giovedì 10 dicembre 2020

Il rovescio dei diritti. Jean-Louis Harouel propone una difesa dell'identità dei popoli europei

 


Jean-Louis Harouel, I diritti dell’uomo contro il popolo, Liberilibri, Macerata, 2018

Nella giornata mondiale dei diritti dell'uomo, mi sembra apprezzabilmente provocatorio pubblicare un post che riassume le tesi fondamentali dell'ottimo pamphlet di Jean-Louis Harouel, insigne studioso francese di diritto, sui, o meglio contro i diritti dell'uomo. Harouel da un lato contesta il loro uso: un' eccezionale stampella ideologica all'immigrazione incontrollata, che rinuncia, in nome dell'uguaglianza tra il cittadino e lo straniero, a preservare l'identità nazionale e popolare degli Stati europei. Dall'altro lato costruisce una genesi molto interessante di tale forma di pensiero: si tratta  di una specie di millenarismo gnostico e secolarizzato che le élites della sinistra europea e globale, orfane del comunismo, hanno assunto come nuovo ideale regolativo della loro prassi politica. Alla società senza proprietà e senza classi la sinistra sostiuisce la società dei diritti universali e della non-discriminazione'opportunità come un paradiso terreno nel quale a tutti sarà garantito l'accesso al godimento, a patto che rinuncino alla loro libertà di esprimersi e autodeterminarsi. Un mondo dell'indifferenziazione e della fratellanza obbligatoria - cioè della violenza più efferata contro ogni appartenenza e identità -  che si riscalda sotto le coperte della giustizia: ecco quello che prepara questa cultura il cui momento destruens utilizza l'immigrazione mussulmana come martello per distruggere i residiui di identità e storia europea, scherzando col fuoco di una civiltà che non manca di manifestare aspetti aggressivi e velleità colonizzatrici. Condotto con piglio giustamente polemico e nondimeno con precisione concettuale e acume storico-teoretico, il discorso di Harouel non mancherà di sucitare domande ai curiosi e di scandalizzare i benpensanti. Questo riassunto vuole stimolarne la lettura e lo studio, e magari anche qualche piccola integrazione, di cui abbiamo segnalato talvolta l'opportunità con la sigla "n.d.r.".

Introduzione

Questo libro è un pamphlet con uno spirito polemico, serrato e graffiante. Vi si legge il travaglio di un uomo occidentale contemporaneo, europeo e cristiano, francese, studioso del diritto e della filosofia tradizionale. Egli constata la presenza in Francia e in Europa di un Islam assertivo, numericamente nutrito, spesso antimoderno e antioccidentale. Quella che egli lamenta è una Francia a lumi spenti, dove persiste un anticristianesimo laicista, stolido e assai intollerante, che assiste al dilagare di discorsi e atti antisemiti di matrice Islamica come immediato effetto dell’immigrazione massiva mussulmana cui lo scontro superficiale tra aperturisti e sovranisti, con le loro retoriche dei ponti e dei muri, non sembra opporre alcuna soluzione. A tali metafore si dovrebbe preferire quella della porta che si può aprire e chiudere a diversi gradi corrispondenti alla complessità dei problemi reali.

All’inizio del libro Harouel menziona la seguente frase pronunciata dal leader Islamico Yusuf al-Qaradawi a Roma nel 2002: “Con le vostre leggi democratiche, noi vi colonizzeremo; con le nostre leggi coraniche noi vi domineremo”. Egli ritiene di trovarsi davanti ad un pericolo effettivo, benché non bisogni dimenticare che l’Islam non è un blocco monolitico e non tutti hanno lo stesso atteggiamento ostile nei riguardi del mondo occidentale (cfr. Berberi, Curdi etc.). Di contro al rischio Islamico, la soluzione del modello svizzero, fatta propria dall’autore, può essere una provocazione interessante. Si tratta di sottoporre l’Islam ad un regime derogatorio, che ne vieta alcune espressioni pubbliche, ammesse invece per altre religioni. Tale soluzione può però facilmente sfuggire di mano, con esiti nefasti, come la storia insegna. Oggi, tuttavia, fuori dalle trite soluzioni delle destre xenofobe e delle sinistre terzomondiste, il problema deve essere ancora seriamente affrontato. Allora ben vengano le provocazioni di Harouel che, anche quando da respingere, obbligano a riflettere.

Ciò detto, si conviene sul fatto che è il momento di non tergiversare più sulla necessità dell’“amore prioritario per se stessi”, distinguendo tra i diritti del cittadino e quelli dello straniero, e subordinando la cittadinanza a comportamenti convincenti e verificabili di accettazione, da parte dello straniero della cultura che lo accoglie. Allora è corretta la denuncia del sistema culturale occidentale che, affastellando disordinatamente identità plurime e talora confliggenti, promuove il disordine strutturale e personale, e produce una generazione di sradicati con un’alta concentrazione di precarietà esistenziale, diffidenza e insoddisfazione. È il prezzo del rifiuto europeo dell’appartenenza che non ci ha resi più tolleranti maturi ma solo costitutivamente poveri disorientati e fragili. Ciò è altresì dovuto precisamente alla società dei diritti umani, assurti a religione civile, e a messianismo laico, quella società che esalta l’indistinto e nega la differenza in nome di un’apparente e benevola integrazione, opponendo al radicamento, anche fisico, in un’identità, lo sradicamento fluttuante e nichilista e l’arbitrio dispotico e narcisista; sostituendo al particolarismo fecondo dell’appartenenza, un dogmatico multiculturalismo. Così, nel regno dell’indistinto, si avallano scelte sociali contraddittorie sotto l’egida dei diritti umani: dall’utero in affitto, fino all’introduzione del diritto coranico nel diritto di famiglia dei cittadini musulmani in Inghilterra. La neutralità verso l’ordine, la regola, le distinzioni e le differenziazioni sta portando a un’involuzione devastante dell’Occidente europeo e dei suoi sistemi di riferimento laici e religiosi, incapaci di comprendere e anche di tutelarsi dall’Islam nelle sue versioni politiche più aggressive. Tutto ciò, per Harouel, ha a che fare con la matrice marcionita della religione secolare dei diritti dell’uomo dove va individuata la radice degli atteggiamenti contemporanei.

 

Cap. I: I diritti dell'uomo, strumento della conquista musulmana

 

“Con le vostre leggi democratiche noi vi colonizzeremo. Con le nostre leggi coraniche noi vi domineremo”. Così parla a Roma nel 2002 lo sceicco Yusuf-al-Qaradawi. Ciò manifesta che l'Islam è un progetto più politico che religioso. Esso è religione e Stato, fede e legge, culto e comando, libro e spada, preghiera e jihad, tutto insieme, senza divisione alcuna. Ciò rende assai difficile ogni convivenza di fedeli musulmani in altri paesi o territori. In Europa abbiamo l'esempio del Kossovo, che, di fatto musulmano, si è separato dalla Serbia ortodossa con una sanguinosa guerra. Essendo più politico che religioso, l'Islam ha in sé la vocazione ad assumere una dimensione di Stato, che diventa incompatibile con l'appartenenza a una diversa comunità nazionale. Tale vocazione si avvale oggi di un progetto di conquista religioso-politica dell'Europa che trova nei diritti umani un inatteso e formidabile alleato.

