato da re Sapor I diede ai Romani, giungendo fino a prendere prigioniero
l’imperatore Valeriano e a rappresentare la maggiore minaccia per la compagine
imperiale. Il diacono Ephraem, con cui il nostro autore si identifica e del
quale probabilmente conosce alcuni scritti, nel secolo IV conobbe da vicino le
lotte tra i Romani e gli eserciti persiani di Sapor II per la conquista di
Nisibi, sua città natia, le vicende della quale sono riportate nei suoi Carmina nisibena. Nella leggenda del Nero redivivus (che ha origini pagane:
Tacito, Historiae I,2; Svetonio, Nero, 40-47, ma che è stata poi
variamente ripresa, attraverso gli Oracula
sibyllina VIII 139-159, dai Padri, tra cui Cirillo di Gerusalemme,
Vittorino di Pettau, In Apocalypsim,
17, 9-16; Commodiano, Carmen, 825
ss.; Instructiones I, 41,7 e
Lattanzio) secondo la quale, come si è visto nella nota precedente,
l’imperatore Nerone sarebbe ricomparso alla fine del mondo nelle vesti
dell’Anticristo stesso, i Persiani hanno un ruolo specifico: o sono coloro
presso quali l’imperatore malvagio sarebbe stato ospitato prima di ricomparire
fra i vivi, oppure, come in Commodiano, sono gli avversari crudeli e potenti
del primo Anticristo, Nerone, il quale sarà appunto soppiantato dal loro
condottiero, che si proclamerà immortale e si proporrà agli stessi Giudei come
Messia, tendendo loro una trappola mortale. La menzione dei Persiani ha anche
una funzione importante per la datazione del testo (cfr. infra, nota 5).
(4) Nel testo biblico si allude ai peccatori per il
quale la giustizia divina comporterà l’allontanamento definitivo da Dio: “Guai
a coloro che attendono il giorno del Signore. Che sarà per voi il giorno del
Signore? Sarà tenebre e non luce” (Am 5, 18). Il “voi”, qui sottointeso, si
riferisce in Amos al popolo di Israele che insiste nel suo peccato. Così il
significato della citazione risulta intelligibile, dato che in generale
l’attesa del giorno del Signore rappresenta una delle basi fondamentali della
fede prima giudaica e poi cristiana e riguarda normalmente un evento fausto,
anzi, di più, l’ingresso nell’assoluta beatitudine del Regno.
(5) V’è qui uno strano prologo in cielo delle
vicende escatologiche in cui, alimentando un dibattito a noi abbastanza
estraneo, alcuni autori americani hanno voluto vedere la testimonianza di una
sorta di pre-tribulational rapture
dei cristiani, affinché non restino partecipi delle vicende più dolorose dei
tempi penultimi (cfr. Grant R. Jeffrey, Final
Warning, Frontier Research Publications, Toronto 1995; Timothy Demy e
Thomas Ice, The Rapture and an Early
Medieval Citation, “Bibliotheca Sacra” 152 (1995), pp. 300-311; Grant R.
Jeffrey, A Pretribulational Rapture
Statement in the Early Medieval Church, in Thomas Ice e TimothyDemy (eds.),
When the Trumpet Sounds: Today’s Foremost
Authorities Speak Out on End-Time Controversies, Harvest House, Eugene (Or)
1995; Tim Warner, Pseudo-Pseudo Ephraem.
Grant Jeffry II, The Sequel, 2001,
www.lasttrumpet.com: quest’ultimo articolo contiene anche la traduzione
integrale in inglese del nostro testo). L’idea mi sembra un po’ complicata e
contraddice le numerosissime e sostanzialmente universali (cioè ravvisabili in
tutte le aree geo-culturali e in tutte le epoche della cristianità) paure dei
fedeli riguardo alle immagini cupe che descrivono, nella letteratura biblica e
presso i più autorevoli padri della Chiesa, i tempi immediatamente precedenti
la parusia di Cristo (paure che seguendo l’interpretazione pre-tribulational non avrebbero ragione di essere). Il nostro
testo, peraltro, afferma, da un lato, che nel tempo della desolazione sia i
cristiani, sia i pagani o gli eretici non saranno seppelliti, e così dà per
scontato che anche i cristiani vivranno e morranno durante questo periodo. Dall’altro
lato sostiene che alla fine sia i giusti sia gli ingiusti “saranno costretti” a
subire le angustie dei tempi penultimi, prima che il Signore salvi gli uni e
danni gli altri. Tenendo conto anche solo di questi due elementi narrativi (tra
gli altri che si possono intravvedere) si può escludere con buona sicurezza
questa sorta di scorciatoia dei credenti verso la salvezza, che eviterebbe loro
di vivere la tribolazione. In ambito anglosassone si è occupato dello Ps.
