martedì 21 gennaio 2020

Il fascino del fascismo.



Una conferenza di Tarmo Kunnas,  venerdì 13 ottobre 2017, Spazio Ritter, Milano
(appunti non rivisti dall’Autore e note di Massimo Maraviglia)

Perché la scelta di questo tema? Da ventiquattro anni, cioè da quando ho iniziato gli studi sul fascismo, ricerco un tema interessante e non studiato. L’idea generale e la vulgata giornalistica di ventiquattro anni fa era che nessun uomo intelligente avesse sostenuto il fascismo, esclusi Knut Hamsun(1859-1952)[1], Ezra Pound (1885-1972)[2] e Louis-Ferdinand Céline (1864-1961)[3]. Il primo era, secondo la medesima vulgata, un vecchio demente, il secondo era completamente pazzo, il terzo era antipatico e corrotto. La scelta del mio tema per la tesi da cui era venuto il testo La tentazione fascista era nata da un’opposizione discreta tale mentalità. Allora nella mia famiglia si era tutti patrioti e anticomunisti, ma nella scelta del tema e nel suo sviluppo la curiosità intellettuale ha prevalso sulle opinioni, sui pregiudizi e le storie personali.
Il fascino del fascismo (tr. it. di Delfina Sessa, Settimo Sigillo, Roma 2017) continua tale filone di studi e costituisce una sintesi che cerca di affrontare le affinità e le complicità tra ottanta intellettuali che avevano aderito al fascismo, volendo rispettare, tuttavia, le specificità individuali. In esso voglio prendere in considerazione il contesto culturale, intellettuale, politico che, per esempio, è molto diverso in Italia, rispetto alla Germania e agli altri paesi dove il fascismo si è presentato o ha vinto. Quindi tra questi intellettuali, da una parte, c’è affinità, dall’altra, diversità. Per esempio sul piano religioso vi sono cristiani luterani, cattolici, ortodossi, pagani eccetera. D’altro canto, di là da tali differenze, nessuno è tuttavia radicalmente ateo e ciò costituisce un’affinità profonda. C’è questa affinità spiritualista di fondo nella diversità di ciascuno. Negli intellettuali, insomma, c’è diversità di orientamento, c’è una certa ambiguità, ma anche un retroterra comune. L’impegno politico era, però, per tutti paragonabile a un’infatuazione o a un innamoramento. In alcuni si trattava di un amore a distanza per i capi (Hitler, Mussolini e gli altri), che viveva un’estasi quasi religiosa senza tuttavia ambire ad alcuna ufficialità. Per altri è stato un trasporto calcolato come una sorta di matrimonio di convenienza. A volte le convenzioni e la paura impedirono agli intellettuali di troncare il rapporto, altre volte essi rimasero fedeli all’amico, al camerata, a colui che era stato compagno di strada, oppure a loro stessi. Vi furono fascisti e nazisti veri e propri che speravano nell’espansione armata e nella vittoria definitiva del fascismo, altri più tiepidi e critici nei confronti delle sue manifestazioni estreme. Alcuni all’inizio non pensavano che il fascismo e il nazismo fossero merce di esportazione. Così furono alcuni intellettuali finlandesi.  Molti intellettuali avevano delle simpatie ma non osavano aderire (si pensi all’italiano Prezzolini[4]). Altri ancora ammiravano il fascismo e nazismo come se fosse stato un’opera d’arte (Brasillach[5], D’Annunzio[6], Marinetti[7] e altri), molti ritenevano che sia il fascismo sia il nazismo fossero indispensabili per la sopravvivenza della civiltà europea (Eliade[8], Pound, Campbell[9], Lewis[10], Benn[11] e altri intellettuali nordici). Il sostegno attivo degli intellettuali europei rivela un aspetto dell’esistenza storica e concreta del fascismo. Gli intellettuali, infatti, cristallizzarono nella loro opera il sentimento della maggioranza delle persone. Le teorie degli intellettuali non erano dunque calate dall’alto, ma si innestavano su un milieu culturale preciso. Complessivamente un