Qui di seguito presentiamo un riassunto del Filebo platonico, testo del Platone ormai anziano, di grande rilevanza per definire un tema etico che già ha fatto capolino in numerose opere precedenti. Il messaggio definitivo del Filosofo è straordinariamente equilibrato e al tempo stesso esigente. Una vita senza piaceri nessuno la desidererebbe.Non è il caso di fare gli asceti a tutti i costi. Piuttosto bisogna comprendere che lo sforzo della nostra vita dev'essere quello di purificare i nostri godimenti e associarli alla coltivazione delle virtù intellettuali. Ragione e pensiero nel loro più ampio spettro (tutto ciò che è sapere, sia puramente contemplativo, sia dinamicamente pratico), contribuiscono a dare un senso alla nostra vita, che viene completata dalla nostra capacità di apprezzarne le risonanze estetiche. Il bello, la proporzione, la misura, la verità e in ultima istanza il bene, rendono il nostro cammino terreno sensato, dentro questa sensatezza c'è spazio per il godimento. Un godimento che è tanto più desiderabile quanto più è puro: nella purezza (lasciamo al testo la spiegazione precisa del concetto) sta l'attrattiva e il fascino del piacere, non nella la sua intensità. Ciò apre la strada ad una ricerca che riporta la vita estetica al livello metafisico che le compete, facendola uscire dalla volgarità edonistica alla quale le epoche di decadenza la condannano.
Parte prima: la
struttura del reale e la dialettica
11) Nel Filebo all’inizio vengono presentati due problemi: il
primo è se il piacere o l’intelligenza, con i valori a ciascuno di essi
connessi (symphona), coincida con il bene. In questa prima parte Filebo, che
sembra stesse da prima discutendo con Socrate, lascia il campo nella
discussione a Protarco.
11d) Il secondo problema è quale sia la disposizione
dell’anima in grado di offrire una vita felice a tutti gli esseri umani: se sia
lo stato del godere, o quello del pensare. Filebo propende per il primo Socrate
per il secondo.
12b) La prima osservazione che viene compiuta da Socrate è che il piacere
è multiforme a seconda delle diversissime attitudini di chi lo prova.
Protarco dice che se le situazioni sono diverse non lo è il piacere che nelle
diverse situazioni rimane uguale a sé. Socrate ribatte che tutti gli aspetti di
qualcosa, quanto al genere sono uno, quanto alle sue parti, esse sono
diversissime e a volte contrarie. Ma, dice Socrate, non bisogna credere a quel
discorso che unifica tutte le cose passando sopra le loro differenze.
13a) In particolare Socrate sostiene che non tutti i piaceri sono
la stessa cosa perché non tutti possono essere inclusi nel concetto di bene.
Protarco invece sostiene che, se inseriamo i piaceri del genere bene, dobbiamo
considerare giocoforza sotto un unico punto di vista. Sembra che Socrate qui
contesti non tanto la possibilità di riunificare cose diverse in un unico
genere, quanto quella di unificare piaceri diversi, alcuni buoni e altri no,
sotto il genere bene.
13e) Socrate fa notare a Protarco, venendo a lui incontro per quel
che riguarda la molteplicità dei piaceri e la possibilità in generale di riunirli
in un solo genere, che anche le scienze sono molteplici e tra esse dissimili.
Una volta ammesso questo, si ripropone il problema se bene sia piacere, sia pensiero
oppure sia una terza realtà diversa (cerchiamo di dar vita a un dialogo
collaborativo).
14c) Ecco che anzitutto viene discussa la questione dell’uno e
dei molti, così come è emerso or ora. “Che i molti siano uno che l’uno sia
molti, infatti, è un’affermazione che suscita stupore ed è facile muovere
obiezioni a chi sostiene l’una o l’altra tesi.” Socrate anzitutto precisa che
l’uno è molti non nel senso in cui lo si può intendere quando si divide un
corpo in più parti. Il problema è metafisico non fisico.
14e) Cioè bisogna porre l’uno non tra le cose che nascono periscono
ma come “idea”. Bisogna anzitutto verificare se l’unità delle idee metafisiche
esiste realmente, e poi come queste unità rimangano tali ne loro rapporto con
la molteplicità delle cose.
15d) L’unità dei molti è, dice
Socrate, una qualche caratteristica immortale e immarcescibile dei nostri
stessi discorsi. Essi si diffondono in una molteplicità di proposizioni e
termini, e possono essere avvolti nell’unità di un concetto. Cioè hanno una
parte analitica e una sintetica. Questo può indurre in confusione alcuni
giovani entusiasti e creare problemi, ma non esiste una via più bella di
questa.
16c) Le idee sono costituite
da uno e molti. Hanno in sé il limite e l’illimitato. Per comprenderle
bisogna anzitutto porre un’unica idea per ogni (genere di) cose; poi vedere se
dopo quella idea una, ve ne siano due o tre o un qualche altro numero; poi per
ogni idea che così si è trovata bisogna ripetere l’operazione. Ciò finché non
si vede quante sono le idee implicite in quella da cui si è partiti. Così si
comprende come l’illimitato sia presente nell’uno non genericamente e imprecisamente
ma in modo determinato (in modo che si colloca tra l’infinito e l’uno stesso).
Altrimenti si corre il rischio di porre l’uno e l’illimitato a caso e questa
non è più dialettica ma eristica.
17a) Esempio delle lettere dell’alfabeto e delle note
musicali: in entrambi tra l’infinito e l’ uno si determina dialetticamente
una quantità precisa. La dialettica stabilisce come si dia tale numero alle
cose. L’infinità infatti rende incapace di pensare “perché non hai mai
considerato in nessuna realtà il suo numero”.