 

L'assenza di una vera frontiera tra Islam e islamismo

È vero che non tutti i musulmani sono Islamisti. E non tutti gli Islamisti sono potenziali terroristi poiché molti di loro non sono disposti a promuovere la violenza. Tuttavia tra Islam e Islamismo non c'è una frontiera netta perché l’Islamismo non è altro che l'espressione della volontà di ritornare ai principi fondamentali dell'Islam. Ciò non può essere disapprovato da nessun musulmano. Diciamo che ogni mussulmano lo considera il «programma massimo». Il testo fondativo dell’Islam non implica un rifiuto netto della violenza, dato che Maometto stesso era un capo guerriero. Spesso i passi del Corano, citati per smentire questa visione sono decontestualizzati e ad hoc, e perfettamente smentibili da altrettanti versetti e dal significato complessivo che emerge dal testo. Per esempio, laddove il Corano vieta di uccidere innocenti, ci si guarda bene dal dire che per tale libro colui che, conoscendo la religione musulmana, non si è convertito è di per sé colpevole. Insomma, se il Vangelo rende facilissimo condannare le violenze dei cristiani nella storia, il Corano non permette in alcun modo un’analoga condanna. Ci possono essere molti motivi contingenti, di immagine, di opportunità perché un musulmano condanni la violenza, ma non ve ne sono di carattere teologico e scritturistico. Da tutto ciò diventa plausibile l'osservazione di Remì Brague per cui “se non tutti i musulmani sono Islamisti, tutti gli Islamisti sono (a pieno titolo, n.d.r.) musulmani”. Ciò a prescindere dalle manifestazioni di fedeltà alla Francia che possono venire in modo sincero (e tuttavia contraddittorio) da altrettanto sinceri musulmani. L'unico modo, come avverte Therese Urvoy, docente di Islamistica a Bordeaux, di rendere l'Islam compatibile con l'occidente sarebbe un’affermazione che separi gli aspetti spirituali da quelli legali nel Corano: ciò sarebbe una immensa rivoluzione di carattere teologico e politico, senza la quale tuttavia l'Islam resterà pericoloso per i paesi europei.

 

L'impresa conquistatrice di una civiltà ostile

Malgrado la classe politica europea si occupi dell’Islam solo dall'angolazione della libertà religiosa e della non-discriminazione, e malgrado molte persone di confessione od origine musulmana non si sentano affatto nemiche della Francia, l'Islam, in quanto società di dottrina, lo è. Storicamente ostile al passato cristiano della Francia e dell’Europa, l'Islam oggi contiene una minoranza di persone perfettamente integrate e piccoli gruppi che proclamano un profondo attaccamento alla patria francese. Ma ciò appunto è cosa di una stretta minoranza. Nella loro maggioranza, le popolazioni musulmane, continuamente alimentate da un’immigrazione incessante, rifiutano la civiltà europea e la sua radice cristiana. L’inconciliabilità delle due parti determina il rifiuto della maggioranza di aderire alla nazione francese. Ciò è manifesto nelle scuole in cui la massa degli alunni musulmani impone un oscurantismo bigotto che censura Voltaire o Darwin o gli avvenimenti fondativi dell'Europa, come la battaglia di Poitiers del 732, o ancora la resistenza vittoriosa di Vienna all’aggressione ottomana nel 1529 e nel 1683. Questo produce personaggi come il terrorista di Montauban e di Toulouse (marzo 2012), nato in una famiglia dove l'odio per la Francia era estremo. Nel 2002 un imam di Roubaix ha rifiutato di incontrare nel suo quartiere il sindaco di Lille col pretesto che si trattava di un territorio musulmano e sarebbe stato “impuro” da parte sua metterci piede. Altrove in Svezia in una località in periferia di Malmö, il 90% delle donne circola con il velo. Sono sintomi questi del fatto che i musulmani appartengono anzitutto alla umma e l'idea di nazione è loro estranea. Non ci si può dunque aspettare che essi antepongano l'appartenenza ad una nazione occidentale alla loro appartenenza all'Islam. Questo, benché essi a volte dissimulino le loro convinzioni, come del resto il Corano permette di fare in terra di infedeli.

 

Un sistema totale che rifiuta la separazione del politico dal religioso  

La umma mussulmana è una comunità di fedeli al tempo stesso politica e religiosa: lo Stato è cosa della religione e c'è un codice di diritto contenuto nella sharia che unisce in sé il Corano e la sunna, cioè i detti, gli atti e i giudizi favorevoli di Maometto, cioè gli ahadith. Insomma, le regole del diritto sono norme divine e i musulmani non conoscono il principio secondo cui bisognerebbe dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Per loro il sacro ingloba il profano e lo Stato ha diritto di esistere solo al servizio della legge di Dio. Peraltro, tutti i paesi Islamici, precedentemente secolarizzati, sono oggi sottoposti a un processo di forte re-islamizzazione (Turchia, Indonesia etc.). L'occasione di sbarazzarsi di questa identità politico-religiosa offerta dallo stanziamento europeo di molti musulmani non è stata mai accolta.

 

Un sistema che bandisce per mezzo della paura la libertà di pensiero

Non si può lasciare l'Islam senza rischiare la vita: per l’apostasia la pena arriva fino a quella di morte. Anche nei Paesi moderati tutto ciò che riguarda la libertà di pensiero è un tema scottante. Nelle dichiarazioni islamiche dei diritti dell'uomo del 1981 del 1990 da un lato si subordina l'esercizio della ragione alla rivelazione divina, dall'altro si vieta ogni opinione in contraddizione con la sharia. Il tentativo, laddove l'Islam diventa numericamente rilevante, è quello di imporre anche in Occidente il suo divieto di libertà di pensiero e di espressione mediante l'intimidazione dei poteri pubblici, dei media e degli intellettuali occidentali. Al tempo stesso l'arma dei diritti dell'uomo serve loro per far adottare ai Paesi europei un profilo basso nei confronti dei musulmani che lì vivono. Ogni volta che si retrocede sui simboli cristiani, per esempio in occasione delle festività cristiane, per i musulmani è una vittoria che conferma la bontà del loro progetto di ridurre i non musulmani a dhimmi (protetti).

 

Un sistema strutturalmente ultra-discriminatorio

L'Europa dei diritti umani con la sua ossessione della non discriminazione prepara paradossalmente un sistema che invece è ultra-discriminatorio. L'Islam, infatti, si fonda su una triplice discriminazione: verso i non musulmani, verso le donne, e infine la discriminazione prodotta dal fatto che secondo la sharia la schiavitù è legale. La tolleranza per ebrei e cristiani è solo nel caso in cui essi accettino la condizione di popolazione di seconda classe; le donne sono in chiara inferiorità giuridica, eterne minorenni che passano dalla tutela del padre a quella del marito. In conformità con la legge divina, infine, oggi in Iraq o nei territori controllati dall’Isis si possono acquistare facilmente schiavi cristiani o ebrei.

 

L’ostentazione identitaria musulmana, terreno fertile che nutre il jihadismo

Il terrorismo dei giovani jihadisti, nati e cresciuti in Europa, è un prodotto dell’appropriazione, da parte della civiltà arabo musulmana, di numerose città e periferie dalle quali viene espulsa la civiltà europea. Tale espulsione alimenta un sentimento anti-occidentale la cui forma estrema è il jihadismo. Ciò è avvenuto approfittando dei diritti dell'uomo. Per esempio, la libertà religiosa viene invocata per giustificare il velo integrale, che tuttavia le donne portano in segno di provocazione e di militanza politica e in vista dell'islamizzazione della Francia. Il folklore identitario arabo- musulmano è in generale il terreno fertile in cui si nutre l’estremismo islamico in Europa. Ostentare la propria identità attraverso simboli e modi di vestire è uno strumento per serrare i ranghi contro l'Occidente. E questo si può fare in nome della libertà garantita dai diritti dell'uomo per proteggere i propri cittadini contro l'arbitro del potere, laddove invece essi oggi diventano una religione secolare suicida per gli occidentali.