Ephraem anche P-J. Alexander, The
Byzantine Apocalyptic Tradition, University of California Press, Berkeley
1985.
(6) Questo passo corrisponde ad uno dello
Pseudo-Metodio, Sermo de Regnum cantium
et in novissimis temporibus certa demonstratio, 13, in E. Sackur, Sibillinische Texte und Forschungen, Max
Niemeyer, Halle 1898, pp. 91-92: «Tunc
reserabuntur portae aquilonis et egredientur virtutes gentium illarum, quas
conclusis intus Alexander et concutietur omnis terra a conspectu eorum et
expaviscent homines et fugientes conterriti abscondent se in montibus et
speluncis et in monumentis et mortificabuntur a timore et corrumpentur prae
pavore quamplurimi et non erit qui corpora sepeliat». Stabilire quale sia
il rapporto tra il nostro testo e lo Ps. Metodio è questione complessa da
lasciare ai filologi. Io rilevo soltanto
che il Sackur (ivi, p. 93 n. 3 e p.
95 n. 2 in cui usa il verbo schöpfen=attingere)
sostiene che lo Ps. Ephraem abbia attinto
in diversi punti allo Ps. Metodio, e ciò implicherebbe una datazione del
primo posteriore al secondo, quindi verso la fine del sec. VII o l’inizio dell’VIII (lo Ps. Metodio è datato nella
seconda metà del sec. VII). Al contrario il primo editore del Sermo de fine mundi, Carl Paul Caspari, Briefe, Abhandlungen und Predigten,
Malling, Christania 1890, sostiene che l’originale greco del testo sia stato abbozzato tra il 565 e il
628, cioè anteriormente alla vittoria definitiva dell’imperatore Eraclio sui
Persiani guidati da Cosroe II e Kawad
e alle invasioni arabe (le prime avrebbero reso poco plausibile la citazione
dei Persiani come nemici dei tempi finali,
mentre le seconde — con le loro conseguenze catastrofiche per il cristianesimo
orientale — difficilmente sarebbero potute
passare sotto silenzio) e di conseguenza anche allo scritto dello Ps.
Metodio. In ciò sostanzialmente concorda l’Alexander (op. cit., p. 145), che ritiene comunque inaccettabile una datazione
posteriore all’avvento dell'Islam.. Bousset (Der Antichrist in der Überlieferung des Jundentums, des Neuen
Testaments und der Alten Kirche, Göttingen 1895) ritiene invece che il Sermo sia databile attorno al 375, con argomenti che, secondo quanto afferma il Migne
stesso, sono “aliquo modo flaccidis”
(PL supplementum, IV, col. 606). La datazione del codice Barberinus 671 (XIV, 44) da cui è stato
tratto il testo (presente anche in un più tardo codice Sangallensis 108), è indubbiamente collocata da Wilmart nel sec.
VIII (che concorda su questo argomento con Caspari e con Migne). Questi afferma anche di conoscerne un altro manoscritto
antico: Paris. BN 13348. s. VIII, f. 89r-93v: cfr. D.A. Wilmart, Le discours de saint Basile sur l’ascèse en
latin, “Revue Bénédectine” XXVII (1910), pp. 226-233, qui pp. 226-227.