18a) Filebo domanda che cosa vuole ottenere Socrate con il suo
discorso, ma Socrate prima di rispondere fa un’ulteriore considerazione: il
numero è anche il tramite che dall’uno consente di arrivare all’illimitato
e dall’illimitato di ritornare all’uno, come si vede nelle lettere
dell’alfabeto. Qui nell’infinità dei suoni che è possibile mettere con la
bocca, una persona divina ha distinto un numero determinato di vocali e di
consonanti, cui ha aggiunto un certo numero di lettere mute. Poi ha visto che è
impossibile apprenderle una staccata dalle altre, e ha individuato il legame e
ha per loro identificato una sola tecnica chiamata grammatica. Bene, per quanto
riguarda pensiero e piacere, bisogna affermare che ciascuno dei due è una unità
e al contempo è anche molti. Bisogna quindi stabilire quanti sono i concetti da
associare rispettivamente a piacere e intelletto. Senza questa indagine
dialettica non potremo essere degni di nessun sapere.
19c) Però Protarco invita Socrate a tornare più direttamente al
tema e a dare una risposta alla domanda che si era fatta all’inizio, se sia,
cioè, il piacere o l’intelletto a essere identificabile con il bene.
20b) Socrate fa l’ipotesi di una terza realtà che sia bene e sia
migliore di intelletto e piacere. Se questa realtà apparisse ora chiaramente
“il piacere si allontanerebbe dalla vittoria: infatti il bene non si
identificherebbe con quello”. Prima di vedere la realtà di questa ipotesi
bisogna accordarsi su alcune questioni minori, cioè sui caratteri formali del
bene. Il bene è qualcosa di compiuto, autosufficiente, superiore a tutte le
realtà; ogni essere che lo conosce lo cerca e lo insegue, volendo prenderlo e
possederlo, e non si interessa affatto delle altre cose, fatte salve quelle che
si realizzano accompagnate da beni.
20e) A questo punto si può valutare una vita piena di piacere
e una di pensiero considerandole separatamente. Qualora si accettasse di vivere
una vita godendo dei piaceri più grandi, ma certamente senza il possesso di
intelligenza, memoria, scienza, opinione vera, si ignorerebbe proprio se uno
gode o non gode, perché si sarebbe del tutto privi di pensiero. Analogamente a
nulla varrebbe godere senza la memoria di quello che si è goduto e, senza una
opinione vera, si perderebbe la capacità di godere nel futuro. Insomma senza
intelligenza “vivresti una vita non degna di un uomo ma di un mollusco”.
Nondimeno una vita di intelligenza, senza alcun piacere, né grande né
piccolo, ma senza neanche dolore e nessuna affezione simile a queste, a nessuno
parrebbe affascinante e degna di scelta.
22a) A tutto ciò è preferibile il piacere misto con
l’intelligenza. Chiunque scegliesse i due tipi di vita pura, e non questo
misto che appare assolutamente preferibile, lo farebbe per ignoranza o
necessità. Di conseguenza bisogna dire che il piacere, cioè la dea Afrodite
indicata da Filebo, non va concepito come identico al bene.
22c) Ma, dice Filebo, nemmeno l’intelligenza. Socrate allora si
pone il problema di quale dei due valori vada posto in seconda posizione,
sostenendo l’opinione che ciò che rende buona la vita mista è più vicino
all’intelligenza che non al piacere, facendo l’ipotesi che la causa della vita
mista possa essere l’intelligenza e non il piacere. Protarco invita Socrate a
dimostrare questa tesi.
23c) Socrate allora riparte con un discorso più ampio. E comincia a
dividere tutte le realtà nel tutto in due o, piuttosto in tre. In tutti gli
enti, infatti, un Dio ha fatto vedere all’uomo sia l’illimitato sia il limite.
Poi oltre ad essi bisogna aggiungere un terzo e un quarto genere: la mescolanza di limite illimitato e la causa
di questa mescolanza.
24a) Anzitutto si procede alla analisi dell’illimitato. A
questo è associabile il più e il meno, perché entrambi refrattari al limite;
poi ancora si possono associare il fortemente e il debolmente, perché entrambi
impediscono una quantificazione determinata. Tutte queste idee bisogna che
siano riunite nell’unica idea di illimitato. Le contrarie viceversa vanno
riunite nel limite. E tra le contrarie possiamo annoverare l’uguale e
l’uguaglianza, dopo l’uguale il doppio e tutto ciò che è numero in rapporto ad
un numero o misura in rapporto ad una misura.
25b) Dopodiché si procede all’analisi della mescolanza. La
mescolanza è sempre una mescolanza di limite e illimitato ed è tale che produce
le proporzioni e la misura, come la salute, la bellezza, la forza eccetera..
“La dea stessa, avendo colto la tracotanza e l’universale malvagità di tutti
gli enti, nei quali non si trova alcun limite, sia per i piaceri sia per le
soddisfazioni, pose legge e ordine, che hanno limite”.
26c) Ma se l’illimitato è tale, l’altro è secondo il limite, il
terzo non capisco bene che cosa sia, dice Protarco. Socrate gli ribatte che lui
stesso (Protrarco) è sconcertato dalla molteplicità delle realtà prodotte dal
terzo genere della mescolanza. Perché qui si dice che se l’illimitato “offriva
molte specie, che però, poste sotto il
segno del genere del più e del suo contrario, erano apparse una unità”, “il limite
non presenta molteplici aspetti”, e non si è infastiditi dal fatto che non sia
uno per natura. Sembra qui che si possa dire che il limite, pur non presentando
molteplici aspetti, non si identifica immediatamente con l’uno in quanto
principio assoluto. Dunque l’illimitato offre molte specie, il limite, pur non
coincidendo con l’uno, no. Il terzo genere è una “unità complessiva
derivata dagli altri due, come una “generazione verso l’essere” dipendente
dalle misure che si producono come conseguenza del limite.