carattere fondamentale di tale milieu era costituito dalla percezione della decadenza europea cui si associava la paura per la fine di quello che potremmo chiamare un incanto del mondo, una magia della vita. Tutto ciò convergeva nel tipico orientamento della “lotta contro l’oro” e il materialismo del denaro. Era altresì una reazione contro l’individualismo e la ricerca di un nuovo sentimento della vita, fondato sul tragico contro la happiness liberale: “L’uomo non cerca la felicità, l’inglese cerca la felicità” (Friedrich Nietzsche[12]). La forza attrattiva del fascismo non sempre resse: a volte l’intellettuale si ritrasse con clamore, altre volte si ritirò nel silenzio, ciò avvenne particolarmente con il nazismo. In ogni caso, se si getta uno sguardo ai suoi rappresentanti culturali, il fascismo non fu qualcosa di rozzo, ma si alimentò di una forza morale e di uomini di alto livello. Per questo motivo porre l’attenzione sugli intellettuali significa andare oltre le ideologie ufficiali e programmi dei partiti. Hamsun e Céline, per esempio, erano del tutto avversi allo statalismo fascista, ma cercavano un’etica, un sentimento della vita, un’estetica più profondi. Per la cultura fascista, rilevante è prendere posizione nei riguardi dell’eredità dell’illuminismo del XVIII secolo, anche se tale eredità è ambigua: vi si ritengono collegati sia i comunisti sovietici, sia i radicali francesi, sia i liberali inglesi. Gli intellettuali di destra per questo hanno preso le distanze dall’illuminismo, pur non mancando in essi elementi di tale eredità, si veda per esempio Montherlant[13] e Drieu La Rochelle[14]. Ma vi era una battaglia filosofica in corso: in essa si era o pro o contro l’illuminismo, e i fascisti si schierarono contro.
Il fascismo aveva un’idea ampia della cultura politica. Era una visione completa della vita. La sua definizione della politica non è univoca. La politica si estende nei campi dell’arte, della scienza, della medicina, di tutte le discipline. Insomma la visione della politica si estende e si restringe come una fisarmonica. Se alla massima estensione è una visione totale del mondo delle cose, alla minima diventa un programma politico concreto con determinate istanze di carattere anche amministrativo. In ogni caso la sua affermazione e vittoria è dovuta al fatto che esso ha trovato un vuoto di fronte a sé: il vuoto di un orientamento ideologico in fase di decadenza come era il liberalismo, che nei primi del Novecento aveva perduto la sua attrattiva. Ogni cultura politica, infatti, ha una fase di iniziale entusiasmo e una fase di senescenza critica. Generalmente quest’ultima fase è caratterizzata dal fatto che la cultura politica muore nell’economia. Il fascismo e il comunismo propongono una grande idea, alternativa al liberalismo, che si trovava in una impasse in cui le idee avevano perso il loro fuoco sacro. Anche gli antifascisti intendevano infatti la politica in senso ampio ed entusiasta, arrivando a trattare e approfondire ciò che le altre tradizioni avevano tralasciato.
Esempio di tale onnicomprensività del fascismo è il futurismo che, contro la democrazia parlamentare, voleva rinnovare la politica ponendola in alternativa alle vecchie idee e ai miti defunti del liberalismo. Così il futurismo rivendica l’artista entusiasta e affida all’uomo di cultura il compito di rinnovare la politica dall’interno attraverso la sua estetizzazione, cosa che aveva esempi di tradizione antichissima: potere e bellezza sono sempre andati assieme. Si trattava, come si vede, di una concezione del politico come di una esperienza totalizzante: arte, bellezza, eroismo, atmosfera sacrale, devozione, mistica, ardore: tutto ciò doveva rinnovare profondamente la vita umana prima ancora che la politica.