 

Cap. II: La religione secolare dei diritti dell'uomo

Wiesel, Furet, Debray ritengono che quella dei diritti dell'uomo sia l'ultima religione civile. Nel processo di secolarizzazione il sacro non è scomparso ma si è solamente «spostato». Vi sono delle forme secolari del sacro che soddisfano la naturale propensione dell'uomo alla religiosità. Da qui vengono le cosiddette religioni politiche, o religioni secolari, o religioni civili, o ancora religioni senza nome. Bene, la religione dei diritti dell'uomo appartiene a tale ambito, già da tempo abitato dalla più vasta e antica religione dell'umanità.

 

Un avatar della religione dell’umanità

La radice dell’allontanamento dell’umanità dal divino è in Occidente lo storicismo, cioè quell’ideologia secondo quale la storia coincide con il cammino dell'umanità verso un'era di radiosa e completa felicità. Tale ideologia sostituisce un benessere collettivo terreno al benessere individuale celeste dei cristiani. Questa concezione ha caratterizzato le filosofie del romanticismo, di Hegel, del socialismo e in generale il pensiero di sinistra. In particolare, la sinistra si considera il partito del futuro, garantito da un meccanismo storico-provvidenziale irresistibile. La religione dell’umanità diventa allora religione dell’avvenire che trasferisce sulla Terra il progetto di salvezza cristiano. Esempio di tale religione si trova nel pensiero di Saint Simon che vuole fondare un nuovo culto basato sul principio di fraternità. Alla medesima religione attiene l'idea di Leroux secondo cui l'umanità è divina ed è infinitamente perfettibile. Così vale anche per il socialismo di Proudhon, che attribuisce all'uomo la stessa sacralità di Dio.  Ferdinand Buisson, responsabile della creazione della scuola laica della III Repubblica, vede nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 la trasposizione sociale del Vangelo, che mira alla fondazione di un paradiso immanente e terreno. Tale religione è presente originariamente anche in Marx che viene influenzato dall' operaio-sarto Weitling, profeta di un regno di Dio inteso come un paradiso comunista realizzato sulla Terra. Già Ernst Benz nel 1931 scorge, malgrado il materialismo del filosofo, notevoli elementi religiosi in Marx, sempre orientati all’ideale di un regno di Dio sulla Terra. Negli ultimi decenni del Ventesimo secolo la religione comunista cede il posto alla religione dell'umanità che concepisce i diritti dell'uomo come strumento della sua emancipazione e della sua riconciliazione in una società perfetta. Sono i diritti dell'uomo allora ad offrire, al posto della comunista società senza classi, una direzione alla storia verso la redenzione. Essi pure costituiscono una vera e propria religione civile caratterizzata da due elementi: un millenarismo e una dottrina della conoscenza.

 

Radici gnostiche e millenaristiche della religione dell’umanità

Non è vero che i diritti dell'uomo provengono dal cristianesimo, seppur secolarizzato. Al contrario bisogna vedere la loro origine in un cristianesimo falsificato sin dall'inizio cioè in una gnosi e nel millenarismo.

 

La gnosi

La gnosi è un insieme di dottrine religiose esoteriche sulla salvezza insegnate da diverse sette nei primi secoli dell'era cristiana. Essa insiste sul tema dell'uomo-Dio. Nell'uomo (all’inizio in alcuni uomini, n.d.r.) vi è una parte divina, l'anima che aspira a tornare a Dio. Gli uomini che la portano in sé sono uomini-dèi la cui essenza li porta ad essere al di sopra della legge e della morale ordinaria, (quella che predica il Decalogo). Essi sono in grado di conoscere il messaggio vero e nascosto di Gesù, ben oltre quello diffuso dalle Chiese, che rivela agli uomini la loro divinità. Quest’ultima consiste nel ritorno alla trascendenza, e implica il rifiuto di tutto ciò che è materiale e corporeo. Quindi tutto quanto appartiene alla creazione, attribuita a un Dio maligno descritto dall’Antico Testamento, come pure tutto ciò che è terreno - la famiglia, la patria, l'ordine sociale, la procreazione, il matrimonio, la proprietà - è opera del Dio del male. Lo sono quindi anche le leggi date da questo Dio sul Sinai, precetti che non corrispondono all’assoluta libertà degli uomini spirituali. Questo è l’antinomismo (opposizione al nomos, cioè alla legge) della gnosi che ha un carattere tipicamente sovversivo. La gnosi, proveniente da dottrine e religioni orientali, si mischia nei primi secoli dell’era cristiana al cristianesimo stesso e lo contamina, fingendo di esserne la forma spiritualmente più elevata. Non tarda tuttavia ad arrivare la reazione decisa della Chiesa.

 

Il millenarismo

Il millenarismo è l'altra grande fonte della religione dell’umanità. Da una siffatta dottrina deriva l'idea di un paradiso sulla Terra, che è dovuta al mancato riconoscimento del carattere spirituale del messaggio di Cristo. Sulla base di una lettura eterodossa del passo estremamente complesso e ricco di simboli di Apocalisse 20, 1-6[1] (n.d.r.), Gesù sarebbe venuto a inaugurare il millennio del Regno di Dio sulla Terra prima della fine dei tempi, un regno di benessere non celeste e individuale, come aveva annunciato il Vangelo, ma collettivo e terrestre. Una sorta di paradiso di uguaglianza e comunismo che la Chiesa ha radicalmente censurato. Compito degli adepti di questo orientamento sarebbe quello di preparare appunto il millennio, eliminando coloro che lo ostacolano: i ricchi e i potenti. Bisogna instaurare sin da subito la società comunista, manifestando il medesimo disprezzo degli gnostici per la giustizia e la morale delle persone ordinarie, quella riassunta e definita dal Decalogo. I millenaristi, infatti, si ritengono un popolo santo, come gli gnostici si autoproclamano divini.

 

L'idea gnostico-millenarista dell’esteriorità del male.

Gnosticismo e millenarismo condividono l'idea che il male non risiede nell'uomo. Per gli gnostici esso risiede nella materia creata dal Demiurgo maligno, creatore del mondo. L'uomo ne è una vittima: il suo peccato è dovuto al suo essere intrappolato e influenzato dalla materia, che è una forza che lo domina. Di conseguenza il colpevole-peccatore è in realtà una vittima (di qui la cultura della scusa). Nel millenarismo è presente la stessa idea dell’esteriorità del male. Il male viene dalla disuguaglianza e dalla cattiva organizzazione della società. Una volta ricostituita la società perfetta nel millennio, il male dovrà scomparire. Per facilitare la sua scomparsa bisogna istituire l'uguaglianza sociale e abolire la proprietà privata. Vi è l'assoluta legittimità dell'uso della violenza contro il male per istituire l'uguaglianza e il comunismo.