26e) Nondimeno, aggiunge Socrate, tutte le cose sono generate solo
per una certa causa che coincide con “ciò che produce”. Ebbene, ciò che produce
precede sempre ciò che è prodotto e si differenzia come causa efficiente
dalle altre cause seconde. In ciò consiste il quarto genere che quindi
differente dai primi tre e si dice causa della generazione che deve esistere
come genere differente che produce la generazione stessa.
27c) La vita mista si
determina a partire dal terzo genere “infatti quel genere non è prodotto
solo dagli altri due, ma da tutti gli illimitati contenuti dal limite; perciò,
giustamente questo vincente modello di vita sarà parte di quello”.
27e) Il piacere è invece
illimitato sia in quantità sia in intensità e ciò vale anche per il dolore.
In quale genere possiamo invece inserire pensiero, scienza e intelligenza,
senza commettere empietà?
28b) Bisogna anzitutto dire che tutti i sapienti concordano
nell’affermare che l’intelligenza è “regina del cielo della terra”. E il
tutto non lo regge la forza dell’irrazionale, del caso e del fortuito, ma una
mirabile intelligenza e saggezza ordinatrice. Così infatti si può giustificare
lo spettacolo che offre il cosmo, con il sole, la luna, le stelle eccetera.
29a) Tutti gli elementi dell’universo sono maggiori in quantità e
purezza nello stesso universo che non in noi, tanto che ciò che è nell’universo
alimenta ciò che è in noi. Gli elementi coordinati in unità li chiamiamo corpo.
Anche il nostro cosmo, complessivamente considerato, va chiamato corpo e di
tale corpo il nostro singolare organismo si nutre.
30a) Il nostro corpo possiede evidentemente un’anima. Questa anima
parimenti verrà da un’anima del cosmo. La causa attua negli elementi del cosmo
la natura delle realtà più belle e il maggior valore nel senso che queste
realtà più belle essa genera mediante gli elementi del cosmo. Tale causa è
presente in tutte le cose e, regolando la relazione tra limite illimitato, dà
luogo all’ordine dell’universo che si manifesta negli anni, nelle stagioni, nei
mesi. Siccome tale operazione può a buon diritto essere chiamata un’operazione
di sapienza e intelligenza, e siccome esse non possono mai generarsi senza
anima, si può dire che nella natura di Zeus si trovano un’anima regale e
un’intelligenza regale in forza del potere della causa.
30e) L’intelligenza appartiene
quindi al genere della causa di tutte le cose, che noi avevamo posto come uno
dei quattro generi, mentre il genere piacere appartiene all’illimitato, come
genere che “non ha e non avrà mai, in sé e da sé, né principio, né mezzo, né
fine.
Parte seconda: i
piaceri e le scienze
31b) Ora, dato quello che si è detto, si devono affrontare due
problemi:
uno) in che cosa sono
presenti piacere e intelligenza?;
due) per quale causa si
generano?
Cominciamo a parlare
del piacere e del dolore (lasciando
perdere per ora l’intelligenza). Essi nascono nel genere misto cioè il terzo,
in cui vi è salute e armonia. Infatti quando nei viventi si dissolve l’armonia,
si dissolve la natura e si generano i dolori. Quando invece la armonia viene
ricostituita si ripristina la propria natura e si genera il piacere. Per
esempio la fame è in qualche modo dissolvimento e dolore, mentre il mangiare
che riempie è piacere. La sete è parimenti corrompimento e dolore e si cancella
con il bere. Così è per il caldo con il raffreddamento e per il gelo con il
riscaldamento. In generale alla
corruzione corrisponde il dolore; al ripristino dell’essenza di piacere.
32b) L’anima ha la peculiarità di anticipare il piacere con la speranza,
e il dolore con lo spavento. Speranza e paura sono in qualche modo pure e non sono mescolanza di piacere e
dolore. Bisognerà vedere se il genere della speranza vada desiderato di per sé,
mentre piacere e dolore, caldo e freddo, e tutte le affezioni simili si
desiderano a volte e a volte no.
32e) E qual è lo stato senza corruzione dell’armonia e senza
nemmeno il suo ripristino? C’è una terza condizione
senza piacere o dolore? È la
condizione dell’intelligenza, la più divina di tutte, che non comporta né
piacere né sofferenza. Ciò vale anche come argomento per assegnare
all’intelligenza il secondo posto dopo il genere (vita) misto.
33c) Quanto ai piaceri propri dell’anima, essi si generano
totalmente dalla memoria. Ma che cosa è la memoria? E che cosa la sensazione?
Vi sono affezioni
1) che si esauriscono
nel corpo e non arrivano all’anima;
2) che arrivano
all’anima, provocando scosse che coinvolgono corpo e anima.
Le affezioni del solo
corpo sfuggono all’anima. Questo sfuggire lo chiamiamo “assenza di sensazione”.
Quando invece un’affezione passa per il corpo e colpisce l’anima, ciò lo
chiamiamo sensazione.
34a) La memoria si
definisce come conservazione della sensazione e differisce dalla reminiscenza. Infatti la reminiscenza è quando
l’anima, da sola, in sé e senza il corpo, rivive al massimo grado le affezioni
che un tempo aveva provato con il corpo; oppure quando l’anima avendo perso il
ricordo di una sensazione o di una intellezione, lo recupera di nuovo in se
stessa, da sola (senza l’ausilio delle sensazione stessa). Detto ciò possiamo
domandare che cosa sia e dove si generi il desiderio.
34e) Perché fame, sete, e molte altre affezioni, le chiamiamo
desideri? Quando diciamo che abbiamo sete intendiamo con essa un essere vuoto
che corrisponde a un desiderio, il desiderio di riempirsi di una bevanda. In
generale possiamo dire che il desiderio è sempre rivolto al contrario di ciò
che si patisce. Ora, il desiderio di ciò
che non si possiede nel corpo, non può venire dal corpo - che non lo
possiede - ma deve venire dall’anima, che ha memoria di ciò che attualmente
manca al corpo. Pertanto non si dà un desiderio corporeo, dato che la pulsione
va in direzione contraria allo stato attuale del corpo solo in virtù e grazie
alla memoria dello stato contrario. Di
conseguenza l’anima è la sede di ogni impulso o desiderio e non possiamo
dire a rigore che il nostro corpo provi sete o fame o altro.