Già il primo fascismo si diceva contrario alle politiche di partito, al suo piccolo cabotaggio fatto di interessi, negoziazioni quotidiane e sottopotere, volendo per sé l’arte e i grandi ideali. Se il marxismo punta alla scienza; il fascismo punta all’arte: il lirismo nel marxismo è sempre coltivato a fini utilitaristici. Scopo finale del fascismo era la rinascita della patria e il rinvigorimento delle sue energie vitali. Per Ungaretti il fascismo era un movimento che voleva introdurre in Italia i valori e ripristinare le gerarchie: “L’Italia cerca l’elevazione dell’anima” diceva il poeta considerando il fascismo la risposta più adeguata a questo tipo di ricerca. Allo stesso modo Gentile[15] vedeva nel fascismo una politica che avrebbe portato ad una rigenerazione morale dell’Italia.
 L’omologo tedesco di Giovanni Gentile, Martin Heidegger[16], riteneva che la politica fosse uno strumento di rinascita della coscienza umana che doveva riaversi dall’oblio dell’essere quale forza mistica che determina l’esistenza dell’uomo. Heidegger riteneva che l’uomo dovesse vivere in una sorta di armonia panteistica con l’essere. Riprendersi dall’oblio dell’essere significava interagire a fondo con le forze primigenie del mondo, trovando in questa armonia il senso della vita, ed entrando in relazione con il suo mistero e il suo enigma. Questa capacità di sentire il mistero era, secondo Heidegger, stata persa dall’uomo moderno. Il tedesco, per mezzo della politica, doveva riappropriarsene facendo un passo in avanti verso una nuova esperienza di autenticità dell’esistenza. Il rifiuto heideggeriano della politica moderna implicava la riflessione sul modello della pòlis greca la quale costituiva, con la sua cultura, un esempio fondamentale per rifondare il senso dell’esistenza umana nel mondo. Nella pòlis e nel mondo greco l’uomo aveva la percezione di abitare nella dimora dell’essere. La città è il luogo della storia, cioè il luogo in cui e per cui l’Esserci, cioè l’uomo, storicamente sussiste. A tale luogo appartengono i templi, i preti, le feste, i giochi, gli eserciti, le navi, le case. Tutto questo è politica ed è situato nella storia dove ciascuno veramente è.
Josè Antonio[17], dal canto suo,  ritiene che il capo e l’eroe siano al centro della politica. La politica non è un modo di pensare ma un modo di essere. Il fascismo ripristina la verità che è al centro del sistema politico. Una verità che ruota attorno al concetto cattolico di amore. Per José Antonio l’amore si oppone a qualsiasi calcolo, è poesia oltre il calcolo e l’utilità. Così amore e lirismo sono parte imprescindibile di ogni cultura politica: “Non c’è trascinatore che non sia al tempo stesso poeta, così è Mussolini che parla al suo popolo; così Hitler e suo romanticismo tedesco così è il poeta dei romeni, Codreanu[18]”.
Il filosofo Carl Schmitt[19] giustappone ne Il concetto di politico, amico e nemico. La politica è una lotta contro il nemico. In questo senso non si definiscono i confini della politica e della società. Significato politico dell’ente è legato alla società che le ha prodotte. L’estensione dei concetti della politica e il loro significato sono l’esito di una tradizione di interpretazione. Se ne può dedurre che il nazionalismo, per esempio, può essere ammesso da ideologie conservatrici o liberali, oppure rivoluzionarie. Chi identifica il nazionalismo con un’unica ideologia è vittima di un condizionamento pavloviano. Anche l’eugenetica e la sterilizzazione forzata non erano monopolio nazista, ma elementi presenti in stati governati democraticamente come gli Stati Uniti, la Norvegia, Svezia e Finlandia, prima del nazismo. Così i termini politici come fascista, comunista, reazionario e altri sono ambigui dobbiamo evitare ogni determinismo ideologico (il marxismo e il liberalismo sono campioni di questo modo di pensare deterministico).