(7) Chi sono questi “popoli bellicosi” e “genti
dissolute”? L’ipotesi che l’Autore si riferisca alla tradizione biblica di Gog
e Magog mi è confermata dal confronto con lo Ps. Metodio che tra i popoli
“immondi e dall’aspetto orribile” (Sermo
cit., 8, p. 72) “rinchiusi da Alessandro” (cfr. citaz dello Ps. Metodio nella
nota precedente) e di nuovo liberi di compiere le loro malefatte negli ultimi
tempi, include le genti di Gog e Magog (ivi,
74) secondo ciò cui allude appunto il testo del Sermo citato nella nota precedente. Questa tradizione ha inizio con
Ezechiele (38,2 ss.) che indica nelle genti capeggiate da Gog nella regione di
Magog (un coacervo di popoli tenuti assieme dalla ferocia e dalla volontà di
conquista) i più pericolosi nemici della teocrazia d’Israele; essi, dice Jahwe,
nella profezia saliranno “contro il mio popolo Israele come nube che copre la
regione” (Ez, 38-16) ma Dio interverrà in soccorso del suo popolo, ne abbatterà
le schiere e darà in pasto i soldati nemici agli uccelli rapaci (cfr. Ez,
39,1-5). Il tema sarà ripreso in Ap 20, 7-10 — in cui le genti di Magog guidate
da Gog diventeranno le nazioni di “Gog e Magog” — e di qui verrà la sua
rilevanza escatologica.
(8) Riferimento letterale a 2 Tess 2, 6, laddove si
parla del katéchon che deve essere
“tolto di mezzo” (ek mésou gènetai)
prima della manifestazione del “mistero dell’iniquità” (cfr. nota 1).
(9) Come in Paolo [1 Cor 15,24] Cristo “rimetterà il
regno a Dio, il Padre, dopo aver distrutto ogni principato e ogni dominazione e
potenza”, così l’imperatore, in una situazione ben diversa, cioè consapevole
della sconfitta delle forze umane di fronte alla preponderanza degli eserciti
del male, riconsegnerà il suo regno mondano, che fino ad allora aveva avuto un
fondamentale ruolo katéchontico, a
Dio e al Padre, aspettando solo la finale parusia del Cristo che, solo, può
distruggere l’iniquità dilagante. Tale episodio è riportato con maggiore
dovizia di particolari dallo Ps. Metodio: «Et
cum apparuerit filius perditionis, ascendit rex Romanorum sursum in Golgotha,
in quo confixum est lignum sanctae crucis. In quo loco pro nobis Dominum mortem
sustenuit, et tollit rex coronam de capite suo et ponet eam super crucem, et
expandit manus suas in caelum et tradit regnum christianorum Deo et patri»
(ps. Metodio, Sermo, 14 cit., in E. Sakur, Sibillinische, cit., p. 93). A tale fonte attingerà in epoca
altomedievale anche Adso di Montier en Der, Epistola
ad Gerbergam reginam de ortu et tempore Antichristi, ivi, p. 110: «Et ipse erit maximum et omnium regum
ultimus. Qui postquam regnum feliciter gubernaverit, ad ultimum Ierosolimam
veniet et in monte Oliveti sceptrum et coronam suam deponet. Hic erit finis et
consummatio Romanorum christianorumque imperii».
(10) Ireneo di Lione (Adversus haereses 30.2) è il primo tenere conto di una tradizione
del giudaismo che in base a Gdc 18, 30-31, 1 Re 12,29-30; Am 8.14 e altri testi
apocrifi, considerava il cedimento della tribù di Dan all’idolatria una sorta
di marchio d’infamia. Questo sarebbe stato il motivo principale del fatto che
in Ap 5,8 tale tribù non fosse contemplata tra le tribù di Israele e,
conseguentemente, del ruolo negativo che tutta l’apocalittica successiva avrebbe
attribuito a Dan: cfr. Ippolito, Benedizioni
di Giacomo, 22; Benedizioni di Mosé;
Benedizione di Dan in PO 27, coll.
183-185; Gerolamo, In Danielem,
XI; Ambrogio, De benedictionibus Patriarcharum; Agostino, Quaestio
22 in Josuè.
(11) In Ap 13,11 si dice che la seconda bestia
“aveva due corna simili a quelle di un agnello, e parlava come un dragone”. Già
qui è delineata una caratteristica tipica dell’Anticristo che questo passo
inquadra con grande lucidità: colui che agisce in nome di Satana tende a presentarsi
come un agnello, ossia come Cristo, sebbene parli propriamente come un dragone,
ossia come un diavolo. Lo ps. Ephraem dà qui una magistrale descrizione di
questa duplice veste dell’Anticristo e dell’inganno che vi è sotteso,
descrizione che avrà successo nel Novecento, dopo che Carl Schmitt — a sua
volta indirizzato verso un tema simile dalla letteratura di Soloviev e Benson —
ne avrà ripreso i termini nel suo commento al Nordlicht del poeta Theodor Daubler (cfr. Carl Schmitt, Aurora Boreale, trad. it . di V.