35d) Chi si trova nel mezzo tra una sofferenza per un’affezione
attuale e una soddisfazione del desiderio ancora da ottenere (questa
soddisfazione è evocata dalla memoria, ma non ancora ottenuta), soffre e gode
al tempo stesso, mentre, se dispera di ottenere soddisfazione, soffre due
volte. Di conseguenza l’uomo e gli altri esseri viventi soffrono e godono
contemporaneamente.
36c) Ci sono piaceri falsi o veri come vi sono opinioni false o vere?
Per esempio sarebbe un piacere falso quello di chi crede di godere e non gode?
È giusto sostenere queste cose.
37a) Andiamo ad analizzare più nello specifico. Il problema è la differenza (possibile ma non appurata) tra
l’opinare e il godere. Entrambi sono diversi dal loro oggetto. L’opinare è
diverso dall’oggetto dell’opinare; il godere è diverso dall’oggetto del godere.
Chi opina non intacca l’oggetto anche se opina falsamente. Chi gode non intacca
l’oggetto del godere anche se gode falsamente.
37b) Dunque se il godere è sottoposto alle stesse dinamiche
dell’opinare, perché il piacere si dice sempre vero, mentre l’opinione si dice
vera o falsa? Se noi diciamo che una opinione è vera o falsa la
qualifichiamo in un senso o nell’altro. È possibile, allora, che alcune cose
abbiano diverse determinazioni, cioè vero o falso, ma piacere e dolore siano
sempre e solo quello che sono? No anche
i piaceri possono assumere qualificazioni diverse: per esempio se a essi si
aggiunge la malvagità, diremmo che una opinione diventa cattiva e lo diventa
anche il piacere. Se quindi anche piacere e dolore devono assumere diverse
qualificazioni, qualora ci si sbagliasse riguardo l’oggetto per cui si gode o
ci si addolora non si dovranno dire falsi il piacere o il dolore? Protarco dice
di no perché egli sostiene che non è possibile che un piacere si sbagli. Mentre
Socrate sostiene che il piacere può generarsi non sulla base di una opinione
corretta ma di una falsa. Protarco ribatte che in tale circostanza si suole
dire l’opinione falsa, non il piacere.
38a) Protarco ammette che i piaceri che si generano da un’opinione
falsa e da una vera differiscono. Come accade nei miraggi, a partire da qualche
sensazione, per esempio la vista di qualcosa, ci si può formare una opinione
vera o falsa, ipotizzando in modo corretto o ipotizzando qualcosa di sbagliato.
Tale opinione poi diventa un discorso.
38e) Pertanto la sensazione, insieme alla memoria, genera l’affezione,
la quale scrive discorsi nelle nostre anime (la nostra anima è come un
libro) Se l’affezione è vera scriverà discorsi
veri, se falsa scriverà discorsi falsi. Accade che vi sia anche una sorta
di pittore che, dopo lo scrivano, dipinge nelle nostre anime delle immagini o
rappresentazione di ciò che è stato detto (secondo il seguente ordine: 1)
sensazione+memoria=affezione 2) discorso nell’anima 3) se vero, opinione e
ragionamento vero 4) pittore 5) l’immagine di ciò che è detto). L’opera del
pittore si comprende quando ciascuno vede in se stesso le immagini delle cose
opinate o dette, quando queste sono lontane dagli organi di senso. Le immagini
di discorsi e opinioni veri sono vere, mentre quelle che provengono da discorsi
e opinioni falsi sono false.
39c) Si è detto prima che i piaceri e i dolori propri dell’anima
possono precedere il piacere e il dolore che nascono dal corpo, tanto che ci
accade di godere e di addolorarci in precedenza per ciò che avverrà in futuro.
Noi infatti siamo sempre pieni di speranze.
(La speranza - o la paura - fa
parte degli scritti/dipinti nati nella nostra anima che Platone ammette accanto
a quelli nati dalla sensazione+memoria).
39e) Negli uomini buoni vi sono discorsi che, nati nella loro
anima, sono buoni e speranze buone (la bontà dei discorsi e delle speranze non
ha un riferimento esterno alle cose, ma un riferimento all’ “essere caro agli
dei”: discorsi e speranze buone nascono a motivo del fatto che coloro in cui
nascono sono cari agli dei); altrimenti vi sono discorsi, sempre nati
nell’anima, cattivi e speranze cattive. Dunque anche i cattivi, non meno dei
buoni, hanno piaceri dipinti, ma questi sono verosimilmente falsi e quindi essi
godono il più delle volte di falsi piaceri, mentre quelli buoni godono di
piaceri veri.
40c) Nell’anima vi sono falsi piaceri e falsi dolori, chi prova un
qualsiasi godimento gode sempre realmente, anche se di ciò che non esiste, a
volte poi di ciò che non è esistito (piacere che nasce da un discorso falso su
cose che non esistono), e addirittura spesso, forse più frequentemente, di ciò
che neppure esisterà mai. Questi ultimi sono esattamente i piaceri falsi che
dunque nascono da speranze false dovute al non essere cari agli dei e
comprovate nella loro falsità dal fatto che le cose sperate non esisteranno..
40e) Le opinioni dannose sono quelle false, allo stesso modo i
piaceri cattivi lo sono perché sono falsi. Contro tale opinione si pone il
nostro Protarco: infatti non si possono affatto considerare cattivi i piaceri e
i dolori per la loro falsità, ma in quanto accompagnati da qualche altra grande
vera malvagità. Socrate ribatte che di questi casi si parlerà più avanti,
mentre ora bisogna parlare dei piaceri
falsi che, più numerosi e frequenti, si generano in noi in altro modo.