Il dibattito sul fascismo e le cosiddette “ideologie pericolose” è stato troppo segnato dal determinismo ideologico. I concetti sono invece di molteplici significati, i tempi sono molto diversi, malgrado i numerosi tentativi di sintesi. Il cuore del fascismo è pagano, ma molti fascisti sono buoni cattolici, oppure luterani, oppure ortodossi. Tale ambiguità è dovuta al fatto che gli ideali trasmessi dalle parole sono suscettibili di numerose interpretazioni. Essi si possono intendere in maniera costruttiva e umana, oppure in modo rigido. Quello che conta sono, infatti, coloro che li interpretano. Ciò che conta sono anche le circostanze storiche. In politica le idee vengono continuamente riciclate perché le parole possono suscitare interpretazioni diverse. Decine di intellettuali si avvicinarono alle idee fasciste mossi da motivazioni personali anche se più a fondo c’è una unità di carattere ideale: la reazione alla decadenza europea, pensata nondimeno in modo diverso a seconda dei contesti (decadenti sono gli ebrei per Hitler, i bolscevichi per i finlandesi, per gli italiani decadente era il germanismo austriacante). I rappresentanti delle élites intellettuali,  che avevano identificato la loro visione del mondo col fascismo, avevano eliminato dal fascismo stesso ciò che non era loro gradito. Per loro era la rivolta contro la malattia del secolo che aveva contaminato col suo materialismo la civiltà e in tale malattia era compreso il marxismo e il liberalismo. Ad impedire i processi di decadenza sarebbero state le virtù superumane indicate da Nietzsche, l’eroismo, l’anti- individualismo, il misticismo, l’adesione ad un’etica aristocratica che non escludeva, tuttavia, l’amore per il popolo. La modernità, che considera l’uomo come un essere egoista, è spregevole perché lo allontana dalla generosità morale e dal sentimento tragico della vita. Questo era il loro pensiero, queste erano le loro aspirazioni, anche se, al posto dell’idolo della modernità, hanno finito per installare un altro vitello d’oro. Ma essi ritennero di dover correre questo rischio perché i pregi del fascismo ai loro occhi rimanevano migliori e rendevano sopportabili i suoi errori e i suoi difetti come il razzismo, il militarismo, le persecuzioni.



[1] Scrittore norvegese, premio Nobel per la letteratura nel 1920, dopo la seconda guerra mondiale fu internato in un manicomio a causa delle sue simpatie fasciste. I suoi romanzi -  pervasi da un sentimento di comunione spirituale con le forze del cosmo e della natura (Pan), e non senza sensibilità per le questioni sociali e la sperequazione che dilania le metropoli capitaliste (Fame) - contribuiscono a generare un’immagine del mondo che va al di là del materialismo novecentesco, contribuendo in modo decisivo alla formazione di quel clima culturale avverso alla “decadenza moderna” che è tipico dei movimenti fascisti.
[2] Forse il più grande poeta americano del Novecento, di cultura sterminata, amante dell’Italia e impressionato dai successi di Mussolini, si stabilì nel Bel Paese, sostenendo fino all’ultimo le sue ragioni del suo “Duce”. Esperto di economia, vide nel fascismo un sistema di pensiero capace di restituire dignità al lavoro umano contro le tendenze usuraie e materialiste del liberalismo.
[3] Medico e scrittore francese, precursore della letteratura esistenzialista, nelle sue opere egli compie una ricerca stilistica e formale di grandissima efficacia estetica e comunicativa. In esse domina un pessimismo radicale sulla condizione umana, che gli fa disprezzare i miti ottimistici del progresso, della pace e della prosperità borghese, orientandolo decisamente verso il fascismo, inteso come protesta estrema e violenta contro le idee e gli stili di vita del suo tempo.
[4] Giuseppe Prezzolini (1882-1982), giornalista e scrittore di orientamento nazionalista e poi conservatore, fonda nel 1908 il settimanale “La Voce” per mezzo del quale, assieme al suo amico Giovanni Papini e ad altri prestigiosi collaboratori imprime una svolta alla cultura italiana. Pur essendo ammiratore di Mussolini, non accetterà il fascismo come partito e ideologia.
[5] Robert Brasillach (1909-1945), poeta, drammaturgo e romanziere francese. Genio precoce della letteratura, collabora sin da giovane con alcune prestigiose riviste letterarie, divenendo responsabile delle pagine culturali della rivista dell’ Action française. Senza aver commesso alcun reato, e solo per la usa collaborazione con il maggior periodico politico-culturale della Francia di Vichy, viene arrestato e condannato a morte da De Gaulle nel 1945.