 

L'associazione del millenarismo e della gnosi

Come conciliare l'idea millenarista di un paradiso terrestre e quella gnostica dell'odio per la materia? Durante la trasformazione del millenarismo religioso in progetto rivoluzionario avviene il recupero della gnosi. Suo progenitore è l'abate Gioacchino da Fiore (1130-1202). Egli Elaborerà una filosofia della storia improntata alla dottrina trinitaria. Come Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo, allo stesso modo nella storia ci sarà un’età del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: le cosiddette tre età della storia umana. Ciò significa che vi sarà il passaggio da un’età del Padre, caratterizzata dal dominio autoritario e dalla sottomissione servile (si veda il Dio severo ed esigente dell’AT), al tempo del Figlio, tempo della fede e dell’obbedienza filiale (il Cristo dei Vangeli) che sta per concludersi, fino all'ultima età dello Spirito Santo caratterizzata dall'amore e dalla libertà.

Gioacchino è un millenarista perché, in virtù del meccanismo storico, secondo lui nascerà un regno divino sulla Terra, nel tempo dello Spirito Santo. La Chiesa condannerà le sue riflessioni come eresia per le difficoltà che nascono nell’applicare alla storia il rapporto tra le persone divine, e per la sostituzione della speranza del Regno di Dio ad un meccanismo storico, che successivamente diventerà il nucleo di tutto il pensiero utopico moderno. Il passaggio alla terza era dello Spirito sarebbe stato caratterizzato da grandi cambiamenti sociali, per la cui realizzazione sarebbe stata anche legittima la violenza.

Questa visione è anche gnostica perché l'età dello Spirito Santo è un’epoca spirituale, in cui l'uomo sarebbe in diretta comunicazione con Dio, senza essere sottomesso a niente: sarebbe in definitiva l'era dell'uomo-Dio che non dovrà obbedienza nessuno. Quindi la teoria di Gioacchino potrebbe giustificare sia la violenza millenarista in vista del paradiso sulla Terra, sia l’orgoglioso progetto dell'uomo-Dio proprio della gnosi. Le grandi esplosioni rivoluzionarie dell'era moderna, dai dolciniani, ai Taboriti, agli anabattisti, si ispireranno a entrambe queste prospettive. Si arriverà quindi al ruolo messianico del proletariato, cui sarebbe affidata la creazione di un mondo perfetto. A tale mondo si giungerebbe mediante un meccanismo storico ineluttabile la cui conoscenza sarebbe affidata ad un particolare tipo di uomo, in possesso della teoria, cioè di una peculiare gnosi (e qui sta l'orientamento gnostico del marxismo). Quindi si passa da uno gnosticismo millenarista fondato religiosamente, ad uno stesso pensiero derivante semplicemente dall'umano in cui, se il regno non sarà più quello di un Dio trascendente, sarà comunque il regno dell’umanità divinizzata, collettivamente redenta, instauratrice di un perfetto mondo terrestre.

 

La secolarizzazione del millenarismo e della gnosi

Dalla speranza di una redenzione terrestre nascono le religioni politiche, caratterizzate da un ampio programma di salute pubblica collettiva. In ciò si colloca il socialismo come sogno mistico di un altro mondo (P. Muray), oppure quell’idea sostenuta da Leroux, che associa il tema della divinità dell'uomo a quello dell’avvenire radioso del socialismo. Allo stesso modo pensa Proudhon quando allude al carattere sacro dell'uomo. Le religioni politiche annunciano, da un lato, la liberazione dal male in un finale regno terrestre, dall'altro forniscono una tecnica di redenzione ed elevazione del genere umano. Per questo sono al tempo stesso millenarismi e gnosi. Secondo E. Voegelin le religioni politiche si riconducono a due forme di fede: la fede nell'uomo come fonte del bene e del perfezionamento del mondo; la fede in un collettivo come sostanza segretamente divina. Dunque il mondo può diventare un paradiso per l'umanità divina. Sempre qui si associano gnosi e millenarismo. La medesima associazione avviene nel comunismo marxiano che riprende le speranze gnostico-millenariste di Weitling, che, a loro volta, implicano l’instaurazione nella storia di un regno di giustizia e lo schiacciamento di coloro che lo ostacolano.

 

La meccanica storicistica inesorabile delle religioni secolari

La visione comunista della storia è tipicamente gnostico-manichea: si fonda sullo scontro tra il principio buono, il comunismo, e quello cattivo la proprietà privata. Questo scontro si svolge nella storia con il passaggio

 - da un’iniziale epoca felice, il comunismo originario,

 - alla caduta nel mondo storico caratterizzato dalla lotta tra due principi nemici, in particolare durante lo sviluppo dell'ordine capitalistico borghese,

 - fino all’avvenire radioso che si otterrà grazie al ritorno del comunismo, però in chiave di industrializzazione, che garantirà una nuova epoca di radicale prosperità.

Chi lotta per questa nuova epoca rappresenta al tempo stesso una nuova morale, che sconfessa la vecchia e che promuove per il bene della rivoluzione, un bene finale che rende legittimi tutti i mezzi. I rivoluzionari, secondo la dottrina comunista, sono sempre i buoni per definizione. Per la gnosi rivoluzionaria il tempo presente è il tempo della commistione del bene e del male, è quello della prigionia dell'anima nella dimensione della corporeità negativa. Ecco allora le tipiche ingiustizie della differenza sessuale, del matrimonio, della famiglia, della proprietà, che sono forme del male. La Terza era implicherà una nuova dissociazione dei due principi e la redenzione del mondo e dell'uomo. Ma questa Terza era si instaurerà in virtù di una meccanica evolutiva ineluttabile che progressivamente cancellerà ogni opposizione e santificherà automaticamente i mezzi di questa cancellazione. Questa meccanica va conosciuta attraverso una gnosi e la conoscenza contribuirà all’avvento della giustizia definitiva.

Anche la visione millenarista ripropone lo stesso schema: all'inizio c'è un paradiso egualitario delle origini espresso nell’antico slogan dei Lollardi: “Quando Adamo vangava la terra ed Eva filava la lana dove erano i nobili?”. A tale era è succeduto il tempo del male a causa dell'instaurazione della proprietà privata, dell'ineguaglianza sociale, del diritto e delle relazioni monetarie. Per fortuna arriverà una Terza era in cui si ritornerà al comunismo primitivo, permeato dall’amore divino. Dunque, il grande processo gnostico di salvezza diventa il senso della storia degli uomini orientato verso il millennio. Ecco allora la legittimazione della violenza rivoluzionaria di John Ball che, sosteneva che per la messa in comune di tutti i beni, bisognasse prima sterminare le persone di legge, i nobili e i giudici. Nel millenarismo rivoluzionario l'azione giusta, o l'uomo giusto di per sé non esistono. È bene tutto ciò che va nella direzione della storia e della meccanica salvatrice comunista; è cattivo ciò che lo ostacola. Questo fonda il disprezzo per la morale comune perché la prospettiva rivoluzionaria esige dai suoi seguaci una totale amoralità. Così afferma Raymond Aron: “La religione secolare, una volta fissato il fine ultimo, passa sopra a tutto”, giacché il fine della santificazione giustifica la repressione radicale di coloro che la ostacolano.