41c) Come si generano i desideri? È l’anima che desidera condizioni
contrarie a quelle del corpo, mentre il corpo procura piacere o dolore, che
sono frutto di un’affezione (sensazione +memoria a stare a quanto detto prima).
In questi casi avviene che si trovino fianco a fianco piaceri e dolori, e che
si generino insieme le rispettive sensazioni – la sensazione di piacere e di
dolore -, pur essendo questi contrari tra loro. Prima abbiamo posto che piacere
e dolore accolgono il più e il meno e appartengono all’illimitato. Valutare un piacere e un dolore significa
compararli per capire quando l’uno è più grande, più piccolo, maggiore, più
intenso di un altro. Chi valuta l’intensità e il più o il meno di un
piacere/dolore può trovarsi nelle stesse condizioni della vista quando vede le
cose grandi da lontano e da vicino in modo tale da oscurare la verità e opinare
il falso. Poco fa si diceva che opinioni false generano piaceri e dolori falsi,
ora invece questi stessi piaceri e dolori vengono esaminati ogni volta in modo
diverso da lontano e da vicino, così che i piaceri sembrano più grandi e più
intensi se confrontati al dolore, e il contrario succede ai dolori per il fatto
di venire contrapposti ai piaceri. Insomma piaceri e dolori se posti in un
rapporto reciproco appaiono in comparazione più grandi di quello che sono presi
isolatamente. In questo modo non si può dire che l’apparenza sia corretta però
si può correggere tale inganno cercando la misura corretta e vera del piacere e
del dolore. (Platone vuol dire che quando dolore e desiderio si generano
assieme, essi appaiono reciprocamente più grandi: il dolore è grande quanto più
sia comparato col desiderio e il desiderio tanto più grande se comparato con il
dolore, cioè la sete è tanto più grande se comparata con il desiderio di bere,
mentre il desiderio di bere è tanto più grande se comparato con la sete…e
questa è una sorta di distorsione cognitiva che falsa la loro misurazione)
42c) In natura alla corruzione dei corpi genera dolori, ma quando
ciascuno ristabilito nella sua natura, questo ripristino è un piacere. Ma che
cosa succede quando non si verifichi niente di tutto ciò nel nostro corpo? In
tale situazione, dice Protarco, non si produrrebbero più né piacere né dolore,
benché Socrate gli faccio notare che egli stesso sostiene che è necessario che
ci sia sempre uno dei due stati, facendo riferimento ad un éndoxon dei sapienti. Nondimeno tale affermazione non è appropriata
perché in realtà ci sono grandi
mutamenti che provocano piacere e dolore, ma altri più piccoli che non li
provocano.
43c) Quindi, per ciò che riguarda i piccoli piaceri e dolori, si
può dire che, non essendo avvertiti, danno luogo ad una condizione neutra.
Perciò esistono tre generi di vita, uno piacevole, uno doloroso, uno neutro. Da
qui Socrate deduce che il non-soffrire
non è mai identificabile con il godere, benché ci sia chi dice che
trascorrere la vita senza soffrire equivalga a godere. Ciò sarebbe come dire
che, posti tre oggetti, oro, argento, e una materia diversa, e ammesso che la
terza non posso diventare oro o argento, la vita intermedia, come terza tra
quella piacevole e dolorosa, possa invece essere assimilabile a una delle due.
Pertanto chi crede di godere quando non prova dolore ha un’opinione falsa del
godere se la natura del non-soffrire e del godere sono tra loro distinte.
44b) Se i tipi di vita fossero due, il dolore sarebbe il male e
l’eliminazione del dolore coinciderebbe con il bene. Chi sostiene questa opinione
finisce per affermare che i piaceri non esistono affatto, e che quelli che gli
amici di Filebo chiamano piaceri, non sono che liberazioni dai dolori. Bisogna
dunque analizzare le opinioni di questi e porli a confronto con le idee di
Socrate per valutare meglio i piaceri e il loro potere.
44d) Per comprendere tale posizione antiedonista bisogna constatare
che essa parte dall’idea che bisogna assumere un punto di partenza dall’alto: se
vogliamo capire la natura di un’idea, dobbiamo esaminare gli oggetti che la
posseggono in modo più evidente. Per esempio se vogliamo esaminare il piacere
dobbiamo esaminare gli oggetti che più
piacciono o meglio gli stessi piaceri e tra essi i più acuti e intensi.
Ma i piaceri più vicini e più grandi
sono quelli che riguardano il corpo, e in particolare un corpo nella
malattia, perché i piaceri sono più forti e grandi laddove siano preceduti da
grandissimi desideri. I corpi nella
privazione provano infatti piaceri più grandi, una volta soddisfatti.
Inoltre i piaceri più grandi non si
trovano nella temperanza (“nulla di troppo”), ma nella sregolatezza: gli
intemperanti sono preda fino alla follia di un intenso piacere che procura loro
discredito. Pertanto si può dire che i
più grandi piaceri e i più grandi dolori si generano in una certa cattiva
condizione dell’anima del corpo.
45e) Il modo d’essere dei piaceri nelle malattie è misto al dolore:
si veda per esempio il grattarsi per chi è malato di scabbia, in cui in realtà
sembra esservi più un male misto a piacere.
46b) Nella mescolanza di
piaceri e dolori, vi sono mescolanze relative al corpo, relative all’anima per
se stessa, e relative all’anima e al corpo insieme. In queste ultime la mescolanza è chiamata a volte piacere o a volte
il dolore. Quando uno infreddolito si riscalda o accaldato si rinfresca, la
mescolanza di dolce e amaro presenta un intreccio difficilmente districabile.
In alcune mescolanze di questo tipo c’è dolore e piacere in eguale misura, in
altre prevale uno dei due. Nella scabbia e nei pruriti prevale il dolore, in
altre situazioni il piacere è mescolato in misura maggiore del dolore e, dove a
un piccolo dolore segue un grande piacere, il piacere è considerato massimo,
secondo l’opinione comune.