[6] Gabriele d’Annunzio (1863-1938), noto poeta e uomo politico italiano. Nella città di Fiume dà origine all’esperimento politico della Reggenza italiana del Carnaro, nel quale, ribellandosi contro la pochezza del governo italiano, incapace di difendere i diritti dei connazionali fiumani, fonda una repubblica dei combattenti e dei poeti, patriottica, libertaria, innovativamente socialista e profondamente permeata dai suoi ideali estetici. Pur sempre nel contesto di una rivalità personale con la Benito Mussolini, mai farà mancare il suo sostegno al regime, dal quale otterrà a sua volta riconoscimenti e onori.
[7] Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), poeta, letterato e uomo politico, fondatore del movimento futurista, sin dall’inizio gli sono congeniali gli ideali di grandezza nazionale, di modernizzazione, di potenza, e quel peculiare socialismo di cui si fa portatore il movimento fascista, dando voce a quella democrazia delle trincee che il poeta aveva vissuto nell’esperienza della prima guerra mondiale. Convintamente fascista, celebra nell’ultima sua opera il corpo militare della X MAS, ricostituitosi nella Repubblica Sociale Italiana, canto del cigno del fascismo mussoliniano.
[8] Mircea Eliade, forse il più grande storico delle religioni del Novecento, noto per il suo Trattato di storia delle religioni, simpatizza per la Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu negli anni Trenta – movimento filo-fascista e cristiano/ortodosso rumeno con forti tinte antisemite che lo avvicinano sotto questo aspetto al nazionalsocialismo -  e per i regimi autoritari di Antonescu (Romania) e poi di Salazar (Portogallo).
[9] Roy Campbell (1901-1957) scrittore sudafricano “sognava una società arcaica e feudale che credeva di trovare in Spagna (la Spagna di Franco, n.d.r.) dove si trasferì con la moglie. Il suo estremismo di destra era più vicino alla Falange o al fascismo di Mussolini che al nazionalsocialismo (cui si oppone tenacemente durante la seconda guerra mondiale, n.d.r.). In Spagna si convertì, insieme alla moglie, alla religione cattolica” (T. Kunnas, Il fascino del fascismo, p. 87).
[10] Windham Lewis (1882-1957), “amico di Ezra Pound, saggista e illustre artista che fondeva nel vorticismo cubismo e futurismo, si ribellava al ‘liberalismo’ vittoriano. F.T: Marinetti soggiornò a Londra nel periodo in cui vi abitavano Pound e Lewis; nelle idee e nell’arte di entrambi è riscontrabile l’influsso futurista, benché nella patria dell’industrializzazione l’idolatria delle macchine marinettiana non avesse carica  innovativa. Nel 1930 Windham Lewis visitò la Germania e, tornato in patria, si adoperò per far conoscere Hitler e il nazionalsocialismo. Difese la spedizione italiana alla conquista dell’Abissinia e si scagliava con veemenza contro il parlamentarismo britannico, pur proclamandosi estimatore del discernimento e della leadership di sir Oswald Mosley (fondatore della “British Union of Fascists”, n.d.r.). Nel 1939 si dissociò dal sostegno di Hitler” (ivi, p. 85).