 

I diritti dell'uomo, religione mortale per gli europei

Nazismo e comunismo sono religioni secolari che si propongono di stritolare gli avversari. La religione dei diritti dell'uomo è la religione secolare che ha dato il cambio alla religione secolare comunista. I diritti sono seguiti al comunismo come progetto universale di benessere, come promessa del Regno del Bene sulla terra. Come il comunismo, la religione secolare dei diritti umani crede in un meccanismo storico avente per effetto la distruzione di ogni ostacolo. Non bisogna farsi ingannare dalla sua apparenza virtuosa; ce l'aveva anche il comunismo. Anche il regime sovietico   sorgeva da un ideale umanitario che però ha avuto un esito infernale. La religione dei diritti umani ha lo stesso obiettivo, non però per mezzo dell’eliminazione della proprietà, ma per mezzo della negazione di ogni differenza tra gli uomini. Sara l'affermazione di un’ideologia dell’identità tra tutti gli esseri umani a generare il regno del bene assoluto sulla terra. I popoli dell’Europa occidentale, portatori di un'antica civiltà sono il naturale obiettivo del millenarismo umanitario, analogo all’obiettivo comunista di distruggere la borghesia. Bisogna insomma distruggere le vecchie società occidentali, il loro ordine, la loro cultura, il loro buon senso, il loro saper vivere, il loro attaccamento alla storia nazionale, alle tradizioni, al passato. Tutto ciò, per i militanti comunisti convertiti al millenarismo dei diritti dell'uomo è fonte di corruzione, una corruzione che impedisce la riconciliazione dell’umanità con se stessa e la nascita di un mondo nuovo. Da qui la condanna senza appello per la civiltà occidentale perché la sua popolazione è bianca, il suo livello di vita è invidiato ed è percepito come un’ingiustizia, perché, infine, la sua esistenza contravviene al dogma che sotto intende questa religione: il memismo.

 

Il piedistallo della religione umanitaria: un memismo di origine gnostica

Il memismo è una ideologia dell’indifferenziazione e dell'identità che disprezza ogni elemento che ingenera distinzione. Esso è il dogma dell'intercambiabilità di tutti gli esseri umani. Lo gnosticismo esprime l’idea dell'identità dell'uomo con Dio. Il millenarismo vi aggiunge che tutti gli uomini sono nella luce di Dio e portatori di un'anima divina. Pertanto, essi non sono differenti tra loro. Non sono differenti nemmeno dal punto di vista sessuale e tantomeno sono differenti quanto alla loro tradizione popolare, nazionale e linguistica. Ciò dà luogo anche all’ideologia della sostituzione dei popoli, per la quale un popolo qualsiasi può indifferentemente rimpiazzare i francesi indigeni e far continuare a funzionare la Francia. E l'idea di un’umanità mondializzata che fa scomparire le differenti nazioni.

 

L'invito a scomparire rivolto agli europei

La religione dei diritti due umani invita gli europei a scomparire per fare spazio agli altri con una sorta di eutanasia collettiva. Le classi dirigenti europee sembrano consenzienti perché l'autoannullamento appare un dovere etico. Esso viene accettato attraverso un terribile indottrinamento e un efficacissimo controllo del pensiero. Ma questa idea di una santità collettiva secolarizzata, ottenuta mediante la morte delle differenze il nome dell’unica religione umana, non deriva dal cristianesimo ma dalla sua perversione gnostica. Da questa viene il peculiare orgoglio europeo fondato sul disprezzo di sé, della propria religione, civiltà e nazione.

Si tratta di un masochismo umanitario che a suo tempo era stato cavalcato dal movimento surrealista, appassionato di esoterismo, gnosi e tecniche per arrivare all'illuminazione: «Il mio paese, notate bene, che io detesto, dove tutto ciò che è francese come me mi fa vomitare nella misura in cui è francese…» così diceva Aragon. I surrealisti sono quelli che tenderanno sempre la mano al nemico, così come successivamente imporrà la religione del politicamente corretto. Ciò costituisce la base per una concezione della democrazia sensibilmente diversa da quella liberale, una democrazia che deve puntare non più sovranità del popolo e alla difesa del cittadino contro gli eccessi del potere grazie alle libertà pubbliche, ma al culto dell'universale ossessione dell’apertura all'altro con relativa svalutazione della sovranità del popolo. Ciò, infatti, è coerente con l'idea del primato dell’umanità, che deve svalutare la sovranità del popolo e provoca così una paralisi politica della democrazia. L'identità, la storia, la civiltà europea sono in pericolo a causa della devozione fanatica verso l'universale. Questa è anche all'origine del dispotismo antirazzista che impedisce in ogni modo la difesa della propria identità mediante la radicale intolleranza nei confronti dei movimenti identitari in nome della richiesta oppressiva del sacrificio di sé.

 

Cap. III: Religione dei diritti dell’uomo e snaturamento del diritto

Il diritto deve essere fondato su valori duraturi. Nel passato in Francia è stato così, a partire dalla sintesi di diritto germanico, diritto romano e regole giuridiche ebraiche, come si può vedere nei codici napoleonici. Ciò è perfettamente in linea con il cristianesimo che riprende la morale del Sinai e che approva il castigo terrestre di quelli che commettono il male. Il cristianesimo non ha cercato di introdurre artificialmente l'amore divino nel diritto delle nazioni cristiane perché separava politica e religione. Infatti, le responsabilità politiche giuridiche sono solo terrestri, mentre l'amore divino e il regno di Dio non sono di questo mondo. Al contrario, durante il ventesimo secolo vi è stata la tendenza a trasformare il diritto, e ciò vale anche per quello francese, in una religione di amore universale, la religione dei diritti dell'uomo.

 

La metamorfosi dell'amore in diritto e del diritto in religione

I diritti dell'uomo, dichiarati il 26 agosto 1789, derivavano dal diritto naturale e non avevano valore di legge positiva. Essi andavano rivisti e reinterpretati in diritto positivo. Tale diritto positivo decretò, come effetto della Dichiarazione del 1789, il riconoscimento delle libertà pubbliche. Ciò era semplicemente la ripresa di quanto avveniva già nell'Antico regime: la libertà concepita come non interferenza dell'autorità, il diritto di proprietà contro l'espropriazione pubblica. Mancava solo la libertà d'espressione e questo fu l’apporto maggiore della Dichiarazione del 1789, ripresa dalla legge sulla stampa del 1831 in Francia. Tale libertà d'espressione oggi è fortemente ridimensionata in nome dei diritti dell'uomo. Riaffermati nelle costituzioni del 1946 del 1958, oggi i diritti dell'uomo sono divenuti parte integrante del diritto, anche grazie all’internazionalizzazione della loro garanzia attraverso diverse convenzioni nel quadro europeo. Così il giudice costituzionale e quello transnazionale sono liberi di fissare sovranamente i principi fondamentali che ritengono coerenti coi diritti dell'uomo. Così le libertà pubbliche sono via via in corso di sostituzione con i diritti fondamentali, e di questi grandi beneficiari sono gli stranieri. Con i diritti fondamentali il legislatore si pone lo scopo di santificare, mediante la loro imposizione dall'alto, i rapporti tra i singoli sulla base di un amore obbligatorio per il prossimo, sanzionando le sue violazioni nei tribunali. È vero che nei diritti umani esiste sin dall'inizio la fraternità e dunque un dovere di amore verso l'altro. Ma questo è sempre stato considerato di attinenza della morale individuale. Esso è cioè un dovere etico non sanzionabile giuridicamente. Dalla seconda metà del secolo ventesimo con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 i diritti di libertà (movimento, sicurezza, inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, pensiero e opinione, espressione) sono stati concepiti in funzione del principio di non discriminazione. Dal 1972 con la legge Pleven, al Codice penale del 1994, le leggi puniscono le pratiche discriminatorie come attentati alla dignità della persona. Colui che offre al pubblico qualche vantaggio non deve escludere nessuno a causa del sesso, della razza, della religione eccetera. La fraternità che viene dal cuore ora è resa obbligatoria e ha rivestito i panni di una religione di Stato, compresa una certa tendenza all’intolleranza.