47c) Questo vale anche per le mescolanze di affezioni del solo corpo. Ma vi sono casi in cui l’anima fornisce
affezioni contrarie a quelle del corpo ponendo insieme dolore contro piacere e
piacere contro dolore, tanto che entrambi si fondono insieme, come prima
abbiamo visto. Di fatto in questi casi, in cui l’anima è in contrasto con il
corpo, si produce una mescolanza unica di dolore e piacere. Vi sono poi le
mescolanze di piacere e dolore prodotte dall’anima
in se stessa. Collera, paura, rimpianto, cordoglio, amore, gelosia,
malevolenza sono questi dolori pieni di smisurati piaceri o piaceri misti a
dolore come avviene negli spettacoli
tragici dove contemporaneamente si piange godendo.
48a) O come avviene anche nelle commedie. Pertanto vi è necessità di un’ulteriore indagine su come
nella commedia si dia una disposizione
della nostra anima in cui vi è mescolanza di dolore e piacere.
48b) Ora si procede all’approfondimento della mescolanza tipica
della commedia a partire dai seguenti ragionamenti. Data la malevolenza come un “godere dei mali
dei vicini”, e dato che l’ignoranza è un
male, così come lo è la stupidità, si comprende in questo modo la natura del ridicolo. Al suo fondo
c’è una malvagità particolare che si trova nella condizione della ignoranza di sé.
48d) L’ignoranza di sé va
considerata sotto tre aspetti: riguardo alle ricchezze (credersi più ricco
di quanto si sia - 1), riguardo a grandezza, bellezza e dotazione del corpo (2),
riguardo ai beni dell’anima, alla virtù e alla sapienza (3). Quest’ultima
ignoranza di sé potremmo definirla come un male totale. L’ignoranza di sé si può ulteriormente dividere in due tra chi,
avendo falsa opinione di sé, ha tuttavia forze potenza, cioè è capace di
vendetta per le derisioni, e chi non ha forza e potenza ed è incapace di vendicarsi
delle derisione. Questi sono ridicoli, quelli temibili, odiosi e turpi.
49c) Comprendi anzitutto il potere della malevolenza. Se gioire per
i mali dei nemici non è ingiusto, godere per i mali degli amici è ingiusto. Ma
gli amici che sono ignoranti di sé e non dannosi sono ridicoli. Quando ne
ridiamo proviamo piacere. Ma ridere per gli amici ridicoli, implicando
malevolenza, è un male. Dunque qui c’è una mescolanza di piacere e malevolenza,
considerando la malevolenza equivalente al dolore dell’anima e il ridere
equivalente al piacere. Da tutto quanto
abbiamo detto si comprende come nelle tragedie, nelle commedie, ma anche
nell’intera tragedia e commedia della vita, in infiniti casi, i dolori e il
piacere si mescolano. Quindi in
conclusione sia il corpo senza l’anima, sia l’anima senza il corpo, sia tutti e
due insieme nelle loro affezioni sono pieni di piacere mescolato a dolore.
50e) Non tutti i piaceri sono cessazione di dolori; alcuni lo
sembrano ma non lo sono, altri sono mescolati con dolori e con pause nel dolore.
Veri piaceri sono “i colori cosiddetti belli, le figure, la maggior parte degli odori e dei suoni, e tutte le realtà la
cui mancanza non viene avvertita e non comporta dolore, e la cui presenza offre
riempimenti percepibili e piacevoli, privi di dolori” (piacere senza interesse
di Kant, n.d.r.). Proviamo a specificare: figure belle non sono quelle della
pittura, che sono belle in relazione a qualcos’altro, ma quelle della geometria
che sono sempre in se stesse, belle per natura. Allo stesso modo belli intendo
i colori che lo sono in sé, i suoni limpidi e chiari che producono un’unica
frase musicale pura, tra gli odori, i quali appartengono a un genere meno
divino, sono piacevoli quelli che non si mescolano necessariamente a dolori
(Platone predilige tra odori e colori, i colori perché, dentro il sensibile,
ritiene che la vista sia il senso più nobile e “metafisico”, n.d.r.). A questi
aggiungiamo i piaceri relativi alle conoscenze, se non comportano una fame di
sapere che produce sofferenze. Tali
ultimi piaceri, non misti a dolore, sono riservati a pochi. Dunque, date queste
riflessioni, abbiamo distinto i piaceri puri da quelli impuri, e possiamo
individuare nei piaceri intensi una mancanza di misura, e in quelli non intensi
la giusta misura.
52d) Più vicino alla verità è ciò che è puro, integro, sufficiente, al
contrario del molto, dell’intenso, del grande. Per esempio, nel genere del
bianco, la purezza non consiste nell’essere più grande o più abbondante, bensì
nell’essere più integro e nel non avere nessuna parte di altro colore. Poco
bianco puro è più bianco, più bello e più vero di tanto bianco mescolato. Così
è per i piaceri: ogni piacere privo di dolore, per quanto piccolo e raro, è più
piacevole, più vero e più bello di uno grande e di uno frequente.
53c) Alcuni uomini raffinati (forse Aristippo) ci dicono che il piacere è sempre generazione, e non vi è un essere
del piacere (endoxon, il ragionamento
assume che piacere=generazione, n.d.r.)). Per capire meglio la questione
vediamo che ci sono sempre due generi di
cose: quelle in sé e per sé e quelle che tendono ad altro. Il primo genere
è sempre venerabile, l’altro gli è inferiore. La realtà in sé (sostanza, n.d.r.)
viene prima di quella che è in funzione della realtà in sé (accidente, n.d.r.).
La generazione è sempre in funzione dell’essere. Ma il piacere è una generazione e allora in funzione di quale realtà essa
generazione dovrà porsi?