[11] Gottfried Benn, poeta tedesco (1886-1956). “Dai tetri affreschi di Morgue ai preziosi mosaici di poesia statica della produzione tarda, dalla prosa assoluta distillata nelle psichedeliche vicissitudini del più celebre dei suoi alter-ego, il sifilopatologo Werff  Rönne, fino alle iridescenti stilizzazioni delle prose mature (Romanzo del fenotipoIl tolemaico), colui che elesse Pallade a nume tutelare (e spettrale) in un mondo disertato tanto dalla ragione quanto dagli dèi, per tutta la vita seguì il fil rouge di una sola, inaggirabile, primaria intuizione: «in pace o in guerra, al fronte o nelle retrovie, da ufficiale come da medico, fra trafficanti ed eccellenze, davanti alle celle dei manicomi e a quelle delle prigioni, accanto ai letti e alle bare, nell’ora del trionfo e in quella della caduta, non mi ha mai abbandonato la trance che questa realtà non esista.» Di sé avrebbe forse detto – chiosando con un celebre passaggio di Gehirne – «vivevano tutti con il centro di gravità fisso su meridiani, tra rifrattori e barometri, lui solo gettava sguardi oltre le cose, paralizzato dalla nostalgia di un azimut, gridava invocando una chiara pulizia logica e una parola che finalmente lo afferrasse” (http://poesia.blog.rainews.it/2019/09/portrait-di-gottfried-benn-1886-1956/). Critico feroce del progresso, dell’evoluzione, di ogni determinismo storico, del macchinismo moderno, il poeta aderisce per breve tempo al nazionalsocialismo vittorioso, per poi ritirare il suo consenso pubblico e arruolarsi come ufficiale medico nell’esercito, in quell’emigrazione interna che vide protagonisti molti intellettuali i quali, pur non sostenendo il nazionalsocialismo, non intesero abbandonare la Germania.
[12] Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900), filologo e filosofo tedesco, fu grande innovatore del pensiero occidentale che aspirò ad emancipare dalla tradizione cristiana in nome dei valori terreni della vita. Quest’ultima era da lui concepita come volontà di potenza, creatrice di arte, di morale e di stili originali  in coloro che sanno farsene portatori e celebrarla consapevolmente. Di qui il suo sovrumanismo aristocratico, alla ricerca di una grandezza sganciata dalle leggi morali e da quelle religioni che, nate secondo lui da uomini mal riusciti e incapaci di vivere fino in fondo, ambivano a ricondurre tutti  ad un’uguaglianza verso il basso, nemica della libertà, della magnanimità e di ogni bellezza. Il superuomo, fedele alla terra e forte di una volontà incrollabile, diveniva così il nemico principale dei socialismi egualitari e delle democrazie livellatrici. Anche la statolatria e il nazionalismo erano però da lui ritenuti volgari, come tutto quanto tendeva a far scomparire il valore individuale nell’anonimato del gregge. Dalle sue idee  presero spunti numerosi intellettuali che nel Novecento inventarono o aderirono al fascismo, benché in senso stretto sia impossibile qualificare Nietzsche come fascista, non solo per motivi storico-anagrafici, ma anche perché la ricchezza del suo pensiero che è divenuta oggetto di riflessione e ammirazione da parte di uomini di tutti gli orientamenti politici. Avendo la sua filosofia una dimensione epocale – poiché coglie i problemi e le aspirazioni fondamentali dell’uomo moderno – la sua è una presenza costante nel XX secolo, ad ogni latitudine culturale e politica e ovunque si sia preso sul serio il compito di interpretare i problemi e il senso della civiltà contemporanea.