Bazzicalupo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995, p. 89).
L’applicazione di questa tradizione all’umanitarismo ateistico dei nostri tempi
costituisce il naturale sbocco di una riflessione sulla secolarizzazione da un
punto di vista cristiano, la quale ha buon gioco nell’individuare le
conseguenze estremamente negative di un’ideologia politica che, ponendosi sotto
le insegne di una generica e universalistica bontà, persegue fini di potenza
facilmente assimilabili a quanto il Cristianesimo e i suoi interpreti
attribuiscono al progetto di dominio secolare dell’Anticristo.
(12) I Moabiti sono gli abitanti di Moab, a oriente
del Mar Morto, il cui capostipite, secondo la Bibbia, nacque da un incesto di una
figlia di Loth con suo padre (Gen 29,37; me’
abha significa “dal padre mio”). Storicamente parlando, il popolo era di
stirpe assai affine agli Ebrei e con essi si trovò spesso in relazioni
conflittuali. Dopo l’esilio babilonese non si hanno più notizie del popolo moabita,
probabilmente distrutto e deportato da Nabucodonosor poco dopo la distruzione
di Gerusalemme. Gli Ammoniti invece erano stanziati ad est del corso inferiore
del Giordano e nella parte settentrionale del Mar Morto. Secondo il racconto
biblico essi derivarono da un incesto della figlia minore di Loth con il padre
(Gen 29,38) – Ben-‘Amma significa “figlio
del mio parente”. Noti per la loro crudeltà (Am 1,13), adoravano, come i
Moabiti, il dio Melek, e come questi ultimi ebbero notevoli e durevoli contrasti
con il popolo ebraico. Di qui la cattiva fama biblica di entrambi, e il ruolo
negativo attribuito loro dal nostro Autore nei tempi escatologici.
(13) Cfr. Dn 7, 25; 9, 27; 12,7; 12,11 e Ap 11,3 e
13,5. A partire da Daniele quella di 1.260 giorni o 42 mesi o tre anni e mezzo è
divenuta una costante che indica la durata “canonica” della persecuzione
escatologica.
(14) Tradizione risalente ad Ap 13,16-17, ove si
allude ad un marchio che la seconda Bestia — lo pseudoprofeta per antonomasia di
cui l’idea di un Anticristo personale è naturale esito — fa imprimere sulla
fronte o sulla mano destra di tutti, marchio che rappresenta il “nome della
fiera o il numero del suo nome”.
(15) Cfr. Enoc ed Elia sono i nomi che l’autore,
seguendo una consolidata tradizione, attribuisce ai due testimoni del Signore
di Ap 11, 3-13 mandati predicare l’estrema resistenza all’Anticristo nei tempi
ultimi: «Ma farò in modo che i miei due Testimoni, vestiti di sacco, compiano
la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni. Questi sono i due
olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra. Se qualcuno
pensasse di far loro del male, uscirà dalla bocca un fuoco che divorerà i loro
nemici. Così deve perire chiunque pensi di far loro del male. Essi hanno il
potere di chiudere il cielo, perché non cada la pioggia nei giorni del loro
ministero profetico. Essi hanno anche il potere di cambiar l’acqua in sangue e
di colpire la terra con ogni sorta di flagelli tutte le volte che lo vorranno.
E quando poi avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale
dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà [...]. Ma dopo
tre giorni e mezzo un soffio di vita procedente da Dio entrò in essi e si
alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora
udirono un grido possente dal cielo: “Salite quassù” e salirono al cielo in una
nube sotto gli sguardi dei loro nemici». L’identificazione di questi due
testimoni con i profeti Enoc ed Elia si appoggia a testi molto autorevoli come
per esempio l’Apocalisse di Pietro,
cap. 2; Ippolito, De Antichristo,
46-47, In Danielem, IV, 35;
Tertulliano, De Resurrectione carnis,
XXII, 2, 10, De anima, L, 4-5;
Commodiano, Carmen 833 ss.: Elia, con
allusione ad Enoc in 856 (in F. Sbaffoni, Testi
sull’Anticristo, vol. I [secc. I-II], Nardini, Firenze 1992, pp. 200-201) e
costituisce, direi, un topos della
letteratura apocalittica di epoca patristica e medievale.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
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