54c) Da un lato vi è il bene, dall’altro vi è ciò che è in vista
del bene. In generale il fine del divenire è sempre un essere-bene. Ma il piacere, in quanto generazione, è in
funzione di un essere che è bene, dunque è diverso dal bene e chi dice che il
piacere coincide con il bene sbaglia (confutazione di Protarco, n.d.r.).
Bisogna ridere di coloro per cui il piacere coincide con il bene e che non rinuncerebbero
ad una vita di bisogni per non rinunciare ai piaceri connessi alla loro
soddisfazione. Se poi diciamo che il bisogno, in quanto contrario del piacere,
è pure contrario alla generazione, e dunque si può chiamare distruzione, allora
chi scegliesse il piacere sceglierebbe di provare bisogno per poi provare il
piacere della soddisfazione e quindi sceglierebbe sia la distruzione sia la
generazione – (posizione dichiarata implicitamente
assurda di chi sceglie di avere bisogno per il gusto di soddisfarlo, Engels: il
sistema socialista raggiungerà una capacità produttiva tale da dover/poter
suscitare bisogni per poi soddisfarli n.d.r.). Così (chi si dedica
esclusivamente al piacere) escluderebbe quel terzo tipo di vita che non implica
il godere o il soffrire ma il pensare nel modo più puro possibile. Che il piacere non sia identificabile con
il bene si dimostra anche dicendo che è assurdo affermare al tempo stesso
che solo nell’anima risieda il bello e il buono, e che in essa sia buono solo
il piacere - giacché questo coinciderebbe con il bene – finendo per escludere
ciò che è diverso dal piacere ma pur sempre buono come il coraggio, la temperanza,
l’intelligenza e altro. Altresì è assurdo che, identificando il bene con il
piacere, l’uomo migliore del mondo sia cattivo quando soffra, e il peggiore sia
buono quando gode.
55c) Siccome l’analisi verte sul genere di vita misto, e prima si sono
analizzati i piaceri, ora bisogna completare la ricerca, analizzando
intelligenza e scienza per depurarle da ciò che in loro eventualmente è marcio.
Una volta individuata la loro parte pura bisogna mescolarla alla parte più pura
del piacere. L’insegnamento della scienza è finalizzato alla produzione,
all’educazione e all’allevamento. Tra le tecniche
manuali ve ne sono di purissime e
meno pure. Le componenti di tali tecniche sono il contare, il misurare e il
pesare. A ciò dobbiamo aggiungere il congetturare e l’esercitare i sensi nella
pratica empirica e nell’esercizio. Tra le tecniche ve ne sono di poco esatte
come l’arte del flauto - che armonizza gli accordi non secondo misura ma
secondo congetture dedotte dalla pratica, mescolando molto di incerto e poco di
sicuro -, come la medicina, l’agricoltura, la nautica e la strategia. Invece
precisissima è l’arte delle costruzioni sia di navi sia di edifici. Pertanto vi
sono tecniche con maggiore e minore
esattezza.
56c) Tra le tecniche precise
bisogna collocare l’aritmetica. Ma ve ne sono di due tipi, quella comune e
quella dei filosofi. La prima numera unità disuguali, come due eserciti, due
buoi, due oggetti qualsiasi, i più piccoli o anche i più grandi di tutti;
l’altra non si unirebbe alla prima se non prima stabilendo che nessuna delle
innumerevoli unità è diversa da un’altra. Alla prima corrisponde il calcolo in
architettura e nel commercio, alla seconda quello nella filosofia che si occupa
di geometria.
57a) Abbiamo visto dunque che
ci sono scienze più pure di altre, dato che vi sono tecniche superiori per
rigore e verità e molte tecniche pur avendo un nome comune sono duplici. Allora perché non è possibile pensare che
vi siano piaceri più puri di altri?
57e) La potenza della dialettica
ci rinnegherebbe se giudicassimo qualche altra scienza superiore a lei. Essa è
la scienza dell’essere, di ciò che realmente è e che è per natura sempre
identico a se stesso, ed è la conoscenza di gran lunga più vera … E che dire di
Gorgia, secondo cui la persuasione è
superiore a tutte le altre?
58b) La retorica (praticata
da Gorgia) è molto utile, ma la dialettica è la più grande in quanto ha di mira
la chiarezza, il rigore e l’assoluta verità, per quanto piccola e poco utile
sia. Essa possiede la purezza dell’intelligenza e dell’intelletto più di
tutte le altre perché meglio aderisce alla verità.
58e) Le altre tecniche sono nell’ambito delle opinioni, così come
lo studio della natura che non riguarda l’essere ma il divenire delle cose. Ma su una realtà che non è stabile non si
potrà mai avere una conoscenza stabile e quindi non si potrà mai avere una
scienza che abbia in sé la verità.
59b) La stabilità, la purezza, la verità di ciò che chiamiamo
genuinità noi le troviamo nell’ambito di quelle realtà che sono sempre identiche
a se stesse e stabili, assolutamente senza mescolanza. Tutte le altre sono
secondarie e inferiori. A tali realtà,
che sono le cose più belle, bisogna attribuire i nomi più belli, e i nomi più
belli sono intelligenza e pensiero.
Parte terza: il Bene
come misura e la gerarchia dei valori
59e) Ora pensiero e piacere, quanto alla loro reciproca mescolanza,
ci stanno davanti come se fossero materiali che stanno davanti ad artigiani che
li devono impiegare. Pertanto nel discorso ora bisogna realizzare la mescolanza,
non senza prima aver ribadito le reciproche nostre posizioni, quella di Filebo secondo cui il piacere
è il fine appropriato degli esseri viventi, quella di Socrate che afferma essere buono e piacevole due cose
diverse e che il pensiero partecipa del bene più del piacere. Ci si trova d’accordo sul fatto che la
natura del bene è superiore alle altre perché, se posseduta completamente,
garantirebbe assoluta autosufficienza. Tuttavia da soli né pensiero, né
piacere offrono piena autosufficienza. Pertanto nessuno dei due modelli di vita
- fondato sul piacere o sul pensiero - è degno di scelta da parte di tutti e
buono in assoluto.