 

Un amore obbligatorio dall'aspetto millenarista e gnostico

L'amore tipico della religione dei diritti umani è la deformazione dell’amore cristiano. Agostino aveva parlato dell'amore di Dio fino al disprezzo di sé contro l'amore di sé fino al disprezzo di Dio. Ma tale amore era oggetto di un cammino interiore, libero, personale. Invece per la religione dei diritti umani è un cammino pubblico obbligatorio in vista non più della Città celeste, ma della città terrena del paradiso sulla terra qui e ora. Tale amore che deve fondare l'umanità collettiva divinizzata, è imposto dall'autorità e rende superfluo il diritto. Esso, come nel comunismo era la violenza imporre l'amore mediante l'eliminazione della proprietà privata, deve essere imposto dalla forza dello Stato.

L’origine di questa visione è chiaramente riferibile a Marcione il quale riteneva che l'amore, a suo dire evangelico, avrebbe reso inutile la giustizia. Con ciò egli voleva costruire un cristianesimo completamente sradicato dalle sue origini ebraiche. Gesù avrebbe liberato gli uomini dalla legge e dal peso della giustizia. Contro il Dio giusto dell'Antico Testamento, creatore della materia cattiva, cioè il Dio ebraico Jahvè, si sarebbe posto il Dio buono del Nuovo Testamento il Dio dell'amore. Così, rinnegando il Dio giusto e l'AT, Marcione rinnegava la giustizia, l'ordine sociale del matrimonio, la famiglia, la nazione. Contemporaneamente indirizzava la sua preferenza verso tutte le devianze, perché la devianza rispetto alla giustizia del Dio giusto, merita comprensione. Gesù avrebbe liberato i dannati, il Dio buono preferirebbe gli assassini alle loro vittime, i violenti ai virtuosi, i sodomiti a Loth. Gesù avrebbe strappato agli inferi i dannati, preferendoli ai giusti della Bibbia come Noè, Abramo o Mosè. L'amore senza giustizia preferisce gli assassini, i violenti, e i nemici come gli egiziani (dimenticando che Gesù predicava l'amore per il nemico privato e non per il nemico politico, n.d.r.). Così si ha una completa inversione dei valori, dove i cattivi diventano buoni. Le ideologie laiche, secondo il filosofo Nietzsche, avrebbero ultra-cristianizzato il cristianesimo, assimilandosi molto, aggiungiamo noi, alla prospettiva marcionita. In realtà, però, quest’ultima non è altro che una falsificazione gnostica del cristianesimo, generata attraverso un'iniezione letale di amore nel diritto.

 

Il diritto religioso e la nuova ordinazione del sacerdote giudiziario

La morale religiosa gnostica dei diritti umani è stata trasferita nel diritto e tale diritto si è sostituito alla religione. Ciò che chiamiamo agostinianismo è l'idea per cui lo Stato si sente responsabile della virtù dei governati e della santificazione della società mediante la religione secolare dei diritti dell'uomo. Questa religione ha i suoi preti, cioè i magistrati.

 

Lo Stato-Chiesa della religione dei diritti dell'uomo

La religione dei diritti umani è un sistema politico-religioso coercitivo e repressivo in cui lo Stato è anche Chiesa. La politica oggi è diventata un dipartimento della morale il nome dei doveri verso l'umanità. In questo modo lo Stato, facendosi funzione di un’astratta umanità, tradisce i doveri che ha verso il popolo concreto di cui costituisce il volto costituzionale. Ma i doveri verso l'umanità sono decretati dalla religione dei diritti dell'uomo che si interessa della santità e della virtù, cioè della fratellanza e del rispetto dell’amore per l'altro portato fino al disprezzo di sé. La trasgressione di questi dogmi costituisce un nuovo crimine religioso.

 

Il diritto penale nella religione dei diritti dell'uomo

Per la religione secolare dei diritti dell'uomo tutti devono essere lo stesso, e se sono altro non ancora divenuti lo stesso, hanno il diritto di rivendicare la loro inclusione. Questo genera un peculiare calcolo dei diritti in funzione dei propri interessi da parte di comunità e gruppi sociali che si ritengono esclusi (si veda per esempio il concetto di discriminazione positiva, n.d.r.). Quindi, nel nome di una perfetta uguaglianza, nascono gruppi privilegiati, che hanno un particolare regime giuridico che li protegge, la loro legge privata, il loro privilegio, la loro intoccabilità. Nei loro riguardi la libertà di espressione e di critica è soppressa e viene qualificata con tutto ciò che oggi assume il suffisso fobia. Tutto ciò distruggerà le libertà di espressione, di pensiero e le libertà pubbliche.

La religione dei diritti umani non riconosce una sfera privata protetta dalla legge, ma vi si insinua prescrivendo come norma assoluta e universale quella dell’amore assoluto per l'altro. Da qui la nascita di un regime disciplinare che impedisce, il nome dell’uguaglianza assoluta, anche di nominare le differenze. La manifestazione di opinioni non conforme ai dogmi rappresenta un nuovo crimine religioso. Rientra in ciò il divieto di critica dell’immigrazione.

Gli europei vengono oggi ingannati e costretti a l'amore unilaterale per l'altro, cioè lo straniero. Ciò significa la rinuncia alla preservazione dell'identità, alla difesa dei propri interessi, all'amore della patria, alla continuità della famiglia, all'organizzazione della sicurezza e al rigore della giustizia. E questo è il risultato del carattere impraticabile dei precetti evangelici come regole del diritto. Essi, infatti, determinerebbero la fine stessa del diritto, cioè della giustizia pubblica differenziata dai sentimenti privati. Ma ciò non è cristiano. Infatti, Gesù non ha voluto essere un creatore diritto, ma il maestro di una morale personale che permettesse di accedere al regno di Dio. La sua, come giustamente si esprime Paul Veyne, è una religione della salvezza nell'aldilà e non un progetto politico per questo basso mondo. Michel Villey, dal canto suo, dice che le prescrizioni evangeliche sono imprecise ed esigenti fino all’eroismo; dal punto di vista della giustizia essi si riassumono in un paradosso permanente. Lo è per esempio la predilezione per il nemico. Perciò Villey sosteneva che non bisogna confondere il Regno dei cieli con il diritto, usando i consigli di perfezione evangelica contro il prossimo e l'ordine pubblico, e trasportandoli indebitamente nell'ufficio del giudice terrestre. I valori evangelici come, per esempio, amare il proprio nemico e porgere l'altra guancia, sono percorsi di santificazione individuale che diventano socialmente catastrofici. L'amore divino trasportato nella forma terrena genera stridenti ingiustizie: lo si vede bene in materia penale dove oggi è più importante il riscatto dei criminali e la loro redenzione terrena. Il criminale è la pecora smarrita, solo lui conta veramente e conta molto di più delle vittime. Quando la società perdona si genera ingiustizia: l'amore per il criminale genera l’inferno per gli innocenti.