[13] “Il 21 settembre 1972 muore suicida lo scrittore e drammaturgo Henry de Montherlant. Nato a Parigi il 21 aprile 1896, volontario e ferito nella 1a guerra mondiale, fu proscritto come collaborazionista nel dopoguerra, si definiva ‘anarchico di destra’. Come scrittore fu particolarmente precoce: scrisse infatti il suo primo libro La vie de Scipion (mai pubblicato) quando aveva appena dieci anni e a venti anni pubblicò a sue spese La Releve du Matin, dopo il rifiuto di undici editori, un omaggio ai soldati della Grande Guerra. Nel 1923 scrisse Les Olympiques, opera nella quale celebrava i cultori dell’atletica leggera. La tauromachia, di cui fu particolarmente appassionato (a quindici anni uccise il suo primo toro), gli ispirò uno dei suoi migliori libri: Les Bestiaires (1926). I suoi primi successi furono la tetralogia Les jeunes filles (1936-1939) e Les célibataires (1934). In Les jeunes filles Monteherlant si scaglia contro l’esaltazione dei “valori femminili”, a cui addita la decadenza del mondo contemporaneo, a detrimento di quelli “virili”. Montherlant, in quest’opera, alza la sua protesta contro un’epoca in cui i grandi valori individuali vanno spegnendosi e la democrazia diffonde conformismo” (https://www.ugomariatassinari.it/suicido-henry-de-montherlant/)
[14] Pierre Eugène Drieu La Rochelle (1893-1945) scrittore, romanziere e saggista francese, influenzato dall’esperienza della Prima guerra mondiale (raccontata nella Commedia di Charleroi), per tutta la vita cercherà nella politica la risposta alle domande sul destino individuale che mai vedrà separato dall’appartenenza alla Francia. Valori estetici, etici, un senso di estraneità verso la mediocrità borghese, faranno capolino nei personaggi più riusciti di opere come Gilles, L’uomo a cavallo, Fuoco Fatuo, Diario di un delicato. A ciò si associa una peculiare visionarietà politica che gli fa immaginare un “socialismo fascista”, capace di elevare le masse europee al piano di una grandezza superomistica che poteva e doveva essere socializzata e nazionalizzata. L’Europa, che doveva unirsi  per affermare la propria civiltà e tradizione contro l’arrembaggio delle potenze asiatiche e americane, avrebbe trovato nel fascismo quel collante in grado di raccogliere il senso di appartenenza di ogni uomo del Vecchio continente, oltre le decadenti ideologie materialiste della democrazia liberale e del marxismo, Coerentemente vicino alla repubblica di Vichy, si uccide prima di essere catturato dagli antifascisti alla fine del secondo conflitto mondiale.
[15] Giovanni Gentile (1875-1944) insieme a B. Croce, il maggior filosofo italiano del Novecento. Si inserisce nella tradizione idealistica rinnovando genialmente la logica, la metafisica e l’etica hegeliane. Valorizza Marx non tanto come filosofo del comunismo e dell’insurrezione proletaria, ma come filosofo della prassi. Politicamente è convinto che il fascismo sia l’erede genuino della grande stagione del Risorgimento, che nel movimento mussoliniano trova il suo compimento con l’integrazione delle masse nella sostanza etica dello Stato nazionale. Così egli pensa che il fascismo realizzi il meglio del carattere e della storia nazionale, consentendo all’uomo contemporaneo la più profonda partecipazione alla vita dello Spirito. Sempre fedele a Mussolini, che lo ricambia affidandogli importanti incarichi di governo, tra cui l’elaborazione della riforma della scuola, e di politica culturale, come la realizzazione del progetto dell’Enciclopedia italiana, dopo aver aderito alla Repubblica Sociale, muore assassinato in un agguato terroristico messo in atto da partigiani comunisti.
[16] Martin Heidegger (1889-1976) è un grande pilastro della cultura del Novecento, le cui riflessioni hanno avuto influenza determinante, oltre i confini della filosofia  in senso stretto, in diverse discipline come la storia, la linguistica, la critica letteraria, la psichiatria, l’antropologia e la teologia. La sua maggiore opera, Essere e Tempo, viene pubblicata nel 1927. Nel 1933, all’ascesa di Hitler, collabora con le autorità del III Reich e viene nominato rettore dell’università di Friburgo, incarico che lascerà l’anno successivo, rinunciando a ulteriori ruoli di visibilità pubblica, senza mai tuttavia opporsi al regime. “Filosoficamente  il punto nodale del nazionalsocialismo heideggeriano risulta essere la nozione di “orizzonte ontologico”, inteso come trascendenza e superamento del singolo soggetto nella sua individualità. In questo senso, numerose pagine di Sein und Zeit (Essere e tempo) descrivono chiaramente un’idea di storia, di umanità e di essere che, sebbene non giustapponibile da nessun punto di vista al razzismo del Mein Kampf, mostra la fondazione di una ben precisa concezione di Nazionalsocialismo. Questo punto cruciale è accuratamente chiarificato dall’analisi di George Steiner, il quale scrive che vi sono ‘delle connessioni reali tra il linguaggio e la visione di Essere e tempo, specie nelle ultime sezioni, e quelli del Nazismo. Coloro che negano ciò sono ciechi o bugiardi […]. Sia il Nazismo sia l’antropologia ontologica di Essere e tempo sottolineano la concretezza della funzione dell’uomo nel mondo, la primordiale santità della mano e del corpo. Entrambi esaltano la mistica affinità tra il lavoratore e i suoi strumenti in una innocenza esistenziale che deve essere purificata dalle pretese dell’intelletto astratto. A questa accentuazione si accompagna una tensione sul radicamento, sul rapporto intimo fra sangue e ricordo, che un autentico sentire umano ha rispetto alle sue radici natali. La retorica heideggeriana del sentirsi-a-casa, dell’organico continuum che avvicina il vivente al morto ancestrale sepolto accanto, si adatta senza sforzo alcuno al culto nazista del sangue e della terra. Parallelamente, le accuse hitleriane ai cosmopoliti senza radici, alla plebaglia urbana e alla intelligencija senza patria che vive parassitariamente sull’elegante suolo della società, riecheggiano da vicino la critica heideggeriana del “si”, della modernità tecnologica, dell’ indaffarata irrequietezza dell’inautentico’” .