61a) Per stabilire che cosa è degno di scelta in seconda posizione,
dopo che la prima è occupata dalla mescolanza di pensiero e piacere; per sapere
se la seconda posizione è occupata dall’uno o dall’altro bisogna anzitutto
guardare al bene. Sicuramente la casa
del bene è nella vita mista.
61c) Per ricostruire la vita mista nel discorso, Socrate immagina
che lui e Protarco siano due coppieri che hanno di fronte due sorgenti, una di
miele-piacere, l’altra di acqua-pensiero. Il compito è mescolarle nel modo
migliore possibile, sapendo che è rischioso mescolare a caso, mentre è meglio mescolare le parti più vere di
ciascun componente, poi verificare se, così mescolate insieme, sono
sufficienti per offrirci una vita più desiderabile (la vita mista auspicata da
Platone è dunque una commistione di “purezze”: il piacere più puro e
l’intelligenza più pura, n.d.r.).
62a) Siccome nella vita reale non ha senso possedere solo una
teoresi purissima, ma bisogna vivere anche con un sapere meno puro, ma più
rispondente al nostro livello di esistenza, bisognerà, tra le scienze, accogliere tutte, quelle più pure e
teoretiche e quelle meno pure e tecniche, nella mescolanza.
62d) Dopo aver fatto tale selezione per le scienze, bisognerà anche
selezionare i piaceri? Bisognerà dunque
far entrare prima i piaceri veri, poi quelli necessari, poi tutti gli altri?
Dal punto di vista del piacere sembrerebbe di sì, perché da un lato è bene
che un genere, come lo è il piacere, abbia il maggior numero di relazioni con
gli altri generi possibili (in generale Platone afferma che la “completezza” di
un genere si raggiunga mediante il maggior numero di relazioni possibili con
altri generi, e questo valga anche per il genere “piacere”); dall’altro in una
mescolanza per un componente di tale mescolanza, come lo è l’intelligenza, è
meglio avere una conoscenza di tutte le cose con le quali è mescolato, cioè
appunto di tutti i piaceri, affinché essi siano conosciuti nel modo più
completo possibile. Questa è la risposta che verrebbe dai piaceri.
63c) La risposta invece che
verrebbe dal pensiero è la seguente: visti gli svantaggi dei piaceri
intensi e grandi e invece la familiarità dell’intelligenza stessa con i piaceri
veri e puri, e il loro legame con la virtù della conoscenza del bene, la mescolanza è auspicabile con questi
ultimi e non con gli altri. Ora il discorso sembra compiuto.
64c) Manca solo di stabilire un’analisi della mescolanza in
relazione al bene. Quindi si domanda che
cosa nel misto può sembrare insieme la cosa di maggior valore e la causa
principale che ha fatto diventare un tale tipo di vita cara tutti noi. Si
risponde dicendo che una mescolanza senza misura
e proporzione non è un vero misto, ma un puro insieme non amalgamato che
rovina i propri componenti. Si precisa poi che misura e proporzione realizzano bellezza e virtù e nel bello si
“rifugia” la potenza del bene, cui è
connessa anche la verità. Quindi il
bene qui è colto per mezzo del bello, della proporzione e della verità. Se ciò è possibile, è però anche possibile
vedere e prendere il bene da solo come causa della bontà della mescolanza e
delle realtà - bellezza, proporzione, verità - che vi sono connesse nella
mescolanza. Infatti la mescolanza è buona perché essa è bene (palindromo
concettuale, n.d.r.).
65a) Ora, bellezza, verità e misura sono più affini al piacere o
all’intelligenza? Certamente la verità è
più simile e vicina all’intelligenza (si pensi solo al piacere dell’amore,
che ammette lo stesso spergiuro e quindi la massima mancanza di verità). La misura è più simile all’intelligenza
poiché il piacere può essere smisurato mentre l’intelligenza è misura. Quanto alla bellezza, nessuno penserà
che l’intelligenza possa essere brutta, mentre i piaceri più grandi generano
vergogna per la loro bruttezza.
66a) Quindi nella gerarchia dei valori al primo posto va messo ciò
che è nei pressi della misura; al
secondo ciò che è nei pressi della proporzione
e del bello; al terzo intelligenza e
pensiero; al quarto le cose che
appartengono alla sola anima nell’ambito delle scienze tecniche e delle
opinioni rette; al quinto i piaceri
puri dell’anima, alcuni dipendenti dalle scienze altri dalle sensazioni; al
sesto l’ordine del canto (con
riferimento non ulteriormente approfondito ad Orfeo, n.d.r.).
66d) Ora, tirando le fila, si ribadiscono le posizioni iniziali di
Filebo - il piacere è per noi il bene - e di Socrate - l’intelligenza è molto
superiore al piacere e migliore per la vita degli uomini. Poi si ribadisce che
è stato trovato nel misto qualcosa di superiore a intelligenza e piacere.
Infatti né piacere, né intelligenza sono autosufficienti e, quindi, essendo il
bene autosufficiente, si afferma che questi non possono coincidere con il bene. Tuttavia l’intelligenza è “infinitamente”
più vicina al bene rispetto al piacere. Di conseguenza il piacere va al quinto
posto e solo gli animali possono essere presi ad esempio di una preferenza e di
un primato dato al piacere.
Finale aperto: “Rimane
ancora, Socrate, una piccola cosa…” da trattare … di cui poi, però, non si parla.
N.B. I testi di questo blog sono liberamente riproducibili, ma non a fini di lucro e a patto di citare in modo chiaro e visibile la fonte (vendemmietardive@blogspot.com) e l'autore, mantenendo inalterato contenuto e titolo.
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