Allo stesso modo l'amore universale distrugge la famiglia in nome dell’uguaglianza e della libertà, introducendovi i diritti individuali, come il divorzio e l'aborto. Insomma, la libertà sovrana dell'individuo corrisponde al disprezzo gnostico di ogni ordine naturale, sostenuto dalla tradizione biblica. Allo stesso modo implica il rifiuto di ogni differenza, compresa quella sessuale, per generare individui affrancati dal rispetto della natura. Questa franchigia, applicata a comandamenti del Decalogo come onorare il padre la madre, dà vita a delle pseudo famiglie bi-paterne o bi-materne. In altro ambito, ciò è del tutto coerente con la predilezione di Marcione per il criminale, per il nemico, che oggi è ripresa da una giustizia dominata dalla religione dei diritti dell'uomo, la quale ha prodotto una società in cui il comandamento non uccidere non è preso davvero del tutto sul serio, se non per preservare gli assassini della pena capitale. In questa stessa società però, il libero e sovrano individuo può chiedere di farsi uccidere. E l'uccisione è peraltro ammessa nel caso dell'aborto. Indubbiamente Marcione è il grande ispiratore della società contemporanea.

 

Cap. IV: I diritti dell’uomo al servizio dell’immigrazione colonizzatrice

Quando, per mezzo del ricongiungimento familiare, si passa da un’immigrazione di lavoro un'immigrazione di colonizzazione, si costituiscono nelle società di destinazione vasti gruppi nazionali la cui identità è continuamente riattivata da nuovi arrivi. Tale forma di immigrazione implica oneri finanziari insostenibili e problemi insolubili nell'educazione, nella socialità, nella sicurezza e nell’ordine pubblico. L'esito necessario è una divisione della società e uno spossessamento del popolo originale. Ciò accade a causa del millenarismo umanitario che accoglie coloro che mostrano di non aver nessun interesse a integrarsi. Esso, facendo dell'immigrazione un diritto umano, mette a rischio la civiltà che accoglie le masse di migranti.

 

L'immigrazione come diritto dell'uomo: un nuovo millenarismo  

Tutto parte dal dogma secondo cui l'immigrazione sarebbe un fenomeno inevitabile e benefico. Essa sarebbe iscritta nella meccanica irresistibile e benefica del senso della storia che va nella direzione di un paradiso multietnico in Terra. Ecco allora che l'immigrazione diventa un diritto umano che si attribuisce in particolare alla figura dell’immigrato-operaio trasformata in figura cristica per affermare il diritto assoluto dell’immigrato stesso a restare in quel Paese in cui pure si giunto illegalmente. Infatti, la sua permanenza fa parte dell'avvenire radioso di un mondo multirazziale. Perciò la religione dei diritti umani preferisce gli stranieri, gli immigrati e i loro figli agli autoctoni. Il potere politico si deve piegare alla fatalità dell'immigrazione che redimerà i corrotti popoli europei. Ciò è fondato sul sofisma della medesima cittadinanza, come se il genere umano fosse politicamente unificato. Così emerge l'idea portante dei fautori dell'immigrazione e cioè che la distruzione delle nazioni precede ed è condizione dell'età dell'oro dell'avvenire. Per distruggere la nazione bisogna però decomporre ugualmente la famiglia e la scuola mediante una rivoluzione purificatrice. Così tale battaglia a favore dell'immigrazione è una battaglia contro la nazione, la città e la cittadinanza.

 

La necessità economica dell’immigrazione: un falso argomento

L'idea che l'Europa abbia bisogno di immigrati è falsa. Gli economisti dicono che con l'immigrazione non c'è stato nessun aumento del Prodotto Interno Lordo per abitante. Gli immigrati, peraltro, sono più assistiti rispetto a quanto ammontano i loro contributi. Inoltre, non è vero che occupano i posti che gli europei non vogliono. Accetteranno di lavorare in questi posti finché sono irregolari e lo faranno per un salario minore. Questo già procurerà un abbassamento dei costi del lavoro a favore dei datori di lavoro, fino a che la necessità di una regolarizzazione non determinerà l'abbandono di quei posti precedentemente occupati. In ogni caso, alla luce dell'abbassamento del costo del lavoro che immediatamente produce l'immigrazione, gli industriali sembrano adeguarsi e associarsi alla sinistra radicale nel sostenere l'apertura indiscriminata delle frontiere, anche a costo di un rallentamento nel lungo periodo dei progressi della produttività. Pertanto, l'Europa non ha bisogno di immigrati, ma è vero è il contrario: gli immigrati hanno bisogno dell'Europa. Essi, però, ne approfittano per promuovere un'immigrazione di colonizzazione fatta da famiglie, spesso numerose, la cui massa finisce per costituire una popolazione dentro la popolazione.

 

I diritti dell’uomo generatori di una contro-società

L'immigrazione, soprattutto dal Maghreb, implica precise strategie matrimoniali. Una volta regolarizzato giuridicamente un individuo, questo ha il diritto a richiamare i congiunti e a favorire dunque nuovi ingressi. Ciò promuove l'incremento delle comunità di immigrati e una diaspora di persone che non intendono integrarsi e a volte mostrano ostilità verso la società francese. Si tratta di un’immigrazione non più di individui, ma di popolazioni che, per la loro stessa natura, è molto difficile, se non impossibile, integrare. Dunque, nasce un contro-popolo e un contro-società nei Paesi di accoglienza. Nascono piccole-grandi comunità con i loro codici e i loro usi e costumi all'interno della società ospitante. Questi tendono ad assumere il monopolio di alcuni quartieri, dove ricevono alloggi sociali, i quali per questo motivo diventano quartieri etnici. Questi ultimi sono un abisso finanziario di sovvenzioni pubbliche, anche per mezzo di associazioni ad hoc che vorrebbero favorire l'integrazione ma non la producono quasi mai. Le politiche dello Stato discriminano gli autoctoni a favore dei quartieri etnici. Dal 2004 al 2013 sono stati concessi crediti per circa 40 miliardi di euro, cui si aggiungono i grandi lavori infrastrutturali e l'immensa quantità di spesa pubblica a carattere sociale, familiare, medico. A tutto ciò, infine, si aggiunge il costo della delinquenza e del mantenimento difficile dell'ordine pubblico. Ciò non ha favorito l'integrazione, bensì, come dice Robert Putnam, l'abbassamento della fiducia tra individui a causa della diversità etnica.

 

I diritti dell’uomo, arma dell’immigrazione contro la Francia

Gli immigrati non si sentono eredi della cultura francese e non desiderano vivere da francesi con i francesi. Anzi l'Islam è una civiltà profondamente antagonista alla nostra. Di qui l’ostilità alla Francia da parte degli immigrati, come ha dimostrato la rivolta del 2005 che, secondo René Remond, ha mostrato la chiara intenzione da parte degli immigrati di non integrarsi. L'immigrato cerca piuttosto benefici sociali e a volte mostra la volontà di rivendicare contro la Francia il prezzo di ciò che essa gli ha sottratto con la colonizzazione. Dunque, c'è un’immigrazione di rivendicazione e di interesse. Su questa ultima questione bisogna dire che la Francia è una sorta di diamante sociale grazie alla delirante prodigalità dello Stato-Provvidenza francese. Infatti, gli immigrati godono di una protezione sociale e medica straordinariamente generosa, e ciò è un fattore che favorisce l'aumento dei flussi. Questi hanno per obiettivo il vivere secondo gli usi religiosi e sociali dei paesi d'origine ma, grazie allo Stato francese, con un livello di vita più alto. Ciò è possibile agli immigrati grazie ai diritti umani.  