(http://www.kasparhauser.net/culture%20desk/heideggernazismo/cata-esserethule.html).
[17] José Antonio Primo de Rivera (1903-1936) è il fondatore della Falange española, un movimento fascista che dal 1933-34 insieme alle JONS (Juntas de ofensiva nacional sindacalista) contrasta l’egemonia repubblicana e comunista, collaborando con la ribellione franchista nella guerra civile. Imprigionato senza  per motivi esclusivamente politici dal governo repubblicano, viene fucilato nel 1936.
[18] Corneliu Zelea Codreanu (1899-1938) è il fondatore nel 1927 della Guardia di Ferro, movimento fascista e cristiano ortodosso dalla radicale vocazione alla giustizia sociale. Così lo descrive Julius Evola: “Ci viene incontro un giovane alto e slanciato, in vestito sportivo, con un volto aperto, il quale dà immediatamente una impressione di nobiltà, di forza e di lealtà. È  appunto Cornelio Codreanu, capo della Guardia di Ferro. Mentre i suoi occhi grigio-azzurri esprimono la durezza e la fredda volontà propria ai Capi, nell’insieme dell’espressione vi è simultaneamente una singolare nota di idealità, di interiorità, di forza, di umana comprensione. Anche il suo modo di conversare è caratteristico: prima di rispondere, egli sembra assorbirsi, allontanarsi, poi, ad un tratto, comincia a parlare, esprimendosi con precisione quasi geometrica, in frasi bene articolate ed organiche […]Vi sono da un lato coloro che conoscono solo la ‘vita’ e che quindi non cercano che la prosperità, la ricchezza, il benessere, l’opulenza; dall’altro lato vi sono coloro che aspirano a qualcosa più che la vita, alla gloria e alla vittoria in una lotta interiore quanto esteriore. Le Guardie di Ferro appartengono a questa seconda schiera. E il loro ascetismo guerriero si completa con una ultima norma: col voto di povertà a cui è tenuta l’élite dei capi del movimento, con i precetti di rinuncia al lusso, ai vuoti divertimenti, agli svaghi cosiddetti mondani, insomma con l’invito ad un vero cambiamento di vita che noi facciamo ad ogni legionario” Codreanu muore assassinato in carcere su ordine di re Carol per mano alcuni poliziotti corrotti dal suo ministro Calinescu.
[19] Carl Schmitt (1888-1985) tra i principali giuristi e filosofi del diritto del Novecento, indaga con grande acume anche la sfera della politica cercandone le regolarità e i fondamenti nella civiltà occidentale. Diventa per breve tempo presidente dei giuristi nazionalsocialisti tedeschi, per poi ritirarsi nel 1936 dalla vita pubblica a causa dell’attacco della rivista delle SS  “Das schwarze Korps”. Dopo la seconda guerra mondiale, bandito dall’insegnamento universitario, scrive il testo Il nomos della terra che rappresenta una pietra miliare degli studi di geopolitica.

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