 

L’angoscia degli abitanti di buona volontà

Nei riguardi dei popoli ospitanti si manifesta spesso un razzismo anti bianco, frequentemente unito ad un razzismo verso chi, dentro le comunità di immigrati, si vuole integrare e non rispetta le prescrizioni socio-religiose della comunità stessa. Delle politiche filo-immigrazione fanno quindi le spese anche le classi popolari autoctone, i cosiddetti Petit Blancs. Nei quartieri degli alloggi sociali, l'immigrazione di colonizzazione li respinge ed essi fuggono per evitare le grandi concentrazioni etniche con le quali verrebbero a confrontarsi. Ecco allora una diaspora dalle città alle zone rurali, di cui però lo Stato si disinteressa. I Petit Blancs avvertono allora di essere cittadini di serie B, lontani dai servizi (scuole, tribunali, uffici postali, impieghi) e dall'offerta scolastica di qualità. Se i popoli, e le classi più disagiate in essi, fossero stati consultati, non avrebbero mai permesso una simile discriminazione nei loro confronti. Ma questa ha potuto esservi perché l'immigrazione è stata imposta in modo subdolo da governanti e da giudici.

 

Cap. V: Resistere ai diritti dell’uomo per sopravvivere come popolo

I popoli autoctoni sono stritolati da un uso strumentale dei diritti dell'uomo, portato avanti da persone che possono essere considerate i collaborazionisti (collabos) della loro stessa distruzione. Di fronte a questo processo si impongono due imperativi: anzitutto bloccare il flusso migratorio; poi fermare il processo della conquista musulmana. Per fare ciò la Francia deve rompere con la religione suicidaria dei diritti dell'uomo.

 

Differenziare per bloccare i flussi migratori

Anzitutto, per fermare la religione dei diritti dell'uomo, bisogna affermare il diritto al rispetto della propria identità e all'amore prioritario per se stessi. In conseguenza, è necessario far presente che la Francia non è un soccorso sociale e medico dell'universo intero. Pertanto, bisogna rinunciare a offrire prestazioni di welfare che incentivano l'immigrazione illegale; bisogna interrompere i ricongiungimenti familiari e ammetterli solo per chi ha acquisito la nazionalità rispondendo a precisi requisiti: la conoscenza della lingua, dei valori, dei costumi, della storia del Paese ospitante. Insomma, quest'ultimo deve avere la libertà di accogliere solo chi ritiene idoneo e deve anche essere libero di compiere necessarie differenziazioni. In particolare, bisogna distinguere tra il cittadino e il non cittadino, distinzioni come questa servono a bloccare in generale i flussi e in particolare anche quelli dei terroristi Islamisti.

 

Sottomettere l’Islam a un regime derogatorio

Per proteggersi contro l'Islam bisogna sottometterlo a un regime derogatorio che gli imponga la rinuncia a governare l'insieme della vita sociale e lo costringa a limitarsi alla sfera privata. Per questo non bisogna cedere alle rivendicazioni musulmane, dato anche che in terra di miscredenti gli islamici sono dispensati dagli obblighi coranici. E la Francia deve rimanere per l'Islam una terra di miscredenza. A tal fine bisogna rifiutare le concessioni sul piano alimentare, del vestiario e di altro genere, impedendo anche la costruzione di moschee trionfaliste di stile arabo, finanziate da Stati che vietano le chiese nel loro territorio.

 

Ispirarsi al modello svizzero

Bisogna fare come in Svizzera dove hanno vietato i minareti, bloccando l'Islamizzazione dello spazio pubblico e in particolare di quello visivo-sociale. Queste sono misure di legittima resistenza che si devono associare al divieto del velo, allo scoraggiamento dell'uso del fazzoletto islamico, alla fine della tirannia dei divieti alimentari e all'idea ipocrita della separazione dei sessi, soprattutto nel campo delle cure mediche. Tale deroga dai diritti garantiti ad altri è giustificata dal fatto che l'Islam è anzitutto un sistema politico giuridico che di fatto si oppone alla civiltà francese-europea. Per tale motivo non bisogna assolutamente rinunciare a evidenziare la diversità di trattamento tra il cristianesimo e l'Islam. Infatti, i cristiani non minacciano affatto il carattere secolare della civiltà europea. Anzi, ci si deve augurare il mantenimento in Europa dei simboli cristiani come protezione contro l'impresa conquistatrice dell'Islam. La croce è il simbolo di una distinzione tra ambito religioso e politico che ha caratterizzato il mondo occidentale e che ne costituisce il principale baluardo. Per quel che riguarda la storia, la civiltà, i valori è evidente che l'Europa è un’eredità cristiana ed essa non può negarlo senza negare se stessa.

 

Conclusione

L’Europa con i diritti umani si è consegnata all’impotenza collettiva (M. Gauchet). Ma il problema è anche che sui diritti umani non si può fondare alcuna società, dal momento che essi sono un disgregatore sociale. Infatti, un accumulo di diritti soggettivi non risolve il problema della vita in comune e la protezione dell'individuo non basta ad organizzarla. A maggior ragione ciò capita con l'immigrazione, a riguardo della quale i diritti umani degradano il concetto di cittadinanza e di appartenenza comune. Contemporaneamente essi favoriscono una contrapposizione basata sul fatto che ognuno nella società si definisce come colui che “ha diritto ad avere dei diritti”. Così i diritti umani diventano un utile strumento nella mano dei fanatici della prosternazione.

 Per sopravvivere alla loro invadenza bisogna rompere con il culto della non differenziazione e introdurre una chiara distinzione tra autoctoni e stranieri. Bisogna rifiutare il millenarismo su cui si fondano e bloccare l'Islam in quanto anzitutto codice di norme di diritto comportamento che pretende di disciplinare l'intera vita sociale. Per fare ciò bisogna emanciparsi dalla religione che impone diritti astratti fondati sull’individuo astratto e intercambiabile che gli immigrazionisti immaginano costituire la società. Al contrario diritti così concepiti in modo astratto risultano non validi per tutti e in tutte le circostanze perché l'uomo è un individuo che appartiene ad una certa comunità e ad una certa società. Prova ne sia che tutto il sistema dei diritti dell'uomo, pensato tempo fa per proteggere i cittadini dai governanti, ora, alla luce dell’immigrazione, è diventato il cavallo di Troia per distruggere la cittadinanza. Bisogna allora tornare ai diritti dell'uomo come difesa delle libertà pubbliche e in particolare quella di pensiero, che oggi va sempre più perdendosi e che i musulmani mostrano di non tenere in alcun conto (cfr. The Cairo Declaration on Human Rights). Così, considerando la nazione come principio della sovranità, (Dichiarazione del 1789) si potrebbe restituire al popolo francese il diritto di potersi esprimere su questioni vitali per la sua sopravvivenza.



[1] “E vidi un angelo che scendeva dal cielo con in mano la chiave dell'Abisso e una grande catena. Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po' di tempo, lo gettò nell’Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo. Poi vidi alcuni troni - a quelli che vi sedettero fu dato il potere di giudicare - e le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beati e santi quelli che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo, e regneranno con lui per mille anni” (n.d.r.).

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